Massimo Clarke: i motori bicilindrici

Massimo Clarke: i motori bicilindrici
Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Di bicilindrici ce ne sono per tutti i gusti e di tutte le forme. Vediamo sinteticamente come stanno le cose, prendendo in esame, in questa sede, i soli motori a quattro tempi | M. Clarke
  • Massimo Clarke
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6 luglio 2011


L’attuale scena motociclistica offre motori con un numero di architetture costruttive e un numero di frazionamenti mai visto in precedenza. Si va dai mono ai sei cilindri, con disposizioni che a seconda dei casi sono in linea, a V o boxer.

In particolare, sono i bicilindrici a presentare la maggiore varietà di temi; quelli oggi in commercio hanno infatti angoli della V compresi tra 45° e 90°. Quelli in linea hanno tre diverse configurazioni dell’albero a gomiti, alle quali corrispondono differenti spaziature tra le fasi utili (ovvero tra gli “scoppi”) e diversi comportamenti per quanto riguarda l’equilibratura, e quindi la produzione di vibrazioni. Insomma, ce n’è davvero per tutti i gusti! Vediamo sinteticamente come stanno le cose, prendendo in esame, in questa sede, i soli motori a quattro tempi.

Bicilindrici Boxer


I bicilindrici boxer rientrano in una categoria a sé stante: perfettamente equilibrati, se si eccettua una modestissima coppia non bilanciata (ma la BMW ha pensato di eliminare le pressoché inavvertibili vibrazioni da essa generate utilizzando un albero ausiliario!), hanno un funzionamento straordinariamente “rotondo” e pastoso anche in quanto le fasi utili risultano distanziate uniformemente, cosa che rende molto piacevole pure la tonalità di scarico. Questa architettura si presta ottimamente ad essere impiegata in un svariate tipologie di moto. Però non è proprio la migliore immaginabile, quando si vanno a cercare le più elevate prestazioni in assoluto (moto supersportive e da competizione) e questo per il semplice motivo che disponendo il motore con i cilindri trasversali rispetto al telaio è praticamente impossibile ottenere condotti di aspirazione dall’andamento ottimale ai fini della massima potenza. A disporre i cilindri longitudinalmente (ovvero uno rivolto in avanti e l’altro all’indietro) oggi non è neanche il caso di pensare (il motore sarebbe troppo lungo). Inoltre, l’albero a gomiti poggia su due soli supporti di banco e ha i perni di biella a 180°; a collegarli provvede un braccio di manovella lungo e non supportato. Tutto OK, ovviamente, (specialmente in presenza di corse piuttosto corte), ma non proprio ideale se un motore deve girare molto al di sopra di 10.000 giri/min…

Bene ha fatto quindi la BMW a realizzare, per gli appassionati più sportivi, una moto a quattro cilindri e con architettura non più boxer, ma in linea (S 1000 RR). E bene ha fatto anche a completare la sua ampia gamma con dei modelli, di varie tipologie, azionati da un motore a due cilindri paralleli (800, nelle diverse versioni). E qui occorre dire che non c’è scritto da nessuna parte che una architettura di questo tipo sia superiore o inferiore a una a V, per quanto riguarda le prestazioni massime ottenibili, a parità di cilindrata.


La disposizione dei cilindri


La formula che ci dà la potenza parla chiaro: i parametri che entrano in gioco sono la cilindrata, la velocità di rotazione e la pressione media effettiva (PME). Non ci sono accenni di sorta alla architettura del motore. Certo, la PME dipende da una serie di fattori, tra i quali spicca la bontà della respirazione (ossia il rendimento volumetrico), ma non si vede perché debbano essere diversi se i cilindri sono in linea o a V. In fatto di potenza di punta, non sembra che ci sia una differenza davvero sensibile tra le superbikes Aprilia (a V) e BMW e Yamaha (in linea). Pure per quanto riguarda le MotoGP, Honda e Yamaha hanno motori con architetture diverse (rispettivamente a V e in linea), ma sembrano essere piuttosto vicine in fatto di cavalleria (e non si deve dimenticare che la M1 perde circa 4 cavalli in più, rispetto alla rivale, nel tragitto tra l’albero a gomiti e la ruota, a causa della presenza dell’albero ausiliario). Le eventuali differenze dipendono dal rapporto corsa/alesaggio, dalle caratteristiche dei sistemi di aspirazione e di scarico e via dicendo, oltre che dal lavoro di sviluppo effettuato e dalla abilità dei tecnici. Il motore della Suzuki MotoGP è a V (come quello della Honda), ma va un pò meno degli altri. Probabilmente ci ha lavorato un minor numero di tecnici e con un budget inferiore a disposizione…

Immaginiamo di prendere un V 8 di Formula Uno, la cui cilindrata unitaria è di 300 cm3. Supponiamo di impiegarlo per ricavare un bicilindrico 600; avremo la stessa potenza sia se lo utilizziamo in modo da avere due cilindri a V (insomma, se ne tagliamo una “fetta”), sia se usiamo due cilindri della stessa bancata! Beh, se proprio vogliamo andare a cercare il pelo nell’uovo, nel bicilindrico a V avremo due soli supporti di banco, ma perni dell’albero di diametro maggiore, mentre in quello con architettura in linea avremo tre supporti (ma i perni dell’albero potranno avere un diametro minore).
Rimane il fatto che un motore può essere più adatto di un altro, per la propria architettura, ad essere installato in una data ciclistica; può essere più largo ma più corto o risultare più stretto ma più lungo, e via dicendo. Questi però sono altri discorsi, che con la massima potenza ottenibile non c’entrano. E comunque, ne parleremo…
 
