Il raduno estivo

 Il raduno estivo
Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
Oscar apre gli occhi, afferra alla cieca il cellulare, zittisce la sveglia delle sette e poggia le mani sulla pancia. Sarà una grande giornata
  • Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
23 marzo 2018

Oscar apre gli occhi, afferra alla cieca il cellulare, zittisce la sveglia delle sette e poggia le mani sulla pancia. Sarà una grande giornata.

- Maammaaaa!


Avete presente quelle urla che annunciano l'apertura del mercato ortofrutticolo del sabato mattina? Qualcosa del genere, ma meno umane; per un tocco da chef aggiungete un rutto gusto alette di pollo fritte ingurgitate come spuntino di mezzanotte, et voilà: mamma sarà fiera, se soltanto sentisse il grugnito o il successivo squillo di telefono, e invece niente. Per Oscar sarà un duro risveglio, gli toccherà persino cercare da solo i pantaloni di pelle e la maglietta bianca pulita, mentre per la biancheria intima si era già portato avanti l’altro ieri, quindi prossimo cambio soltanto al ritorno dal raduno motociclistico estivo, con il ricordo di leggendarie sgommate.


Quando arriva il momento della rituale transumanza nella bella stagione, l’istinto da biker affinato dall’avventura sa che la perfetta conoscenza delle basi teorico-pratiche del mototurista fanno la differenza tra raggiungere il gruppo, opzione preferita, e restare per ore impigliato tra corde, bagagli e tentativi patetici di fissare alla sella della moto gli arrosticini della zia abruzzese o la botte da 10 litri di rosso, obbedendo comunque al diktat di materno di trovare a tutti i costi un angolo per l’antipioggia che anche se è agosto non si sa mai. Oscar sulla sua boxer 1200 non monta un paio di comode valigie rigide aftermarket, troppo facile: quando puoi arrangiarti con gli scarti di fabbricazione della fabbrica di divani, spendere in tutto dieci euro, appagare la tua voglia di fai da te e contemporaneamente giustificare quel muto orgoglio paterno e la sua consapevolezza di aver cresciuto un uomo ricolmo di risorse, ogni valutazione sul grado di decoro della tua soluzione per il trasporto dei bagagli passa in subordine.


Ed è quello il momento in cui una connessione internet affidabile fin dentro il garage è indispensabile al tecnologico centauro per trovare il tutorial appropriato: nel caso di Oscar “come caricare una moto in stile profugo e uscirne vivo”. Sarà il link giusto? La traduzione automatica del titolo dell’articolo e le poche figure sgranate che il telefono si rifiuta di caricare sono due indizi a favore del sì: una serie di consigli banali originariamente in inglese e arabo letti con gli occhiali da presbite e digerendo le alette di pollo fritte, ma per quest’ultima circostanza c’è il definitivo contributo della terza lattina di birra.


Step 13: in case of emergency ask for humanitarian aid. Ma Oscar, coraggioso e indomito come un orgoglioso peshmerga, l’inglese non lo capisce mica tanto bene e poco gli importa: non gli servirà per dormire in tenda al raduno estivo Summer Bike Madness accanto alla sua motocicletta giurando a sé stesso che in questa vita l’importante è fottersene. Quarantasette anni, matrimonio fallito alle spalle, denudato e umiliato dal mantenimento alla ex moglie, rifugiatosi nella nullatenenza più ostinata pur di non cedere alle tendenze omicide che non sta mai bene e la coscienza di poter rivendicare la proprietà soltanto di tre cose: della moto, della pancia e della barba rosso ruggine.

 

Dall’altra parte della scala evolutiva e ad un numero imprecisato di chilometri di distanza, Delia aveva parlato chiarissimo: “Sposiamoci pure il sei agosto ma io il giorno dopo ho il raduno e vado a dormire lì.” Inascoltato ogni razionale argomento di Sandro e decretato per tempo che la nubenda è indisponibile a perdersi il raduno, piuttosto sacrificherebbe lo sposalizio, Delia si sveglia quel sette agosto con l’ansia di dover spiegare al neo sposo che lui, niente di personale, non è previsto.


La moto è carica e lucida per affrontare i trecento chilometri fino al lago; mentre Sandro ha riposto con cura nella custodia in armadio il vestito fumo di Londra, l’abito bianco appoggiato malamente alla spalliera della poltrona cela gli stivali e i guanti che la ragazza afferra mormorando “sei sveglio? Amore, sei sveglio?”. Un flebile sussurro, spento dal cigolio della visiera chiusa lentamente, un tentativo di commiato privo di convinzione e saldo nella speranza di non ricevere alcuna risposta. Risposta vorrebbe dire sentirsi obbligata a dare corpo ad un dignitoso arrivederci a suon di coccole frettolose e parole al sapor vino bianco non ancora metabolizzato, i cui effluvi risalgono fino alla bocca proponendo un veloce recap di tutte le otto portate del banchetto a base di pesce mischiate e confuse come in uno spray alcolico al gusto astice e nero di seppia. Con quella punta d’aglio a rendere tutto indimenticabile, com’è giusto che sia il giorno più bello. Con un’alitata, pensa Delia, potrei lubrificare la catena o sbloccare il perno del forcellone.


