Mavet: dove nasce l’AGV PistaGP

Mavet: dove nasce l’AGV PistaGP
Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
Una struttura all’avanguardia per pensare, sviluppare e produrre i caschi top di gamma del gruppo Dainese. Scopriamo come sono nati PistaGP, Corsa e GT Veloce
  • Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
22 maggio 2013

Punti chiave

E’ facile pensare che l’approccio alla definizione di un casco passi per una serie di punti fermi pressoché immutabili. Per quanto possano variare filosofie e metodologie costruttive, teorie sulla protezione e quant’altro da un’azienda all’altra, è abbastanza scontato nell’opinione comune – almeno finora – che al di là di materiali e processi produttivi ci sia poco da inventarsi invece nella progettazione di un casco.

 

Non abbiamo usato però a caso l’avverbio finora, perché il gruppo Dainese, attraverso AGV e quella Mavet di cui andiamo a parlarvi oggi, ha ripensato completamente l’approccio alla definizione di un casco. Utilizzando da un lato quelle tecnologie biometriche oggetto di divulgazione in occasione dell’EICMA 2011, per plasmare gli interni sulla base delle diverse configurazioni del cranio di ciascuno di noi, e dall’altro quell’Analisi ad Elementi Finiti già largamente diffusa in campo automotive per definirne la struttura in funzione della protezione richiesta.

 

Abbiamo passato un intero pomeriggio con Luca Bertolo (Project Manager), Emiliano Taccioli (Industrial Designer) ed Alessandro Cernicchi (CAE Engineer) per indagare a fondo su metodologie impiegate e processo costruttivo che danno vita allo stato dell’arte dei caschi AGV. Un progetto unico che viene declinato in tre prodotti finali per andare ad adattarsi al meglio alle esigenze di noi motociclisti: dal PistaGP, studiato espressamente come dice il nome per l’uso agonistico al meno estremo e più versatile Corsa, fino allo sport-touring GT Veloce, adatto anche all’uso in circuito ma pensato prevalentemente per quello – pur sempre sportivo – su strada.

 

Mavet: un po’ di storia

Il nome Mavet probabilmente non dice nulla alla maggior parte degli appassionati. E’ naturale, perché l’azienda di Campodoro, in provincia di Padova, ha una ricca storia passata ma i caschi da lei prodotta sono stati per lo più commercializzati con altri marchi. Oggi fa parte del gruppo Dainese, per cui riveste il ruolo di sito produttivo d’eccellenza: oltre alla produzione conto terzi per diversi marchi motociclistici, infatti, qui nascono tutti gli AGV top di gamma. E qui vengono progettati, realizzati ed assistiti tutti i caschi dei piloti impegnati nelle competizioni ai massimi livelli.

Il calco della testa di Valentino Rossi
Il calco della testa di Valentino Rossi

Proprio dalle competizioni è arrivato lo stimolo che ha dato origine alle tre nuove proposte AGV, nate dall’anima comune del PistaGP. Pensato inizialmente come laboratorio di sviluppo prima che come prodotto di serie, lo stato dell’arte AGV è scaturito dalla volontà di risolvere alcuni dei problemi che la Casa aveva riscontrato con il GP Tech con il fondamentale contributo di Valentino Rossi e dei sistemi di progettazione assistita dal calcolatore. Il processo è iniziato con una vera e propria rivoluzione copernicana rispetto al normale modus operandi, partendo infatti dall’interno. I tecnici AGV, nell’ormai lontano 2009, hanno scansionato la testa di Rossi e degli altri piloti assistiti dalla Casa creando così un database digitale delle varie forme delle teste preciso al decimo di millimetro. Da questa base è stato possibile riprodurre un manichino tridimensionale in nylon che consente ai tecnici di avere… un Valentino da scrivania, da utilizzare come costante riferimento per la produzione degli interni.

