Perdita della vita: non è un danno risarcibile!

Perdita della vita: non è un danno risarcibile!
Una recente sentenza della Cassazione chiude la porta al risarcimento del danno tanatologico. Quali sono le conseguenze per gli eredi e i famigliari delle vittime di sinistri mortali?
31 luglio 2015

La questione era la seguente: allorquando una persona decede in un sinistro (non importa se immediatamente o qualche tempo dopo), i suoi eredi hanno diritto a reclamare un risarcimento per la perdita della vita subita dal loro caro (detto anche “danno tanatologico”)?
La risposta a questo dilemma può fare la differenza: la liquidazione per questo danno può superare anche il mezzo milione di euro. Una cifra considerevole per una famiglia colpita da un lutto così come anche per i bilanci (attivi) delle assicurazioni. Ad essere interessate del problema, dal giugno 2014, erano le Sezioni Unite della Cassazione, il vertice della nostra giustizia. Tante erano le attese per l’esito di questa vicenda giudiziaria. Com’è andata?
Più di un anno la Cassazione ha impiegato a fornire la sua risposta: questa è arrivata con la sentenza Cass. civ., Sez. Unite, 22 luglio 2015, n. 15350.

Quali motivi per risarcire la perdita della vita?

A favore del risarcimento di questo danno si erano posti alcuni Tribunali e vari accademici. La giustificazione giuridica, molto in breve, era la seguente: la Costituzione garantisce la vita quale diritto supremo ed inviolabile; un sinistro mortale azzera questo diritto e quindi cagiona al suo titolare il danno più estremo che si possa immaginare; il diritto al risarcimento di questo danno passa agli eredi: infatti, il sinistro, prima del decesso, provoca alla vittima una lesione irreversibile della salute e il suo credito risarcitorio entra nel patrimonio ereditario quando ancora la vittima è in vita (non si può uccidere un morto!). Si osservava pure che, negandosi questo scenario, si sarebbe affermata l’assenza di protezione del diritto alla vita: l’esistenza sarebbe valsa zero; dunque, per la responsabilità civile sarebbe risultato meglio mettere fine alla vita di una persona che limitarsi a ferirla.

La Cassazione si era sempre opposta al riconoscimento di questo danno, ma agli inizi del 2014 l’aveva ammesso per la prima volta (Cass. civ., Sez. III, 23 gennaio 2014, n. 1361): «il danno non patrimoniale da perdita della vita consiste nella perdita del bene vita, bene supremo dell’individuo oggetto di un diritto assoluto e inviolabile dall’ordinamento garantito in via primaria, anche sul piano della tutela civile». Ed ancora: «il diritto al ristoro del danno da perdita della vita si acquisisce dalla vittima istantaneamente al momento della lesione mortale»; pertanto, «il relativo diritto (o ragione di credito) è trasmissibile» agli eredi.

Questa sentenza aveva provocato un autentico terremoto: legittimava risarcimenti davvero importanti sia per i danneggiati che per le assicurazioni ed i responsabili dei sinistri.

Quando una persona decedeva in un sinistro (non importa se immediatamente o qualche tempo dopo), i suoi eredi avevano diritto a reclamare un risarcimento per la perdita della vita subita dal loro caro, detto anche “danno tanatologico”
Quando una persona decedeva in un sinistro (non importa se immediatamente o qualche tempo dopo), i suoi eredi avevano diritto a reclamare un risarcimento per la perdita della vita subita dal loro caro, detto anche “danno tanatologico”

Perché le Sezioni Unite hanno negato questa tutela?

In questa torrida estate è arrivata la risposta finale: il danno da perdita della vita non è risarcibile. Infatti, per la Cassazione del 2015 non ha senso attribuire agli eredi questo risarcimento: la tutela risarcitoria serve a compensare le persone per i pregiudizi che concretamente  affrontano quando sono in vita; invece, non può risarcire chi è defunto. Citando la Lettera sulla felicità di Epicuro, la Suprema corte ci ha ricordato quanto la vita possa e debba significare per i vivi, mentre nulla significhi per i morti. Dal diritto alla filosofia! Ovviamente la sentenza è molto più complessa, ma questo è il succo del suo ragionamento. 
Qualche dubbio rimane sulla bontà delle motivazioni giuridiche accolte dalle Sezioni Unite. Ma difficilmente sarà possibile ribaltare questa sentenza. Senz’altro non nel prossimo futuro. 
Si auspica che la Cassazione avrà a ricordarsi dell’affermata primaria esigenza di tutelare i “vivi”.

Chi vince e chi perde?