Fugge dalla camera da letto già col casco in testa, frettolosa come un’amante, immaginando già il piacere di stare in sella cinque ore, strizzandosi in una tuta di pelle che ogni anno le tira un po' di più sul petto e sui fianchi, fiato corto compreso, gestendo la propria vita con calci al barattolo via via più accidiosi fino a trovare nel matrimonio quello più vigoroso e prevedibile.


La moto, per Delia, è una passione anestetica: suo papà aveva sempre rincasato alla sette per vent'anni, sua madre aveva lasciato il lavoro, pensionandosi, per dedicarsi alla scrittura di un libro di ricette piemontesi barricandosi nello studio per dieci ore al giorno; a pranzo si serviva cibo in scatola e gli avanzi arrivavano a sera aiutati da una pizza. Cinque anni fa Delia, esasperata di fronte all'ennesima cena a base di rimasugli e pizza fredda, scelse alcune parole, le mise come veleno sulla punta della freccia e le scagliò verso i genitori cui bastò comunque scansarsi, o forse era lei che aveva una pessima mira, per non sentirsi colpiti: con furioso distacco Delia pose come condizione per non impazzire prima dei trent’anni di vedersi concesso o di diventare una pornostar, o di comprarsi una moto, o di fare a pezzi il computer sul quale sua madre scriveva: i suoi continuarono a versarsi prosecco, tuttavia il mattino dopo suo padre fece trovare un assegno in bianco sul tavolo della colazione; sua madre, incrociandola mentre usciva dal bagno, le consigliò un laboratorio di analisi cliniche di una sua ex collega e di fare attenzione alle malattie veneree.


Nessuno le chiese di scegliere.


Il libro di sua madre non raggiunse mai le stampe perché l’autrice morì l'anno successivo, trovata riversa sul computer dove il file era ancora aperto e l'ultima pagina scritta era la numero sei. Ci fu un funerale, dolore a motore, rimpianti e gente sconosciuta sulle sue guance, un'altra donna venne a dormire a casa sua e Delia capì che il quella villetta non c'era più spazio per lei, e nemmeno per la sua moto.


Trovò Sergio, di vent'anni più anziano: lo conobbe al laboratorio di analisi cliniche dove ormai era diventata cliente fissa; uscendo dalla sala prelievi, incrociò Sergio al fianco di sua figlia in lacrime e alla ricerca delle proprie Beta-hcg incerte tra i ventimila e i trentamila, premendosi il gomito interno con il cotone.


Si scambiarono poche parole di circostanza, poi i numeri e quattro burrascosi anni dopo lei gli dice che il sette agosto andrà al lago con la sua motocicletta per il Summer Bike Madness.

 

I tre giorni del raduno motociclistico Summer Bike Madness si svolgono nello stesso luogo dove d'inverno si tiene il Winter Jubelee, il suo omologo invernale. Stessi occulti organizzatori e medesima atmosfera naif.


Vi si accede per merito, divisi in tre distinti gruppi: i grandi motoviaggiatori transcontinentali appartengono ai Beati cui è concesso l’accesso gratuito e per invito. Compongono invece il gruppo dei Venerabili coloro con alle spalle almeno due edizioni del Winter Jubelee e i mototuristi che hanno dato prova di aver macinato nell’ultimo anno almeno 40000 km in motocicletta. I Venerabili pagano una quota di 200 euro per entrare al Summer Bike Madness; poi vengono tutti gli altri, chiamati i Servi di Soichiro: gente comune che si è messa in lista compilando un modello sul sito internet dell’organizzazione, descrivendo minuziosamente la propria vita e attendendo la chiamata dei selezionatori: i Servi di Soichiro pagano 800 euro per piantare la tenda al raduno dove sono ammesse non più di mille motociclette e nessun passeggero. Una moto, un partecipante.


Chi entra, accetta il regolamento: accedendo all’accampamento si perde la propria identità per vedersene assegnata una dall’organizzazione; si acconsente di cambiare la propria identità con quella di un altro partecipante al Summer Bike Madness, ma sempre all’interno del proprio gruppo. Poi è tutto come un normalissimo raduno, giochi, grigliate, bevute, spille ricordo, soltanto che sei un altro e la tua vita è alle spalle: per tre giorni devi comportarti come si comporterebbe lui, rispondere al suo telefono, assumerti i suoi problemi, guidare la sua moto nelle strade vicino al lago e sopratutto, per regola d’ammissione, indossare i suoi stivali per tutta la durata del raduno, non importa se tu porti 44 e lui (o lei) una 38. Stai nei suoi stivali e basta, per tutta la durata del raduno.


