I racconti di Moto.it: "La chiave del tredici"

I racconti di Moto.it: "La chiave del tredici"
Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
Motoki era un genio. Aveva terminato gli studi di ingegneria quantistica applicata all’antimateria in soli tre anni rendendo fieri i genitori. Laurearsi negli anni tremila era oramai soltanto un traguardo personale senza alcun più risvolto pratico
  • Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
17 agosto 2012

Punti chiave

Motoki era un genio. Aveva terminato gli studi di ingegneria quantistica applicata all’antimateria in soli tre anni rendendo fieri i genitori. Laurearsi negli anni tremila era oramai soltanto un traguardo personale senza alcun più risvolto pratico: da quando le scoperte scientifiche erano state completate il mondo non aveva più alcuna incognita tale da suscitare l’interesse di ricercatori e scienziati, chi si laureava lo faceva solo per capire più a fondo i sottili meccanismi che regolavano la realtà sensibile. Tutti i mezzi a motore, moto comprese, erano stati sostituiti dal teletrasporto più di cinquecento anni prima in nome della riduzione dell’inquinamento. In realtà, circolavano arcane leggende sulle motociclette e sui loro umori e rumori, sul fatto che alcune sembravano possedute da uno spiritello maligno e capriccioso; qualcuno riferì persino la diceria che fossero state strumenti del demonio e tutto questo affascinava enormemente la mente di Motoki.


Niente malattie, tutte le cure erano state scoperte. Persino morire era diventata un’opzione: bastava fare richiesta al ministero per l’accesso al programma per l’ibernazione dinamica: un rallentamento delle funzioni vitali che permetteva di vivere quasi all’infinito dormendo 12 ore al giorno dentro un sarcofago freddo come il Polo Nord, quest’ultimo inghiottito dal caldo e dal mare secoli fa. Terra ne era rimasta poca, in effetti. Comunque, Motoki era lì: in quel tempo, con un’inutile laurea in mano, i fieri genitori, la prospettiva poco affascinante di avere almeno cento anni di vita avanti a sé nei quali non avrebbe avuto niente da scoprire e nulla per cui incuriosirsi, immobile come un sasso nella spiaggia e con la irritante sensazione che qualcosa, così presto nella sua vita, fosse già andata storta. Così giovane e già insofferente. Era insoddisfatto, Motoki. La realtà degli anni tremila lo deprimeva terribilmente. Si diede dei gran pugni in testa e cercò di farsi uscire un’idea per dare un guizzo a quell’esistenza che si prospettava già alquanto monotona e su una china in discesa verso l’ibernazione dinamica che tutti a 75 anni utilizzavano per non dare dispiaceri ai parenti stretti. Si campava fino a quando un guasto nel dispositivo per l’ibernazione non ti faceva spegnere senza sentire nulla, nel sonno. Di solito accadeva così. Lo so, è strano.

 

Motoki voleva una soluzione. La trovò. Si rifugiò nel laboratorio di casa deciso a costruire una macchina del tempo, cosa che aveva visto fare più volte all’università ma che aveva bisogno di una enorme quantità di energia per funzionare correttamente e di certo la quantità necessaria per innescare un viaggio nel tempo avrebbe avuto un costo spropositato ma Motoki risolse di andare avanti lo stesso e pochi giorni dopo aveva già terminato. Di buon mattino accese il dispositivo di comunicazione globale e chiamò a raccolta i suoi oltre tre milioni di amici sparsi per il mondo (la maggior parte dei quali erano solo degli ologrammi tridimensionali di persone semisconosciute), spiegando il suo progetto di tornare indietro nel tempo per trovare un senso diverso alla vita e spiegò loro che a questo scopo era necessario che loro immettessero una piccola goccia di energia nella rete ad un certo orario al quale lui avrebbe connesso la macchina del tempo; ricevette entusiastiche adesioni e incoraggiamenti; solo da un paese lontano, una ragazza domandò a Motoki come sperava di trovare l’energia necessaria per poi ritornare nell’era attuale, il paradosso era proprio questo: si era in grado di tornare indietro nel tempo, ma non lo faceva nessuno perché era impossibile portarsi dietro l’energia sufficiente per il viaggio di ritorno (e spostarsi in avanti nel tempo ne richiedeva una quantità oltre cento volte superiore a quella necessaria per andare nel passato: misteri della fisica quantistica). Il nostro glissò abilmente la questione.

