Massimo Clarke: "Lubrificazione e prestazioni"

Massimo Clarke: "Lubrificazione e prestazioni"
Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Diversi motori ultrasportivi dell’ultima generazione adottano un circuito a carter secco. Ecco alcune considerazioni in merito ai vantaggi che può offrire questa soluzione e ad altri aspetti della circolazione dell’olio | M. Clarke
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
7 dicembre 2011


Uno dei problemi dei motori che raggiungono regimi di rotazione molto elevati è quello del contenimento delle perdite meccaniche, ovvero degli assorbimenti di potenza dovuti agli attriti, al pompaggio, alla “ventilazione interna” e allo sbattimento (che, a ragione, diversi tecnici chiamano “freno olio”). Per quanto riguarda quest’ultimo, si tratta in pratica della resistenza causata dal lubrificante, che ostacola il movimento dell’albero a gomiti e delle bielle all’interno della camera di manovella. Una cosa è fendere aria pura e un’altra è “tagliare” una densa pioggia di olio! Si deve anche tenere conto del fatto che il lubrificante possiede una considerevole viscosità. Osservazioni effettuate con l’ausilio di una finestrella trasparente hanno consentito di appurare che, almeno in certe situazioni, l’olio tende ad “avviluppare” gli organi del manovellismo, frenandone il movimento in misura ancora superiore a quanto ci si potrebbe  aspettare.

Per superare questo problema, almeno parzialmente, in prima battuta i progettisti di motori di moto hanno installato una o più paratie all’interno del basamento, in grado di separare la camera di manovella dalla coppa dell’olio. Poi ci si è spinti più in là, realizzando delle paratie “raschianti” o quasi e disponendo la coppa sotto l’alloggiamento del cambio, ossia ben lontana dal vano in cui si muove l’albero a gomiti. Un ulteriore step è stato effettuato piazzando i passaggi di ritorno dell’olio dalla testa all’esterno della camera di manovella e facendoli sfociare direttamente al di sopra della coppa.


Carter secco


Nei moderni motori di elevata potenza specifica, per migliorare il raffreddamento dei pistoni (che altrimenti raggiungerebbero temperature troppo elevate) si adottano dei getti di olio emessi da appositi ugelli. Questo ovviamente peggiora le cose, per quanto riguarda le perdite per sbattimento, ma si tratta di un male necessario. Il rimedio definitivo è costituito dal passaggio alla lubrificazione a carter secco con camera di manovella che viene mantenuta in depressione da una o più pompe di recupero di portata esuberante. Questa è in effetti la soluzione impiegata in tutti i motori delle motoGP, e in alcuni recentissimi bicilindrici di serie.

Fino a pochi anni fa, comunque, i circuiti a carter secco venivano impiegati per altre ragioni (che rimangono tuttora valide, ovviamente). Tanto per cominciare, permettono di ridurre l’ingombro verticale del motore, eliminando la coppa. Un vantaggio non da poco, in certi casi. Così si spiega l’adozione di tali sistemi di lubrificazione in molti grossi monocilindrici. In seconda battuta, la soluzione assicura ai componenti interessati (cuscinetti dell’albero a gomiti in primo luogo) un flusso di olio in pressione continuo in qualunque situazione, ivi comprese le impennate, i salti e via dicendo. La pompa di mandata infatti può “pescare” sempre il lubrificante dalla parte inferiore del serbatoio, opportunamente conformata.


Come funziona?


Un circuito di lubrificazione a carter secco prevede l’impiego di due pompe; a quella di mandata infatti se ne aggiunge una di recupero, che provvede ad aspirare il lubrificante (ma sarebbe forse più corretto dire la schiuma aria-olio) da un pozzetto praticato nella parte inferiore della camera di manovella. Spesso rispetto a questo schema base ci sono delle “variazioni sul tema”. Le pompe di recupero possono infatti essere numerose. Nei motori di Formula Uno si è arrivati ad impiegarne una decina; qui occorre tenere presente che oltre alle camere di manovella (che in un V10 sono cinque e in un V8 quattro) ci sono anche le teste dalle quali aspirare il lubrificante. Questo non perché esso non scenda sotto l’azione della gravità, ma in quanto nelle curve l’accelerazione trasversale può raggiungere valori impressionanti, tali da ostacolare il ritorno dell’olio (che in certi casi invece di scendere può addirittura essere spinto verso le teste!).

In diverse esecuzioni moderne (vedi KTM) il serbatoio dell’olio viene incorporato nello stesso basamento, cosa che consente di eliminare le tubazioni e i raccordi esterni. Nelle MotoGP, come pure nella recentissima Ducati 1199, il serbatoio è costituito da una coppa, dotata di un profondo pozzetto, che viene posta al di sotto del vano in cui è alloggiato il cambio. Una soluzione semplice e razionale.

Sempre in tema di lubrificazione, può essere interessante osservare che nei motori motociclistici di schema classico, con un cilindro (o due a V), l’ingresso dell’olio destinato a lubrificare il cuscinetto di biella avvenga di norma da una estremità dell’albero a gomito, attraverso una canalizzazione assiale. Si tratta di una soluzione vantaggiosa, che viene utilizzata anche nei motori delle motoGP e delle auto di Formula Uno e che evita di dovere fare ricorso a pressioni di mandata molto elevate, indispensabili quando le canalizzazioni di ingresso nell’albero sono radiali e l’adduzione avviene tramite i cuscinetti di banco. In questo secondo caso, tipico di tutti i motori di serie a tre e a quattro cilindri oggi in produzione, per entrare nell’albero l’olio deve vincere la forza centrifuga, che è legata al diametro dei perni di banco e al regime di rotazione. Quando quest’ultimo è molto elevato, occorre impiegare una pressione di mandata molto alta, il che si traduce in un cospicuo assorbimento di potenza da parte della pompa.
Facendo ricorso a una canalizzazione di ingresso assiale (praticata a una o a entrambe le estremità dell’albero) si può adottare una pressione notevolmente inferiore, a tutto vantaggio del rendimento meccanico del motore. Per fare un esempio, con un perno del diametro di 50 mm e un regime di rotazione di 15000 giri/min occorrerebbe utilizzare una pressione di oltre 6 bar più alta di quella che sarebbe sufficiente con una mandata assiale.
 

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