 

E’ fondamentale infatti che un casco appoggi sulla testa in determinati punti (zigomi, mandibola) e sia invece molto più morbido in altri per risultare più confortevole. Una volta definita la forma generale si razionalizzano le superfici al CAD e si inizia il lavoro per creare la calotta interna in polistirolo ottimizzando spessori e densità. In fase prototipale si è arrivati addirittura a modellare tridimensionalmente anche le cosiddette superfici anatomiche, ovvero le parti in spugna a contatto con la pelle.

In fase prototipale si è arrivati a modellare tridimensionalmente anche le superfici anatomiche. In questo modo è stato possibile realizzare interni regolabili, che mantengano quindi l’assetto del casco sulla posizione ottimale a prescindere dalla forma della testa del pilota

In questo modo è stato possibile realizzare interni regolabili, che mantengano quindi costante l’assetto del casco sulla posizione ottimale a prescindere dalla forma della testa del pilota – un esempio per tutti, la cuffia, che attraverso un registro è capace di mantenere sempre la calotta all’altezza giusta rispetto agli occhi a prescindere dall’altezza della fronte. Allo stesso modo, inserendo od estraendo uno spessore vincolabile alla cuffia stessa è possibile definire la posizione longitudinale del casco, allontanandolo o avvicinandolo alla fronte o alla parte posteriore del cranio.

La seconda parte del lavoro, verificata la calzata perfetta sul cranio di Rossi e quindi la validità intrinseca del metodo di lavoro, è stato ottimizzare la forma degli interni del casco utilizzando i dati raccolti sugli altri piloti in maniera da definire delle medie ergonomiche che potessero rendere il casco calzabile con comodità da diverse persone, e su cui le possibilità di regolazione entrino in gioco soltanto in un secondo momento per una sorta di messa a punto fine. Il punto successivo dovrà essere, spiegano bene i tecnici Mavet e AGV, la formazione della struttura di vendita in maniera tale da riuscire ad assistere il cliente nella configurazione del casco sulla propria forma della testa.

 

Anima Racing

Tutto il progetto è nato con il PistaGP, studiato espressamente per l’uso racing. Una delle peculiarità fondamentali del casco in oggetto traspare fin da una prima analisi della forma, che mette in evidenza come la sagoma sia stata studiata per dare il meglio – aerodinamicamente, ergonomicamente e per posizionamento del campo visivo – nella posizione adottata durante la guida in pista. Attraverso una simulazione CAD, partendo dalle foto di Rossi e dei vari piloti in sella, si è quindi studiata la sagoma ideale del casco per massimizzarne l’efficienza nella postura corretta. Ampiezza della finestra dell’oblò, altezza della visiera ed efficacia aerodinamica sono quindi quelli ideali per una posizione raccolta in carenatura. Naturalmente, a seguito di queste considerazioni sono stati determinati gli spessori ideali per la struttura in polistirolo e sono state riprese sull’esterno le forme della testa umana un po’ per migliorarne l’aerodinamica, un po’ – accorciando la zona inferiore – per ridurre la possibilità di traumi a seguito di caduta per impatti con la clavicola o in generale il torace. E per non interferire, aspetto non secondario, con l’azione dell’airbag in caso di sua attivazione.

 

Il lavoro successivo si è concentrato sull’aerodinamica: con apposite sessioni in galleria del vento si è ottimizzata la forma esterna. Inizialmente, infatti, il casco aveva una forma molto più massiccia nella zona posteriore; con una serie di passaggi intermedi si è arrivati alla foggia attuale, con lo spoiler che vedete fissato sulla calotta e non integrato in quest’ultima per evitare di creare sagome potenzialmente pericolose in caso di impatto con l’asfalto. E’ interessante notare come tali appendici aerodinamiche applicate successivamente al casco, a differenza di realizzazioni della concorrenza che che applicano appendici aerodinamiche prototipo supplementari sui caschi dei piloti per migliorarne l'aerodinamica, sono pensate e studiate durante il processo di definizione del casco stesso con tutti i benefici che ne derivano.

