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Una verità ancora da trovare, quella sulla morte di Davide Danelli, un uomo di 38 anni che ha perso la vita in un banale ma tragico incidente in monopattino nel luglio del 2023, a Roma, in via Casal del Marmo.
La dinamica sembra semplice: Davide stava andando al lavoro quando ha perso il controllo del mezzo ed è stato scaraventato a terra, con un impatto fatale. Il punto cruciale, però, è la causa di quella perdita di controllo.
La famiglia, assistita dall'avvocato Valeria Morreale, sostiene con forza che a far cadere Davide sia stato un tombino o una caditoia stradale montati male. Una tesi che punta direttamente al problema della cattiva manutenzione urbana.
Il percorso giudiziario è diventato un vero e proprio braccio di ferro. Inizialmente, gli agenti della polizia locale avevano completato i rilievi, e la Procura aveva subito chiesto l'archiviazione del caso, come se si trattasse di un evento accidentale senza colpe.
Tuttavia, il Giudice per le Indagini Preliminari (G.I.P.), Gabriele Fiorentino, non ha accettato questa conclusione. Sollecitato dall'opposizione della famiglia, ha imposto la riapertura delle indagini e l'esecuzione di una perizia.
La svolta, però, non è arrivata. La perizia non ha fugato tutti i dubbi, tanto che la Procura ha avanzato una seconda richiesta di archiviazione. Ma ancora una volta, il G.I.P. ha respinto l'istanza.
Il Giudice Fiorentino è stato categorico: la documentazione è incompleta. I dubbi rimangono in merito a due questioni fondamentali:
Qual è stata esattamente la causa della caduta di Davide Danelli?
È possibile, come sostiene la famiglia, che la tragedia sia "riconducibile al transito del veicolo su un tombino o caditoia collocati lungo il percorso"?
Per il giudice, finché questi punti non saranno chiariti, non si può chiudere l'inchiesta. Il G.I.P. ha quindi richiesto un ulteriore supplemento di indagine, mantenendo viva la speranza per la famiglia di ottenere una ricostruzione definitiva e l'individuazione di eventuali responsabilità.
ruota interamente attorno a un sospetto: la presenza di un tombino montato in modo irregolare che si sarebbe trasformato in una vera e propria trappola lungo via Casal del Marmo, a Roma.
La chiave di lettura della famiglia, che ha portato il G.I.P. a rigettare per la seconda volta l'archiviazione, è la seguente: la ruota stretta del monopattino di Danelli non avrebbe semplicemente urtato il tombino, ma si sarebbe incastrata nelle sue feritoie. Questo perché si ipotizza che la griglia fosse montata parallelamente al senso di marcia, creando un "effetto binario" estremamente pericoloso, soprattutto in combinazione con un eventuale piccolo avvallamento poco più avanti.
La violenza dell'impatto è stata tale da generare un vero e proprio "effetto catapulta", proiettando il 38enne sull'asfalto in avanti, di faccia. Questa dinamica, sostenuta dalla consulenza tecnica della parte civile, rafforza l'idea che a causare la tragedia sia stato un ostacolo imprevisto e non una semplice manovra errata.
Nonostante l'inchiesta sia aperta per omicidio stradale, al momento non è stato iscritto nessun indagato, segno che le autorità non hanno ancora identificato chiaramente il responsabile (o i responsabili) della manutenzione.
A complicare il quadro, c'è il dissenso sulla velocità: gli inquirenti che hanno tentato di archiviare il caso ipotizzano una velocità superiore ai 40 km/h, mentre la difesa sostiene che Danelli viaggiasse intorno ai 30 km/h.
In sintesi, il G.I.P. non si accontenta delle ricostruzioni iniziali e pretende chiarezza assoluta: è stato il tombino difettoso a trasformare un tragitto quotidiano in un incidente mortale? Fino a quando questo nesso causale non sarà inequivocabilmente provato o smentito, l'indagine non si chiuderà.