Con questa sentenza i famigliari delle vittime perdono sicuramente la possibilità di accedere a un risarcimento molto importante. All’incirca mezzo milione di euro in meno non è poco.
Però va considerato che le Sezioni Unite hanno eliminato un danno che prima non veniva riconosciuto su larga scala dai Tribunali. Al contrario il danno da perdita della vita era stato liquidato solo in rarissime occasioni: è quasi possibile contarle sulle dita di una mano! Fatta eccezione per la pronuncia del 2014 la Cassazione lo aveva sempre negato.

In Italia i risarcimenti non sono i più alti

Chiaramente le assicurazioni hanno tirato un sospiro di sollievo a leggere questa decisione. Tuttavia, hanno perso un argomento importante a sostegno della loro tesi per cui Italia i risarcimenti sarebbero più elevati che in altre parti d’Europa. Il che si aggiunge al documento di giugno consegnato dall’Organismo Unitario dell’Avvocatura al Parlamento. 
Lo studio dell’OUA, smentendo i dati di ANIA e IVASS, dimostra quanto segue: non corrisponde al vero che da noi si risarcisce di più rispetto ad altri Stati; siamo nella media. Dunque, non è possibile attribuire la colpa del costo elevato dei premi assicurativi per la r.c.a. al livello dei risarcimenti che abbiamo in Italia.

Citando la Lettera sulla felicità di Epicuro, la Suprema corte ci ha ricordato quanto la vita possa e debba significare per i vivi, mentre nulla significhi per i morti
Citando la Lettera sulla felicità di Epicuro, la Suprema corte ci ha ricordato quanto la vita possa e debba significare per i vivi, mentre nulla significhi per i morti

Quali tutele rimangono per i famigliari delle vittime?

La sentenza delle Sezioni Unite non incide sugli altri danni risarcibili ad eredi e congiunti. Occorre distinguere tra due gruppi di danni da uccisione.
Il primo riguarda i danni che la persona mortalmente ferita ha subito nel periodo tra il sinistro ed il suo decesso. Il diritto al risarcimento di questi danni passa agli eredi della vittima. A confermarlo sono le stesse Sezioni Unite. Così, per esempio, se la vittima, prima di morire, ha vissuto una “lucida agonia” e sofferto consapevolmente, i suoi eredi possono agire per il risarcimento del danno morale della vittima. Nel 2010 la Cassazione ha riconosciuto risarcibile anche mezz’ora di intensa sofferenza, riconoscendo la somma di novantamila euro: si trattava del decesso di un agricoltore, il quale, intento al lavoro su un albero, era rimasto vittima di una scarica elettrica, sprigionatosi dai fili dell’alta tensione. La morte era sopraggiunta dopo circa trenta minuti mentre l’infortunato si trovava a cavalcioni su di un ramo, impossibilitato a muoversi per effetto dell’elettrolocuzione; benché chiedesse aiuto, nessuno era potuto intervenire.
Sempre nel primo gruppo c’è anche il “danno biologico terminale”: gli eredi possono ottenere un risarcimento per ogni giorno di sopravvivenza della vittima dopo il sinistro, anche quando sia stata in coma e dunque non si sia resa conto di quanto accaduto. In caso di consapevolezza dell’imminente trapasso la liquidazione può essere più elevata. Su questi risarcimenti non si ha uniformità tra i Tribunali. La Cassazione ha chiarito che non sono sufficienti gli importi di norma liquidati per le invalidità temporanee. In alcune occasioni ha ritenuto congrui risarcimenti intorno ai duemila euro al giorno.

Il secondo gruppo di danni da uccisione, quelli più rilevanti, riguarda i pregiudizi risarcibili ai famigliari. Sono innanzitutto il danno morale da lutto ed il danno esistenziale da perdita del rapporto parentale. A questi risarcimenti possono accedere sicuramente gli stretti congiunti (egenitori, sposi d altri partner conviventi anche dello stesso sesso, figli, sorelle e fratelli). Però, se si prova un particolare rapporto affettivo e di frequentazione con la persona deceduta, anche altri famigliari possono sperare in un risarcimento (nonni, zii, nipoti). La Cassazione ha anche riconosciuto il diritto della fidanzata ad agire.
I  risarcimenti variano a seconda dell’intensità del rapporto e di altri innumerevoli circostanze da provarsi in giudizio. Generalmente per la quantificazione trovano applicazione le tabelle del Tribunale di Milano, che si trovano su internet.
Attenzione, tuttavia, a crearsi delle aspettative: i minimi e i massimi delle tabelle sono solo indicativi e, qualora vi sia un concorso di colpa, i risarcimenti possono essere molto più bassi. Se poi il lutto ha compromesso la salute può aggiungersi il danno psichico, però da documentarsi con l’effettuazione di visite specialistiche e terapie.   

Marco Bona e Cristiana Actis Dato
mbolaw.it