Honda 450
Honda 450

Bicilindrici in linea (perni di biella a 360°)


Sempre facendo riferimento ai soli quattro tempi, passiamo ora ai bicilindrici in linea, cioè ai motori con due cilindri paralleli. Qui le differenze, non certo trascurabili, riguardano la disposizione delle manovelle dell’albero a gomiti. Quella classica prevede i due perni di biella a 360°, ovvero allineati. Le fasi utili sono distanziate uniformemente; si susseguono infatti ogni 360° di rotazione dell’albero. Lascia però a desiderare l’equilibratura, che è analoga a quella di un monocilindrico. Pure in questo caso, infatti, non sono bilanciate né le forze d’inerzia del primo ordine né quelle del secondo. Di conseguenza, per abbattere le vibrazioni occorre impiegare un equilibratore dinamico. Un abbattimento completo si avrebbe utilizzando quattro alberi ausiliari a massa eccentrica. La cosa è decisamente complessa, e del resto si ottengono risultati eccellenti con due alberi ausiliari (che girano alla stessa velocità dell’albero a gomiti ma in senso opposto). Nella maggioranza dei casi comunque ai fini pratici è sufficiente utilizzare un albero soltanto, anche se l’abbattimento delle vibrazioni è solo parziale (quelle che rimangono sono poco avvertibili). Un altro tipo di equilibratore dinamico è quello a “falso pistone”, utilizzato ad esempio sul bicilindrico della Yamaha T-max. Simile ad esso è il sistema “a batacchio”, nel quale un perno eccentrico dell’albero aziona una biella collegata all’altra estremità a una massa oscillante. Un equilibratore di questo genere viene impiegato nel bicilindrico 800 della BMW, nel quale consente di bilanciare del tutto le forze del primo ordine e al 70 % quelle del secondo ordine (peraltro di entità modesta già in origine).

Bicilindrici in linea (perni di biella a 180°)


Nell’altra “famiglia” di motori a due cilindri paralleli l’albero a gomiti ha i perni di biella disposti a 180°. Questo vuol dire che mentre un pistone sale al punto morto superiore (PMS), l’altro scende al punto morto inferiore (PMI). Tale situazione ha due conseguenze. Innanzitutto le fasi utili (cioè gli “scoppi”) non sono distanziate in maniera uniforme. Si susseguono infatti ogni 180°…540°…180°… di rotazione dell’albero a gomiti. E infatti al minimo e ai regimi molto bassi è possibile avvertire che il motore, in un certo senso, “galoppa”. Si potrebbe pensare che l’equilibratura sia molto buona (le forze d’inerzia del primo ordine sono perfettamente bilanciate), ma non è così. A parte il fatto che il movimento dei pistoni non è perfettamente simmetrico, un altro e più importante motivo impedisce una perfetta bilanciatura. Gli assi dei due cilindri si trovano inevitabilmente a una certa distanza l’uno dall’altro. Ciò dà origine a una coppia di rullio non equilibrata. In pratica, mentre un pistone tende a “tirare su” un lato del motore, l’altro “spinge verso il basso” il lato opposto. E viceversa, con una situazione di squilibrio che si alterna ciclicamente. Per eliminare questo problema si fa ricorso a un albero ausiliario dotato di due masse eccentriche, che ruota alla stessa velocità dell’albero motore, ma in senso opposto.

Bicilindrici in linea (perni di biella a 270°)


Da alcuni anni a questa parte hanno fatto la loro comparsa anche alcuni bicilindrici paralleli con manovelle a 270° (o, se si preferisce, a 90°). In questo caso mentre un pistone è a un punto morto, l’altro si trova nelle vicinanze di metà corsa e si muove pertanto con una elevata velocità. In un certo senso, fa un poco da “volano”. La coppia di rullio è molto ridotta, rispetto a quella che si ha con le manovelle a 180°. Per quanto riguarda le forze d’inerzia del primo ordine, sono nettamente meno squilibrate, rispetto a quanto si verifica con le manovelle a 360°, ma la situazione certo non è ideale. Per questa ragione, al fin di abbattere le vibrazioni, nei motori bicilindrici di questo tipo oggi in produzione (Yamaha Supertenerè, Triumph Bonneville…) si impiegano due alberi ausiliari di equilibratura. Le fasi utili non sono distanziate in maniera uniforme. Si susseguono infatti ogni 270°…450°…270°…


Lo schema classico, per quanto riguarda i motori a due cilindri paralleli, è quello che prevede i perni di biella a 360°. Per decenni ha dominato la scena incontrastato. Poi, durante gli anni Sessanta, la Honda ha adottato lo schema a 180° su vari motori della sua gamma (in particolare, sulla CB 450) e in seguto tale soluzione è stata ripresa anche da altri costruttori. La Kawasaki la utilizza sulle bicilindriche della serie ER-6, tanto per fare un esempio significativo. Quello che prevede le manovelle a 90° è uno schema “lanciato” alcuni anni fa dalla Yamaha sul TDM 850. Non era però inedito, in quanto lo aveva proposto, già negli anni Cinquanta, il grande tecnico Phil Irving, in versione con perni di biella a 76°, perché venisse adottato sui grossi bicilindrici inglesi dell’epoca. La scelta di questo angolo non è casuale, e in effetti fornisce risultati che, sotto un certo aspetto, sono leggermente migliori rispetto alla soluzione con manovelle a 90°. Con una lunghezza della biella pari a due volte la corsa, dopo 76° di rotazione dell’albero dal PMS il pistone si muove infatti alla massima velocità.

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