I racconti di Moto.it: "Motociclisti Traumatizzati"

I racconti di Moto.it: "Motociclisti Traumatizzati"
Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
È sentire comune che si possa paragonare la motocicletta a una bella donna. Una compagna per la quale si è pronti a fare follie
  • Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
3 aprile 2015

«Gentili signori, buongiorno». Piccolo colpo di tosse, Centro Congressi Milano, settembre 2016.

Lascio tre secondi di silenzio, una semibreve, poi continuo:

«È sentire comune che si possa paragonare la motocicletta ad una bella donna. E come una donna il motociclista la immagina e la desidera slatentizzando tutte le voglie annidate nella propria immaginazione fin dagli anni dell’adolescenza, rivelatrici dei caratteri della sua partner ideale o comunque dell’oggetto dei suoi desideri: una bella donna spesso capricciosa, talvolta, mi si perdoni il termine da galera, un po’ puttana e trasgressiva. Una compagna per la quale si è pronti a fare follie; una femmina di cui il motociclista sogna di svelare ogni grazia e con la quale fantastica di intraprendere una reciproca e intima conoscenza che evolve, talvolta, persino in ossessione.

«Fin dal giorno dell’acquisto la motocicletta subisce una serie di trasformazioni, materiali e immateriali, agli occhi del suo padrone per poi perdere ogni connotato passionale nel momento in cui lo stesso centauro avvertirà l’esigenza di cambiarla e lì, a giustificazione del gesto niente affatto in linea con tutti gli amorevoli comportamenti che hanno sostenuto anni di convivenza, subentrerebbero presunte cause razionali autoingannanti a motivare lo sbocciare di una seconda passione ancora più capricciosa e insostenibile per un’altra motocicletta. Nel caso in esame, la vecchia moto della quale fino a pochi mesi addietro si magnificava ogni aspetto viene sostituita con un’altra anche radicalmente diversa, arrivando a dichiarare pubblicamente non solo essere quest’ultima proprio quella sempre desiderata ma pure che il processo di acquisto della nuova cavalcatura è sorto da una riflessione matura e consapevole frutto dell’esperienza stratificata. Bugie, solo menzogne. In questo caso la passione per la motocicletta e il desiderio di appagamento hanno spinto verso un comportamento d’acquisto quasi compulsivo.

 

Il paragone moto-donna è talmente banale, direi scontato, da non scandalizzare o sorprendere più nessuno: ciò giustifica agli occhi dell’opinione comune tutti quegli atteggiamenti radenti la maniacalità che il motociclista mette in opera

«Il paragone moto-donna è talmente banale, direi scontato, da non scandalizzare o sorprendere più nessuno: ciò giustifica agli occhi dell’opinione comune tutti quegli atteggiamenti radenti la maniacalità che il motociclista mette in opera: pensiamo al rito domenicale del lavaggio spugna in una mano e WD-40 nell’altra, per esempio; e della muta contemplazione nella penombra del garage, ne vogliamo parlare? Vogliamo, in questa sede, tralasciare per pudore il fatto che i fuoristradisti godono nel vedere la propria moto sporca di fango dopo una domenica passata tra le colline e i guadi, mentre i velocisti farebbero le fusa sulle spalle degli pneumatici scabrose e piene dei riccioli di gomma accumulati dopo quattro turni in pista? No, non si può. Sono atteggiamenti comuni, comportamenti rivelatori di una passione e di un intimo piacere che, tuttavia, se fossero rivolti verso lo strumento del proprio lavoro come una zappa o una cassa, un bancone da ferramenta, oppure verso i libri dai quali gli studenti traggono gli insegnamenti necessari alla loro affermazione futura, sarebbero giudicati o folli o insani.

«Come sappiamo, i luoghi comuni si sprecano quando si ha la presunzione di indagare sul perché il motociclista ami e desideri la propria motocicletta. Ma non dobbiamo, signori colleghi, fare l’errore di confondere la causa con il sintomo; la passione per la moto ha radici molto meno banali di quanto si pensi e considerare l’attaccamento verso il concetto di motocicletta causato dalla passione verso la stessa, lungi dall’essere vero, non ci consente di considerare le cose obbiettivamente: la passione è una malattia scatenata da qualcos’altro; la passione per la motocicletta compensa e sostituisce alcuni bisogni primari dell’uomo ed è dovuta a traumi più o meno radicati nell’io più profondo di ogni motociclista.
Ed è su questo che mi voglio concentrare oggi: sulle cause della passione. Non c’è passione senza trauma».

