Meglio a due o a quattro tempi?

Meglio a due o a quattro tempi?
Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Quando i progettisti non erano vincolati a schemi generalizzati ma potevano anche dare una ampia libertà al loro estro, alcune moto sono state realizzate con motori sia a due e sia a quattro tempi
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
18 novembre 2016

Negli anni di maggiore creatività, quando i progettisti non erano vincolati a schemi generalizzati ma potevano anche dare una ampia libertà al loro estro, non sono mancati alcuni esempi di moto che, mantenendo la stessa parte ciclistica e la stessa estetica, venivano offerte con motori sia a due che a quattro tempi, di architettura assolutamente analoga.

Per quasi tutti gli anni Cinquanta i motori a quattro tempi sono stati in genere destinati ai modelli più raffinati e performanti e quelli a due ai modelli più umili ed economici. Non si deve dimenticare che all’epoca i depositi carboniosi si formavano rapidamente e in quantità considerevole nel sistema di scarico, sul cielo del pistone e sulle pareti della camera di combustione ed era quindi necessario procedere con una certa frequenza alle disincrostazioni. Ciò era dovuto non solo alla elevata percentuale di lubrificante nella miscela che all’epoca si impiegata per i due tempi, ma anche al fatto che l’olio utilizzato non era specifico per tale tipo di motori, come quelli odierni. Nei 2T dell’epoca, inoltre, l’imbrattamento della candela si verificava con notevole frequenza.

La tedesca NSU, autentico colosso nel settore delle due ruote, nel 1949 aveva messo in produzione la Lux con motore a quattro tempi di 98 cm3 che nel 1951 è stata affiancata da una versione a due tempi di 125 cm3. Il nome del modello è rimasto invariato, come pure l’estetica, ma i due motori erano diversi. La Lux a quattro tempi erogava 6 cavalli ed è stata fabbricata in 59.000 esemplari mentre quella a due tempi aveva 5 cavalli ed è stata costruita in 29.000 unità. Entrambe sono uscite di produzione alla fine del 1954.

 

Ciascuna delle due grandi case di Pesaro ha proposto una 125 che, a seconda delle preferenze dell’acquirente, poteva essere dotata di un monocilindrico a due o a quattro tempi

Ciascuna delle due grandi case di Pesaro ha proposto una 125 che, a seconda delle preferenze dell’acquirente, poteva essere dotata di un monocilindrico a due o a quattro tempi. La Motobi, produceva ottime moto azionate da motori dalla tipica architettura a uovo (ispirata dalla tedesca Imme).
Alla fine del 1954 ha presentato il modello Ardizio, in versioni Standard e Lusso, con motore a due tempi di 125 dalle misure caratteristiche perfettamente “quadre” (alesaggio e corsa erano infatti pari a 54 x 54 mm). L’aspirazione era controllata dal pistone e i condotti di travaso erano due, come si usava all’epoca. La potenza era di 5,5 cavalli a 5800 giri/min.

Al Salone di Milano del 1955 la Motobi ha presentato il modello Imperiale, praticamente eguale come ciclistica, il cui motore poteva essere considerato a tutti gli effetti la versione a quattro tempi di quello dell’Ardizio. Anche in questo caso l’alesaggio e la corsa avevano lo stesso valore, ossia 54 mm. La distribuzione era ad aste e bilancieri, con albero a camme collocato nella parte inferiore del basamento, e le due valvole erano inclinate (la camera di combustione aveva quindi una forma emisferica). Il motore, che era alimentato da un carburatore da 18 mm, erogava 5,8 cavalli a 6500 giri/min. Il cambio era del tipo con presa diretta.

Questo 125, unitamente alla contemporanea versione di 175 cm3, è stato il progenitore di una fortunata serie di monocilindrici che sono stati realizzati anche in versioni di 200 e di 250 cm3 e che hanno conquistato numerose vittorie nelle gare in salita e nei campionati juniores durante gli anni Sessanta e le prime stagioni del decennio successivo.

 

Dato il successo del Leoncino, la Benelli gli ha a un certo punto affiancato una versione con un motore a quattro tempi dotato di una struttura analoga a quella del cugino a due tempi, del quale utilizzava numerosi organi meccanici
Dato il successo del Leoncino, la Benelli gli ha a un certo punto affiancato una versione con un motore a quattro tempi dotato di una struttura analoga a quella del cugino a due tempi, del quale utilizzava numerosi organi meccanici


Il Leoncino della Benelli è stato un modello di grande successo. La casa pesarese ne ha costruiti quasi 50.000 esemplari, nelle versioni Normale (da 5,5 cavalli) e Sport (da 6,5 CV a 6600 giri/min). Apparso nel 1951 come diretto discendente della Letizia 98, era azionato da un monocilindrico a due tempi di schema convenzionale, dotato di un cilindro in alluminio con canna riportata in ghisa. Le misure di alesaggio e corsa erano 52 x 58 mm e il cambio era del consueto tipo in cascata.

Visto il successo di questo modello, la casa ha pensato di affiancargli una versione a quattro tempi, dalle prestazioni superiori e dalla tecnica più raffinata. Non è stata impiegata una semplice distribuzione ad aste e bilancieri, ma è stato adottato un albero a camme in testa, con comando a cascata di ingranaggi. Per non dover adottare un basamento notevolmente diverso, con tanto di coppa dell’olio, i tecnici della Benelli hanno adottato una lubrificazione a carter secco, con serbatoio separato e due pompe (mandata e recupero). Il cilindro era in ghisa.
Il Leoncino a quattro tempi, presentato alla fine del 1955 in due versioni (Normale da sei cavalli e Sport da 7,5 CV a 7000 giri/min), non ha avuto successo ed è stato costruito in un numero relativamente limitato di esemplari.

 

Nella seconda metà degli anni Cinquanta alcune case italiane hanno proposto interessanti moto con la meccanica completamente racchiusa dalla “carrozzeria”. Qui vediamo una Parilla Slughi (nella versione con motore a due tempi) a fianco di una Motom 98 TS, in primo piano
Nella seconda metà degli anni Cinquanta alcune case italiane hanno proposto interessanti moto con la meccanica completamente racchiusa dalla “carrozzeria”. Qui vediamo una Parilla Slughi (nella versione con motore a due tempi) a fianco di una Motom 98 TS, in primo piano

Nel 1958 la Parilla ha messo in produzione una interessante moto carrozzata, azionata da un motore a cilindro orizzontale a quattro tempi di 99 cm3, cilindrata ottenuta abbinando un alesaggio di 52 mm a una corsa di 46 mm. La distribuzione era ad aste e bilancieri con due valvole parallele e la potenza era di sei cavalli a 7200 giri/min. Ben presto questo modello, denominato Slughi, è stato affiancato da una versione con motore a due tempi, sempre a cilindro orizzontale. In questo caso la cilindrata era 125 cm3 e le misure caratteristiche 53 x 52 mm. Il motore aveva una architettura perfettamente analoga a quella della versione a quattro tempi ed erogava cinque cavalli a 5200 giri/min. Questa moto non ha avuto il successo che avrebbe meritato ed è stata rapidamente affiancata dalla Olimpia, una “nuda” con telaio in tubi e lamiera stampata dotata dello stesso motore e offerta anche in questo caso in versioni a due e a quattro tempi, rispettivamente di 125 e di 99 cm3.
È interessante ricordare che la Parilla ha anche prodotto per diversi anni due ciclomotori eguali in tutto ma disponibili, a scelta, in versioni con motore a due o a quattro tempi.