Allo stesso modo, la sagoma molto affusolata della mentoniera è nata per limitare il fenomeno dello “schiaffo” in staccata, quando si esce dal cupolino per attaccarsi ai freni. Siamo lontani da realizzazioni nate per vezzi estetici voluti dai designer: ogni dettaglio è studiato per una funzione specifica, e porta sostanziali miglioramenti rispetto al casco precedente riscontrati sul campo da tutti i piloti e i tester di alcune case motociclistiche coinvolti nello sviluppo.

Nessuno dei piloti che ha provato il PistaGP ha più voluto tornare al GP Tech, per intenderci, e tutti utilizzano gli interni standard del casco di serie, senza necessità di realizzazioni personalizzate

Le prove hanno dato tutte esito positivo anche con fogge di cupolini molto diverse l’una dall’altra, riscontrando affaticamenti sostanzialmente minori tanto dal punto di vista fisico che psicologico. Nessuno dei piloti che ha provato il PistaGP ha più voluto tornare al GP Tech, per intenderci – e tutti, a differenza di quanto avviene con caschi della concorrenza e con gli stessi modelli precedenti AGV, utilizzano gli interni standard del casco di serie, senza necessità di realizzazioni personalizzate o di imbottiture extrarigide per avere la giusta stabilità nella calzata nell’uso in gara.

 

Anche le prese d’aria sono state oggetto di profondi studi, soprattutto in termini di posizionamento ed inclinazione per adattarsi al meglio alla sagoma non convenzionale – con un oblò visiera più alto – del PistaGP, nato come dicevamo per essere calzato da un pilota nella posizione di guida raccolta tipica della guida in pista. Gli stessi concetti restano peraltro validi sul Corsa – sempre inteso per un uso in pista, seppure più casual – e sul GT Veloce, dove la maggior ampiezza dell’oblò è funzionale ad offrire una miglior visibilità nei percorsi in salita. In quest’ultimo caso il maggior numero di prese d’aria garantisce comunque una ventilazione ottimale pur con la stessa configurazione studiata per il PistaGP.

 

Crash Test Virtuali

Si passa quindi alla seconda peculiarità del nuovo top di gamma AGV: l’impiego della progettazione FEM (Metodo ad Elementi Finiti) per la definizione di spessori e resistenze dei vari punti del casco, che così può essere ottimizzato nelle sue dimensioni esterne evitando inutili – anzi, dannosi – sovradimensionamenti qualora non offrano nulla in più in termini di sicurezza. L’impiego delle simulazioni al computer ha infatti consentito di simulare ogni genere di impatto su vari punti del casco, velocizzando e razionalizzando il lavoro di definizione dei tecnici prima di verificare poi in seguito, con le prove in laboratorio, la coerenza del prodotto finale a quanto fatto in progettazione.

La rappresentazione grafica di un crash-test virtuale al calcolatore
La rappresentazione grafica di un crash-test virtuale al calcolatore

In questo modo – simulando tutti gli impatti previsti dai test ECE e Sharp – è stato possibile presentare fin da subito in fase di omologazione un casco già definitivo in termini di spessori e materiali tanto della calotta esterna quanto di quella interna in polistirene. Tale metodo viene impiegato su tutti i caschi del gruppo Dainese, a prescindere dal materiale, fin dal 2003, eliminando la fase di modellazione dei manichini che porta a sprecare tempo ed energie dei progettisti e dei tecnici nel processo di ottimizzazione per approssimazioni successive.