 

Continuo così per altri cinquanta minuti, regalo le mie perle di saggezza a questo auditorio di progettisti e di dirigenti, di uomini che cercano di intercettare le aspirazioni e i desideri di altri uomini pensando che da questo dipenda il futuro della loro azienda e il loro personale successo di manager, di progettista o di designer. Tutti vogliono la mia opinione sul perché la moto sia un oggetto emozionale e su come fare per instillare la passione per la motocicletta e su come rinnovarla con sempre nuove declinazioni del medesimo concetto.

Li accontento svelando loro che il mezzo che permette di trasferire la passione è il trauma percepito come privazione di qualcosa. Te lo porti dietro tutta la vita, cerchi sempre di colmare quella mancanza, nella vana ricerca di un obiettivo di serenità e dolcezza che si sposta sempre un po’ oltre ma non ne comprendi le cause e continui a pensare che le tue passioni ti porteranno oltre il tuo mondo e verso la felicità, magari momentanea ma sempre meglio che niente, sempre meglio che non desiderare niente.

Finita la conferenza metto il cappotto ed esco a piedi, da solo. Non riaccendo il telefono, ceno in solitudine nel ristorante all’angolo della strada, poi torno al mio albergo che dista solo poche centinaia di metri.

- Il dottor Schaub? – chiede il receptionist.
- Sono io.
- C’è un biglietto per lei.

Un altro. È il quinto oggi, sono esasperato. Prendo la busta; spesso ricevo delle minacce di morte.
Il giovane receptionist mi chiede se va tutto bene, deve avere notato un mio moto di disperazione. No, grazie, non ho bisogno di aiuto. Metto un’altra semibreve di silenzio, poi crollo, ho bisogno di sfogarmi.

- Lei non lo sa chi sono…
- Lei si chiama Schaub, mi sembra…
- Ha ragione, il mio nome può anche non dirle nulla. C’è gente, invece, che mi conosce e odia per il frutto delle mie ricerche tra medicina e marketing relazionale. Sono un medico, genetista nella fattispecie.
Posso aiutarla? Vuole sedersi?

È sera e l’albergo non è particolarmente affollato, con molta gentilezza il receptionist mi accompagna nella hall, fino ad una poltrona. Mi siedo e lo incalzo.

- Ha mai sentito parlare del Progetto Genoma Umano? Beh, è la completa mappatura dei geni dell’uomo ed è stata pubblicata nel 2003, da quella data i miei studi hanno preso una direzione inaspettata: lavorando ad una proteina ho, quasi per caso, scoperto il gene che governa la capacità di provare impeti emozionali fortissimi. L’ho chiamato “HR37” ed ho scoperto anche come controllarlo per dare lo stimolo alla nascita di qualsiasi passione, qualsiasi. A piacimento.
Interessante, dottor Schaub…


 

Non le dirò come si attiva il gene HR37 e non le spiegherò come si indirizza sulla motocicletta, le dico solo che è facile. Ed è pure possibile il processo inverso: si può disattivare a piacimento questo gene

- Si, certo, ma nel 2014 le banche iniziano a chiedere indietro alla società di ricerca per la quale lavoro i miliardi di dollari che hanno investito nel Progetto Genoma Umano; io all’epoca lavoravo alla mia proteina ed ebbi l’incarico di costituire dei progetti per recuperare gli investimenti e renderli produttivi, nello stesso momento il mercato motociclistico in Europa era in crisi, me ne parlava sempre un collega di laboratorio che sapeva tutto di tutte le motociclette. Mi venne un’idea e contattai i miei capi, loro fecero lo stesso con i dirigenti dell’industria europea della motocicletta e con alcune grandi banche d’affari e ci riunimmo nel mio laboratorio: promisi a tutti che in capo ad un anno avrei fatto diventare almeno il 75% della popolazione europea degli appassionati motociclisti, chiesi appoggi importanti, mano libera e una somma di denaro adeguata: loro accettarono. Posi la condizione che non avrebbero mai chiesto né i risultati dei miei studi né come avrei ottenuto tali risultati, loro accettarono pure questo accecati dalla possibilità di smisurati guadagni. Li avvertii inoltre che per molta gente cambiare motocicletta o solo averne una sarebbe diventata un’esigenza inspiegabile e questo avrebbe potuto provocare cambiamenti sociali inaspettati non predicibili dei quali volevo l’assicurazione che non sarei mai stato ritenuto responsabile e la garanzia del più totale anonimato. Ottenni tutto e il contratto è custodito in una cassetta di sicurezza a Ginevra. Non le dirò come si attiva il gene HR37 e non le spiegherò come si indirizza sulla motocicletta, le dico solo che è facile. Ed è pure possibile il processo inverso: si può disattivare a piacimento questo gene. L’ho fatto su di me e da molti anni sono assolutamente impermeabile alle emozioni violente e chimicamente refrattario ad ogni passione. Ma, ogni tanto, briciole di verità sfuggono e diventano leggende e da un po’ di tempo sul web si parla di me e delle mie scoperte. La gente ha iniziato ad accusarmi di essere un manipolatore ed era necessaria una copertura per rendere ridicole queste accuse. Così, tengo queste conferenze su cos’è e come nasce la passione per la motocicletta, dove ovviamente non dico quasi nulla in merito alle mie scoperte sul gene HR37 se non che per la genesi di una passione è necessario un trauma: fa sempre una profonda impressione sull’auditorio e in ogni caso la mia attività di relatore mette i complottisti sul binario sbagliato, almeno quelli più stupidi.