 

All’orario convenuto ciascuno dei tre milioni di amici (anzi più di nove milioni, dato che si era un po’ sparsa la voce) immise nella rete una piccola, quasi trascurabile, quantità di energia che unita insieme risultò enormemente superiore a quella necessaria per fare un salto indietro di mille anni e proiettò Motoki un tantino più in là nel tempo come un sasso piatto continua a rimbalzare sulla superficie del mare e si allontana sempre più, sorprendentemente, fino a sparire dalla visuale. Dopo un gran botto, la macchina del tempo sparì dal laboratorio in una nuvola di fumo violetto e Motoki uscì fuori dalla cabina fumante di ioni e lucido di antimateria, stordito e pensando di essere circa nel 2000 d.C., anno più, anno meno.
- Passami la chiave del 13!
- Eh?
- Ho detto passami la chiave del 13!
Motoki si girò intorno e non credeva ai propri sensi: campi verdissimi e sconfinati, l’aria pulita e tersa rendeva il paesaggio brillante e dai colori vivacissimi, il sole non bruciava e il contatto con l’erba era una carezza lieve sui piedi nudi. Un signore in tuta da meccanico, in verità pulitissima e illibata, assemblava in pieno prato una bellissima motocicletta; guardava Motoki impaziente e con la mano tesa verso lui.
- La chiave del 13, grazie.
Motoki si guardò attorno e vide un lindo tavolo da lavoro con una sola chiave inglese, quella del 13. Gliela passò senza capire cosa stesse accadendo.


- Scusa… ma questa è una…
- …motocicletta, bravo figliolo.
- Ma la monti solo con questa chiave?
- Non ho bisogno d’altro, figliolo.
Seguì un piccolo silenzio, Motoki tentava di capire come fosse possibile montare una motocicletta con solo una chiave del tredici, a mani nude. Il signore si girò verso di lui come se avesse compreso la sua incredulità:
- Ti piacciono le moto?
- …non lo so, cioè, si! …questa è la prima che vedo… posso toccarla…?
- Ah, già. So tutto, Motoki. Da dove vieni tu le moto non ci sono più, per spostarvi usate il trasferimento materia.
- Anche volendo, non abbiamo più nemmeno le strade…
- Come mai sei qui, ragazzo mio?
- Volevo andarmene dal mio tempo dove la vita è prevedibile e noiosa; aspetta un minuto… come fai a sapere come mi chiamo?
- Ti immaginavo, immaginavo la tua insoddisfazione, Motoki. Il tempo in cui vivi non importa, abbi fede, in queste cose ho una certa esperienza. Il tempo è un’invenzione per dire che qualcosa è invecchiata. Il tempo è quella cosa con la quale voi misurate le prestazioni e io, onestamente, prima mi arrabbiavo ora mi ci faccio solo due risate sopra e la chiudo lì. Il tempo non è una strada sulla quale scorrono gli avvenimenti e la storia, il tempo è un punto: in un unico istante puntiforme tutto è accaduto e tutto accade e mentre noi stiamo qui a parlarne, nello stesso istante ti assicuro che il futuro sta già accadendo ed è appena diventato passato. Ma forse non sono concetti ancora alla tua portata, scusami: non parlo mai con nessuno e per una volta che qualcuno viene a trovarmi disinteressatamente lo riempio di considerazioni noiose.
Motoki ascoltava la voce del suo interlocutore come incantato e non riusciva a replicare, vedere montare una motocicletta gli infondeva una forte sensazione di serenità e di equilibrio: aveva appena scoperto che lavorare su una motocicletta era un’attività che mette in pace con se stessi e il mondo e lei, la moto, era veramente splendida. Brillava di sole e allo stesso tempo emanava il profumo della notte. Sfiorarne il largo manubrio gli trasmise la scossa dell’adrenalina, la certezza del rischio mai perfettamente controllato e imprevedibile, poi passò il dito sul serbatoio dove il signore aveva appena finito di dipingere con un pennellino finissimo una sigla: “D-1.0”.


