Le straordinarie moto dell’ASI Moto Show

Le straordinarie moto dell’ASI Moto Show
Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Brevi cenni su alcune splendide realizzazioni estere, difficilmente osservabili nel nostro Paese, che si sono viste al recente ASI Moto Show di Varano de' Melegari
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
10 maggio 2016

Anche quest’anno, la grande manifestazione che l’ASI organizza a Varano (L'ASI Moto Show di cui qui vi abbiamo già proposto una galleria di immagini) ha radunato modelli da competizione storici di eccezionale pregio, che è stato possibile osservare da vicino nell’ampio paddock del circuito emiliano.
Ai collezionisti e agli appassionati, presenti come sempre in gran numero, si sono aggiunti alcuni dei più importanti club del settore, le associazioni e i rappresentanti dei registri storici delle marche più prestigiose. Tanti modelli che hanno fatto la storia del motorismo, non solo in ambito sportivo, erano radunati in congrui gruppi, come ad esempio quello delle Laverda, che non mancano mai a questo appuntamento. Entusiasmanti come sempre le varie Benelli “quattro” da Gran Premio, in versioni tanto a cilindri verticali (progettate dall’ing. Savelli e grandi protagoniste negli anni Sessanta) quanto a cilindri inclinati (disegnate da Prampolini e in pista nei primi anni Settanta). Per non parlare delle numerose Norton e Matchless monocilindriche, più le giapponesi utilizzate a lungo dai piloti privati, e via dicendo… Un elenco troppo lungo, che meriterebbe di essere descritto in dettaglio, vista l’importanza tecnica e storica dei modelli. In questa sede ci si può solo limitare a qualche parola su qualche presenza di particolare interesse.

 

Le MZ dalla Germania

Nel 1969 la MZ ha proposto per prima l’architettura in tandem per le bicilindriche a disco rotante, ripresa anni dopo da Kawasaki e Rotax. In questa 125, che pare erogasse oltre 32 CV, i due alberi a gomito ruotano nello stesso verso e sono in presa con un albero ausiliario, alla cui estremità è montata la frizione
Nel 1969 la MZ ha proposto per prima l’architettura in tandem per le bicilindriche a disco rotante, ripresa anni dopo da Kawasaki e Rotax. In questa 125, che pare erogasse oltre 32 CV, i due alberi a gomito ruotano nello stesso verso e sono in presa con un albero ausiliario, alla cui estremità è montata la frizione

Un gruppo di appassionati tedeschi ha portato alcune rare e pregevoli MZ da competizione con motori raffreddati ad acqua. La casa tedesca è stata la diretta discendente della DKW, i cui uffici tecnici e le cui strutture produttive, dopo il termine della seconda guerra mondiale, si sono venute a trovare nella Germania dell’Est e sono state statalizzate. Per qualche tempo le moto si sono chiamate IFA, ma dalla metà degli anni Cinquanta hanno assunto la denominazione definitiva, con una sigla che sta per Motorradwerke Zschopau. A capo del reparto corse c’era l’ing. Walter Kaaden, che ha subito adottato la distribuzione a disco rotante sviluppata a Berlino da Daniel Zimmermann, e ha sviluppato gli scarichi a camera di espansione: si tratta di due contributi fondamentali per lo sviluppo tecnico dei motori a due tempi. La MZ è stata la prima a raggiungere i 200 CV/litro, con la sua 125 del 1960. A Varano spiccava in particolare la rarissima 125 bicilindrica in tandem del 1969, che è stato l’autentico canto del cigno della casa in campo velocistico.

 

Fritz Egli e la Vincent

Nel paddock spiccava anche una Egli-Vincent 1000, moto costruita in un numero molto ridotto di esemplari dallo svizzero Fritz Egli a partire dal 1967. Il motore Vincent, un bicilindrico a V di 50°, venne progettato dal grande tecnico australiano Phil Irving

Bella e veloce, ma non facile da incontrare dalle nostre parti, nel paddock spiccava anche una Egli-Vincent 1000, moto costruita in un numero molto ridotto di esemplari dallo svizzero Fritz Egli a partire dal 1967; era azionata da un motore inglese di 1000 cm3, che a suo tempo era stato il più potente della intera produzione mondiale con i suoi 55 CV e che era uscito di scena all’inizio 1956, quando la Vincent aveva chiuso i battenti. Si trattava di un bicilindrico a V di 50°, progettato dal grande tecnico australiano Phil Irving; aveva un alesaggio di 84 mm e una corsa di 90 mm e impiegava una distribuzione ad aste e bilancieri. La versione preparata da Egli e installata in un telaio di sua progettazione (caratterizzato da un singolo tubo superiore di grande diametro) erogava quasi 80 CV a 6.500 giri/min. Una quindicina di anni fa, in Francia sono state realizzate alcune decine di repliche di questa moto, alcune della quali con cilindrata portata a circa 1300 cm3.