 

L’approccio di Mavet, invece, dà modo ai tecnici di ottenere per prototipazione rapida i primi esemplari in tempo ridottissimo con una definizione già quasi definitiva dei casco finale, per proseguire poi attraverso l’analisi ad elementi finiti nell’ottimizzazione del casco. Sempre attraverso la modellazione 3D al computer è stato possibile miniaturizzare il meccanismo di apertura visiera – sembrerebbe un virtuosismo inutile, fino a quando non si considera il fatto che tale miniaturizzazione consente di limitare l’erosione – passateci il termine – di spessore delle due calotte del casco in quella zona a favore della sicurezza e del contenimento delle dimensioni generali del casco.

E’ importante sottolineare come tutte queste attività, queste conoscenze, queste tecnologie, siano presenti all’interno di Mavet, allo stato attuale unico costruttore a poter vantare l’impiego autonomo di tale metodologia. Altri costruttori adottano metodi simili ma esternalizzano questo genere di studi, non potendo così contare sulla specificità del know-how vantato dall’azienda del Gruppo Dainese. Lavorando completamente al proprio interno, con un processo gestito dall’inizio alla fine attraverso la modellazione ad elementi finiti, è stato possibile integrare veri e propri virtuosismi – guardate le prese d’aria a filo calotta – nella struttura di un casco che diversamente sarebbe risultato al limite dell’irrealizzabile.

Sempre per garantire la massima sicurezza, infine, la visiera mantiene in ogni suo punto uno spessore sempre superiore ai 3mm (mantenendo una classe ottica 1, la migliore, studiando appositamente la conformazione con speciale riferimento alla posizione degli occhi) e viene tenuta chiusa attraverso un meccanismo di blocco studiato appositamente per ridurre il rischio di apertura in caso di caduta.

 

Extreme Standards Helmets, un protocollo integrato

In tema di sicurezza, in quel di Campodoro tengono molto in considerazione ogni aspetto. In particolare la progettazione viene curata facendo specifico riferimento a quanto prescritto dalla normativa ECE, ma portando oltre il discorso tanto in fase di progettazione FEM quanto nei test pratici attraverso grande attenzione verso il già citato studio SHARP. Tutti i test – simulati e pratici – vengono quindi effettuati sia alle velocità previste dalla ECE quanto a quelle, superiori, utilizzate nel test britannico SHARP.

Il test SHARP viene utilizzato anche come guida nella scelta dei compromessi a cui inevitabilmente si deve sottostare nella realizzazione di un casco. Posto che allo stato dell’arte attuale non è possibile creare un casco che allo stesso tempo protegga al massimo chi lo indossa senza pregiudicarne pesantemente la reale calzabilità, la natura stessa del test SHARP fa si che ci si possa basare su statistiche relative ad impatti e conseguenze per definire in quali punti sia possibile alleggerire e razionalizzare la struttura di un casco. Il protocollo di test è stato addirittura implementato direttamente all’interno delle simulazioni al computer in maniera tale che la definizione delle matematiche (ovvero, semplificando, dei vari spessori di ogni zona del casco) venga effettuata automaticamente in maniera tale da restituire con ottima approssimazione un casco a cinque stelle nel test SHARP.

 

Vale la pena di sottolineare come le prestazioni rilevate del casco siano comunque nettamente superiori a quanto richiesto da entrambe le procedure, e capaci di offrire ottimi risultati anche con test di differente filosofia – parliamo evidentemente di normative di estrazione statunitense, che privilegia i test d’impatto contro superfici dal profilo diverso da quelle impiegate nei test europei. La fiducia dei tecnici Mavet nel nuovo PistaGP si spinge fino a pronunciarsi ragionevolmente sicuri del fatto che il loro casco supererebbe i test impiegati da FIA per la Formula 1.

Tutti questi test vengono raccolti sotto il nome di AGV Standards – scusateci, Extreme Standards Helmets, come è cambiato il nome da qualche tempo a questa parte – che identifica un processo gestito dall’inizio alla fine attraverso il protocollo stabilito, e soprattutto integralmente all’interno del gruppo Dainese, senza esternalizzazioni che possano introdurre variabili non completamente sotto controllo dei progettisti.

 

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