Delia e Oscar fanno parte dei Servi di Soichiro. Quest’anno i Beati sono 812, i Venerabili 31 e i Servi di Soichiro 157.


Al lago fa caldo,  non piove da diverse settimane e l’erba è secca, lo stesso specchio d’acqua si è ridotto ad una trascurabile pozzanghera. Viene voglia di spogliarsi o di mangiare anguria.


Oscar ha preso l’identità di signore di settantanni di nome Arturo e gira su un Guzzi, da subito viene sommerso di telefonate da parte di figli e nipoti in ansia per la sua salute e giustamente incazzati in solido perché al telefono risponde un estraneo simulando malamente, dicendo cose incoerenti, disponendo di cose non sue.


Oscar porta il 44, Arturo il 42; è logico e naturale che quando i piedi sono in predicato di diventare blu, poi neri, quindi andare in cancrena e subire una cruenta amputazione cerimoniale sul palco centrale del Summer Bike Madness con la folla impazzita che reclama una falange, un metacarpo, almeno un unghia dell’arto sezionato con un coltello da prosciutto e suturato con i ritorni di fiamma di uno scarico a trombone (non ridete, è accaduto davvero l’anno precedente e le testimonianze video hanno avuto in poche ore milioni di visualizzazioni prima di essere rimossi e disponibili soltanto sul dark web), Oscar desideri sfilarsi gli stivali e rinfrescare nell’acqua torbida del lago se non le idee, compromesse da un tasso alcolico incompatibile con la vita neuronale, almeno le estremità.


Grande giornata, pensa Oscar che all’imbrunire abbandona con una scusa l’accampamento dei Servi di Soichiro e si dirige in sella al Guzzi verso la riva del lago diventata un compatto letto di creta a causa della siccità; nel centro del lago sembra vi sia ancora acqua sufficiente per bagnarsi le gambe   e mano a mano la creta diventa più molle e il ruotone da 18” affonda fino a scaraventare Oscar per terra. Si rialza, continua a piedi dedicando una bestemmia alle moto italiane e al caldo.


Dopo una passeggiata di quasi un chilometro arriva al centro del lago, la riserva d’acqua avrà si e no, stima, il diametro di duecento metri; si siede, cerca di sfilarsi gli stivali urlando ma sente una moto arrivare, una monocilindrica rapida e selvaggia. Sopra c’è Delia, si ferma accanto ad Oscar e senza scendere di sella o sfilarsi il casco:


- Chi sei, oggi?

- Arturo. Ho settant’anni, quel Guzzi che hai trovato a terra e gli stivali due misure più piccoli. - risponde Oscar.

- Io sono Mara, diciannove anni, questa bestia sotto il culo e porto il 37.

- È andata bene? -  chiede Oscar.

- A te?

- A me va sempre bene. Anche l’anno scorso, con lo scooter e il siciliano.

- Aveva la tua stessa misura di stivali, però.

- Dettagli.


Delia butta la moto a terra, si leva il casco e si spoglia; totalmente nuda si avvicina all’acqua e la tasta con un piede, poi decide di tuffarsi mentre Oscar continua a cercare di estrarre i piedi dagli stivali che li soffocano, urla in cinese.


Delia nuota a lungo, sentendo le grida di Oscar ma infischiandosene e scendendo sempre più in profondità nel lago, indecisa. Riemerge un paio di volte, scompare sotto la superficie e risale, si guarda intorno e poi decide di tornare a riva da Oscar che nel frattempo ha tagliato il primo stivale con un coltello e si accinge fare lo stesso con quello destro.


- Dovrebbe essere sempre così. - dice mentre recide i lacci.

- Così come?

- Ogni giorno una persona diversa.


Delia si siede, ancora bagnata, accanto a Oscar.


- Acqua tiepida, fantastica.

- Si? Benissimo.

- C’è un’Harley in fondo al lago, a quattro o cinque metri. Mi sembra ci sia legato un cadavere. - dice Delia rimettendosi le mutandine.

- Faremo tutti questa fine.

- A meno che non inizi a scrivere un libro, in questo caso muori soffocata sulla sedia.

- Dovresti non pensarci. Come faccio io. Ho smesso di lavorare come regista per questo, mio padre non sarebbe stato contento.

- Sul set manchi molto a tutti. - gli comunica asetticamente Delia stendendosi al sole.

- Un giorno spero che verremo qui e non ricorderemo più chi siamo. Non ci basteranno più tre giorni, usciremo dal lago e saremo pronti a ricominciare. - dice Oscar mentre riesce finalmente a sfilarsi il secondo stivale mostrando piaghe e sangue fino alla caviglia.

- Ti amo.

- Grazie Delia. Ma ho smesso anche per questo.


Seguì un bacio, poi Delia afferrò il silenzio:


- I tuoi piedi puzzano.

- Sbagli. È la benzina che esce dal tappo della tua moto.