Ruggero Mazza è scomparso a 100 anni

Ruggero Mazza è scomparso a 100 anni
Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Lucido fino all’ultimo, l’indimenticabile motorista della MV Agusta è stato un protagonista dell’epopea delle corse a quattro tempi. Hailwood, Ago, Read e Bonera hanno vinto gare e titoli anche grazie alle sue mani magistrali
  • Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
23 novembre 2020

Aveva cento anni, li aveva compiti a fine luglio, Ruggero Mazza: si è spento per un attacco cardiaco a Verghera di Samarate (Varese), dove viveva, lasciando uno splendido ricordo in tutti quelli che lo hanno conosciuto. E una impronta indelebile nella storia del nostro motociclismo.

Ruggero era bolognese, e aveva cominciato a lavorare negli anni Cinquanta, naturalmente in Ducati. Nel mondo delle corse divenne presto celebre per le sue doti, e fu il conte Agusta a chiamarlo nel ’59 per portarlo in MV, prima come meccanico delle 125 e 250 bialbero, poi sulle blasonatissime 500. Era soprattutto motorista.

“Il conte – racconta Gianfranco Bonera, che corse per la MV nel biennio 1974 e ‘75 - gli fece un’offerta che Ruggero non poté rifiutare, anche se lasciare Bologna gli costò moltissimo. E devo dirti che il conte lo trattava con particolare rispetto”.

Mazza ha lavorato nel reparto corse MV fino al ritiro del marchio, nel ’77: era un meccanico abilissimo, divenne il braccio destro di Arturo Magni e il riferimento motoristico di piloti eccezionali: da Mike Hailwood a Giacomo Agostini, da Phil Read fino a Gianfranco Bonera appunto. Che, collegato al telefono dalla Sardegna dove vive, prosegue:

“La loro fu una impresa straordinaria, nel mondo delle corse: non avevano ingegneri alle spalle, facevano tutto in casa, erano di una bravura incedibile. E Ruggero era una persona eccezionale: metteva il rapporto umano davanti a tutto, era allegro, vivace, brillante”.

Venticinque titoli mondiali costruttori e diciannove titoli piloti. Questo il bottino di quello specialissimo reparto corse, che ebbe Ruggero Mazza come uno dei riferimenti e che purtroppo non sopravvisse quando, alla metà degli anni Settanta, il "quattro tempi" italiano fu messo fuori gioco dalle "due tempi" giapponesi.