A parità di cilindrata i motori con più cilindri sono più potenti?

A parità di cilindrata i motori con più cilindri sono più potenti?
Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Certo. Si tratta di un fatto ben noto alla maggior parte degli appassionati. Ma non tutte le conseguenze di un maggiore frazionamento sono positive | Massimo Clarke
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17 febbraio 2011

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Proprio questo ha portato a più riprese il regolamento relativo alle superbike a stabilire degli handicap di cilindrata in funzione del frazionamento dei motori. Oggi le bicilindriche 1200 gareggiano contro le quadricilindriche di 1000 cm3. In passato per diversi anni i limiti di cilindrata sono stati 1000 cm3 per le moto a due cilindri e 750 per quelle a quattro. Pure il regolamento delle supersport prevede limiti diversi in funzione del frazionamento.
Come ovvio, non tutte le conseguenze di un maggiore frazionamento sono positive. Il motore diventa più complesso e più costoso, e il suo ingombro e il suo peso aumentano. Cresce poi l’estensione delle superfici di strisciamento, il che è svantaggioso ai fini del rendimento meccanico. La massima potenza ottenibile è però più elevata.

Una prima considerazione è immediata ed evidente, anche se tutto sommato risulta di importanza relativamente modesta. Un motore più frazionato ha cilindri più piccoli, che a pari rapporto corsa/alesaggio risultano più facili da raffreddare e consentono di ottenere camere di combustione più compatte. Ciò permette di adottare rapporti di compressione più alti. Oggi comunque, per quanto riguarda le cilindrate e gli alesaggi usualmente in gioco, le differenze non appaiono tanto sensibili.

Quando si aumenta il numero dei cilindri le cose più significative, ai fini delle prestazioni, sono fondamentalmente due. In primo luogo, la diminuzione della corsa fa sì che, a parità di regime di rotazione, la velocità media del pistone risulti minore. Ciò significa che le sollecitazioni meccaniche sono più basse. E viceversa, a pari velocità media del pistone (e quindi con eguali sollecitazioni), il motore può girare più in alto. Questo è importantissimo, in quanto, dato che la potenza è direttamente legata al regime di rotazione, si hanno sensibili vantaggi in termini di cavalli.

In secondo luogo, aumenta la superficie totale dei pistoni. Questo significa che anche le sezioni di passaggio a disposizione dei gas possono essere complessivamente maggiori, il che è ovviamente positivo (aumenta però l’estensione delle pareti lambite dai gas, ossia la superficie “bagnata”, e la cosa è svantaggiosa). Più importante, anzi fondamentale, è il fatto che che, ferme restando la cilindrata, la velocità media del pistone e la pressione media effettiva, la potenza ottenibile risulta direttamente proporzionale alla superficie totale dei pistoni.


Sintetizziamo ora i risultati in termini di prestazioni di punta (cioè di potenza), tenendo presente che le considerazioni seguenti si riferiscono a un raffronto, tra motori di eguale cilindrata ma con diverso numero di cilindri, effettuato a parità di rapporto corsa/alesaggio, velocità media del pistone e pressione media effettiva.
La potenza ottenibile è proporzionale alla radice cubica del numero dei cilindri. Dunque, se un monocilindrico di 500 cm3 eroga 50 cavalli, un bicilindrico ne erogherà 63 (l’aumento è del 26 %, in quanto la radice cubica di 2 è 1,26 e 50 x 1,26 = 63). Un tricilindrico fornirà 73 cavalli e un quadricilindrico 80. Se si passa addirittura a un otto cilindri, la potenza ottenibile diventa doppia, rispetto a quella erogata dal “mono” (infatti la radice cubica di 8 è uguale a 2).

Queste potenze vengono ottenute a regimi differenti. Quella che rimane costante (come il rapporto corsa/alesaggio e la PME) è la velocità media del pistone. Ciò significa che se le misure caratteristiche sono quadre (cioè la corsa è uguale all’alesaggio), la stessa velocità media del pistone che si ha nel monocilindrico (86 x 86 mm) a 6000 giri/min, il quadricilindrico (54 x 54 mm) la raggiunge a 9500 giri/min.
Attenzione, in questo esempio abbiamo fatto sempre riferimento all’incremento di potenza ottenibile aumentando il numero dei cilindri rispetto a un mono. Negli altri casi, cioè prendendo come base di partenza un motore che di cilindri ne abbia più di uno, occorre moltiplicare la sua potenza per la radice cubica del rapporto tra il nuovo numero di cilindri e quello di riferimento.
Così, se un quadricilindrico eroga 100 cavalli, un motore a sei cilindri di analoghe caratteristiche complessive fornisce 114,5 CV, in quanto la radice cubica di 1,5 (cioè di 6 diviso 4) è 1,145.

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