 

Harley-Davidson XR

La sezione del motore della “aluminum XR” 750, cortesemente fornita dal prof. Laimbock del politecnico di Graz, consente di osservare le due valvole (formanti tra loro un angolo di 68°) alloggiate in ogni testa: quella di aspirazione è da 42 mm e quella di scarico è da 35 mm
La sezione del motore della “aluminum XR” 750, cortesemente fornita dal prof. Laimbock del politecnico di Graz, consente di osservare le due valvole (formanti tra loro un angolo di 68°) alloggiate in ogni testa: quella di aspirazione è da 42 mm e quella di scarico è da 35 mm

Nel 1970, la Harley-Davidson ha sostituito la sua gloriosa KR 750 a valvole laterali, a lungo primattrice nelle gare di dirt track, con una nuova moto con distribuzione ad aste e bilancieri. È così apparsa la deludente prima versione della XR, a corsa lunga e con teste e cilindri in ghisa. Una profonda riprogettazione ha portato alla realizzazione della seconda versione, con teste e cilindri in lega di alluminio e misure caratteristiche leggermente superquadre (79,4 x 75,7 mm). Questa splendida moto, realizzata in versioni da dirt track e da velocità, è apparsa nella primavera del 1972 e ha subito mostrato di possedere eccellenti caratteristiche. Inizialmente la potenza era dell’ordine di circa 70 cavalli a 7.600 giri/min, ma nel 1973 è salita a 80, al regime di 8.000 giri.

 

Francia e dintorni

Delle moto francesi si parla abbastanza poco, benché alcune di esse siano state costruite in numeri molto elevati da aziende di grandi dimensioni. Nel dopoguerra però si trattava di modelli quasi invariabilmente di cilindrata contenuta e di prestazioni modeste, destinati al tranquillo impiego di tutti i giorni. Inoltre i costruttori d’oltralpe non si curavano molto delle esportazioni e, nonostante il fatto che in patria si svolgesse una vivace attività agonistica (spiccava in particolare il Bol d’Or), non hanno mai realizzato moto da Gran Premio; questo ha fatto sì che, dopo il termine del secondo conflitto mondiale, i marchi francesi non abbiano avuto significativa rilevanza a livello internazionale. Fa eccezione un piccolo straordinario artigiano, Jean Nougier, che lavorava con il fratello Henri in un piccolo atelier di Saint-Audiol dal quale, tra la metà degli anni Trenta e il 1972, sono uscite circa 40 moto, tutte da corsa. Di grande livello tecnico sono state in particolare la 350 e la 500 bialbero a quattro cilindri del 1953-54.

 

Un raro esemplare di Nougier 250 “Tournevis”, moto con distribuzione bialbero comandata da alberello e coppie coniche apparsa poco dopo il termine della seconda guerra mondiale. Realizzate da un abile e appassionato tecnico nella sua officina artigianale, le Nougier sono state a lungo ottime protagoniste nelle gare francesi
Un raro esemplare di Nougier 250 “Tournevis”, moto con distribuzione bialbero comandata da alberello e coppie coniche apparsa poco dopo il termine della seconda guerra mondiale. Realizzate da un abile e appassionato tecnico nella sua officina artigianale, le Nougier sono state a lungo ottime protagoniste nelle gare francesi

A Varano c’era una bella Nougier 250 bialbero, realizzata nella seconda metà degli anni Quaranta. Il comando della distribuzione era affidato a due coppie coniche collegate da un alberello in due parti, collegate con un tipico sistema a baionetta che ha valso a questa moto il soprannome di “Tournevis”.

Ben diversa, ma certamente significativa, era una Jonghi 250 H del 1952, robusta e versatile utilitaria prodotta da una casa attiva fino al termine degli anni Cinquanta. Il motore monocilindrico, a due tempi con doppio scarico, erogava nove cavalli a 4.500 giri/min. Il nome di questa azienda è indissolubilmente legato a quello del direttore tecnico, l’italiano Giuseppe Remondini, che la fondò nel 1930 assieme all’argentino Tito Jonghi.

Decisamente straordinaria, sia numericamente che qualitativamente, è stata la partecipazione dei sidecar, non solo con bellissimi esemplari storici, ma anche con formidabili realizzazioni moderne. Al punto che appare opportuno parlarne in un servizio a sé stante.  

 

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