-Ma perché mi racconta…
-Lei assomiglia a mio figlio, ispira fiducia. Le posso offrire una sigaretta? Avrei bisogno di fumare.
Prego, venga da questa parte nella sala fumatori. Io non fumo.
Mi faccia compagnia, solo un tiro, poi la può anche buttare. Vedrà che non le farà male.

- Va bene, dottor Schaub. – il receptionist estrae la sigaretta dal pacchetto e la porta alle labbra. Schaub l‘accende, subito dopo prende per sé un sigaro e accende pure quello.

Io preferisco i sigari, spero che l’odore non sia troppo pungente per lei.
No, faccia pure. Si rilassi, la vedo molto teso.
Lo sarebbe pure lei se ricevesse biglietti anonimi di motociclisti che non riescono a guarire dalla passione per la moto e la invitano a morire prima possibile.
Capisco, ma non comprendo perché non li denuncia.
Darei troppo clamore alla cosa, stimolerei un’inchiesta e sarebbe tutto a mio svantaggio. Confido invece nel fatto che i motociclisti sono, in genere, brutte facce ma brava gente. Lei si chiama Valerio? – Schaub lesse il badge sul vestito del receptionist.

- Si, Valerio Arnaud. Mio padre è francese ed è un motard.
Ah. Capisco. Io non ho mai guidato una moto.
Attivi il gene HR37. – sorrise.

- Non dica corbellerie, io me lo sono disattivato permanentemente!
…scusi… - Valerio posò la sigaretta fumata a metà.
Niente, non fa niente. Bene giovanotto, ora prima di salutarci… lei ha una passione?

- No, una volta mi piaceva il calcio ma da quando l’Inter… mi spieghi una cosa, dottor Schaub! La sua storia, non doveva essere un segreto? Cosa le garantisce che io non la rivelerò a nessuno?

- Il gene AP70. È la migliore garanzia.
AP70? – Valerio era confuso, sentiva le gambe deboli e tremava.

- È il gene dell’oblio. Hai appena introdotto la proteina che lo attiva poggiando le labbra sulla sigaretta che ti ho offerto, tra pochi secondi perderai definitivamente la memoria degli ultimi giorni. Io per te non sarò mai esistito e di me non avrai nessun racconto da fare a nessuno. Grazie comunque, Valerio. Sei stato gentile ad ascoltarmi.

Valerio sviene sul divano e il dottor Schaub chiama subito aiuto. Poi sale nella sua camera. Il biglietto che Valerio gli aveva consegnato è ancora dentro la busta e dopo essersi messo in vestaglia, Schaub lo apre. “sei fottuto, bastardo. Firmato Motociclisti Traumatizzati”. Alzando gli occhi al cielo si domanda per quanto tempo ancora sarebbe potuto sfuggire, prima o poi lo avrebbero certamente fatto fuori.

Schaub tenta di chiamare suo figlio al telefono ma Udo non risponde. Non risponde nemmeno sua moglie. Albert Schaub non è capace di disperarsi perché il suo gene HR37 è inattivo. Non è capace di provare spinte propulsive verso i suoi cari, né debolezze.

Dà un’occhiata al suo tablet dove, sotto crittografia, sono schedulati i prossimi traumi collettivi. Ce n’è uno tra pochi giorni, un treno affollato verrà fatto esplodere mentre attraverserà il ponte di Mungsten, in Renania. Un bel trauma per i parenti e per l’opinione pubblica. E il trauma attiva le passioni.

Albert Schaub compra un biglietto per quel treno con la sua carta di credito, roso dal rimorso per non avere mai provato una motocicletta; tuttavia la sua rabbia viene placata pochi secondi più tardi dalla soddisfazione di sapere che quei fottuti motociclisti non riusciranno mai a prenderlo vivo.