- Bella, vero? Facci un giro, dai.
- Non so guidarla.
- Basta imparare. Pensi di farcela?
- Beh… ho una laurea in…
- Non servono lauree per andare in moto.
- Faccio molto sport e…
- Ti assicuro che la moto diventerà il mezzo di trasporto preferito da grassoni pieni di colesterolo, non serve essere atletici per guidare una motocicletta.
- Cosa serve allora?
- Curiosità. Poi verrà il giorno in cui un saggio e barbuto profeta ammonirà che servono pure luciacceseanchedigiornocascobenallacciatoeprudenzasempre ma tu non puoi saperlo, lui era troppo avanti e tu sei nato nell’era sbagliata.
- Non capisco più nulla… ho fatto un viaggio nel tempo di mille anni perché volevo avere una vita diversa: ho letto che negli anni 2000 la terra era già molto urbanizzata, piena di strade e di gente, qui invece io non vedo nessuno, solo prati sconfinati!
- Ma scherzi?? Nei 2000?? Non è la mia era preferita; l’unica cosa che mi farà divertire sarà vederli attendere il 2012 per la fine del mondo. Quasi quasi...
- E la motocicletta?
- È qui. È per te. Ti aspettavo.


D’un tratto il paesaggio cambiò rapidamente trasformandosi in una stupenda vetta montana; un nastro d’asfalto si arrampicava verso la cima con curve dolci e pulite, il clima divenne frizzante; il signore diede un calcio alla pedivella e accese la moto che iniziò a borbottare. Un solo pistone andava su e giù con un minimo più lento del battito dello stupefatto cuore di Motoki che non sapeva se stupirsi di più per la metamorfosi del paesaggio o per il sordo e musicale stantuffare del monocilindrico.
- Il primo vagito di una moto, il primo motociclista del mondo: non c’è che dire, ne avrai da raccontare agli amici quanto tornerai nel tuo tempo – disse il signore ridacchiando e soddisfatto della propria creazione.
Da sotto il banco di lavoro spuntò un casco.
- Dov’è la fregatura?
- Nessuna fregatura. È tutto qui, tu sei il primo motociclista del mondo.
- Scusami, io fatico a comprendere… che giorno è oggi?
- Ancora con questa idea fissa del tempo! Oggi è l’ottavo giorno, figliolo.
Gli girava la testa. Motoki fece due più due e i conti non tornavano, o forse non desiderava affatto che tornassero. Non appena le labbra riuscirono a muoversi cercò di dare un senso a quello che stava vivendo.
- E tu saresti…
- Sì, io sono. Ora metti la prima, è in alto.
- Ma mi assicuri che...
- Motoki, vuoi troppe certezze. Questa è una motocicletta, quella è una strada, ora molla la frizione e parti. Goditela tutta.


Motoki pensò che aveva già diciannove anni nell’ottavo giorno del mondo e nello stesso momento lasciò la frizione avvertendo quella spinta che ti muove qualcosa dentro: gli attimi irripetibili della prima volta che si va in motocicletta e ci si sente mossi in un universo incostante ma in un imprevedibile equilibrio. Era quello che desiderava. Inebriato e assetato di scoperta capì che la strada era lì per lui, la motocicletta era lì per lui, il mondo pure.
Fece pochi metri a pieno gas ma ebbe un pensiero e piantò una brusca frenata, si voltò verso il signore che lo osservava sorridente e gli chiese:
- Vieni con me?
- No, grazie Motoki.
- Ma tu, ci vai in moto?
- No.
- E perché?
- Perché è pericolosa.