Massimo Clarke: La nuova generazione di bicilindrici Honda

Massimo Clarke: La nuova generazione di bicilindrici Honda
Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Le nuove unità motrici di 670 cm3 sono il risultato di una filosofia progettuale largamente innovativa e segnano il ritorno a un'architettura costruttiva da tempo “trascurata”. L’influenza automobilistica appare evidente | M. Clarke
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
25 ottobre 2011

 

Quando la Honda mostrava la strada a tutti i produttori di motori a quattro tempi di altissime prestazioni, negli anni Sessanta, le sue moto di serie, con la sola esclusione delle piccolissime cilindrate, erano dotate di motori a due cilindri paralleli e avevano la distribuzione monoalbero. Nel 1965 è apparsa la CB 450, dalla identica architettura motoristica ma con distribuzione bialbero, che si è posta al top della gamma. E nel 1969 è entrata in produzione la famosa CB 750 four.


Le bicilindriche di cilindrata medio-alta


A far tornare di grande attualità le bicilindriche di cilindrata medio-alta (tralasciamo qui le CX 500 e 650, decisamente al di fuori degli schemi e che non han dato origine ad alcuna discendenza) ha provveduto la VT 500, arrivata, senza particolari clamori, nel 1983. Il suo motore a V di 52° è stato il progenitore di una generazione di bicilindrici assolutamente straordinaria, arrivata fino ai giorni nostri. Già, perché da quel modello versatile e relativamente tranquillo sono derivati poi i vari Revere (poco apprezzato da noi ma autentico best seller in nazioni come l’Inghilterra), Transalp e Africa Twin, che hanno avuto una popolarità enorme. Si trattava di un bicilindrico con distribuzione monoalbero a tre valvole per cilindro, doppia accensione, albero a gomiti monolitico lavorante su bronzine e raffreddamento a liquido che, per abbattere le vibrazioni causate dalle forze d’inerzia del primo ordine, adottava un sistema innovativo, per il settore motociclistico. Invece di utilizzare un albero ausiliario di equilibratura, infatti, faceva ricorso a uno “sdoppiamento” del perno di manovella. Le teste delle due bielle, che negli altri bicilindrici a V erano montate affiancate sull’unico perno di manovella, si trovavano così ad essere montate su due perni adiacenti, sfalsati di 76°. Le fasi utili si susseguivano ogni 488°…232°…488°… Una soluzione razionale, che abbinava compattezza a semplicità costruttiva e costo contenuto, ma che non “parlava” certo di potenze specifiche molto elevate. Del resto l’obiettivo dei progettisti non era quello di realizzare motori ultraperformanti, ma compatti, affidabili, versatili e con un’ottima erogazione. Tale target è stato pienamente raggiunto, come confermato da un successo protrattosi per decenni. Anche l’attuale Transalp impiega un motore realizzato con questo schema.

Nuovo motore Honda 670
Nuovo motore Honda 670


I nuovi motori di 670 cm3


Pure i nuovi motori di 670 cm3 hanno come obiettivo quello di assicurare buone prestazioni unitamente a una grande compattezza; nella loro progettazione i tecnici hanno puntato soprattutto all’ottenimento di una straordinaria trattabilità, con coppia vigorosa ai regimi medi e bassi, unitamente a consumi molto contenuti e a emissioni particolarmente ridotte. È stata scelta una architettura a cilindri paralleli, con un albero a gomiti monolitico, dotato di manovelle a 270°. Questo, non per ottenere una migliore bilanciatura rispetto alle soluzioni usuali (con le manovelle disposte a 360° o a 180°), ma principalmente per impartire al motore una piacevole “personalità”. Per abbattere le vibrazioni viene adottato un solo albero ausiliario di equilibratura, che non consente di ottenere risultati perfetti; le riduce in larga misura, ma non del tutto (nel motore Yamaha TDM di analoga architettura, munito esso pure di un albero a gomiti con manovelle a 270°, ne vengono impiegati due). Questa è una scelta accuratamente studiata, al fine ottenere un motore non troppo “asettico” ma dotato di un certo carattere. La soluzione inoltre è vantaggiosa per quanto riguarda la compattezza.


La distribuzione è monoalbero a quattro valvole


La distribuzione è monoalbero a quattro valvole, con bilancieri a rullo, per limitare le perdite per attrito (soluzione già adottata in molti monocilindrici KTM e Husqvarna), con la inusitata particolarità di fornire fasature di aspirazione differenti per i due cilindri: una “stretta”, ottimale per i regimi più bassi, e una più “spinta”, adatta per quelli più elevati. Il risultato è costituito da una curva di erogazione particolarmente piena, con tiro vigoroso per un ampio arco di regimi. Praticamente è come avere un condotto di aspirazione lungo per un cilindro e uno corto per l’altro…

 

Si adotta un compatto sistema “quattro in due in uno”, subito a monte del quale è collocata la valvola a farfalla

Il sistema di aspirazione

Proprio a livello di sistema di aspirazione, ecco un’altra soluzione decisamente anomala, per il nostro settore. I condotti provenienti dalle due valvole di aspirazione di un cilindro si riuniscono, come al solito, in uno principale. Nella testa di un bicilindrico ci sono quindi due “fori” di entrata, ovvero due condotti, per ognuno dei quali vi è una valvola a farfalla, posta a monte. Qui, sempre all’interno della fusione della testa, avviene invece un ulteriore congiungimento, tra i condotti che alimentano i cilindri, e si ha un unico “foro” di entrata. Insomma, si adotta un compatto sistema “quattro in due in uno”, subito a monte del quale è collocata la valvola a farfalla (unica per i due cilindri, quindi). Questo schema inconsueto secondo la Casa è stato studiato per migliorare la turbolenza, la regolarità della erogazione e, anche in questo caso, il “feeling” (o, se si preferisce, il gusto!).

La stessa soluzione 4 in 2 in 1 viene impiegata dal lato di scarico, che vede poi un unico catalizzatore, installato nel tratto discendente del singolo tubo di uscita dalla testa. Il vantaggio in questo caso è doppio, in quanto costituito da una grande compattezza abbinata alla possibilità di raggiungere con estrema rapidità la temperatura di light off (ovvero l’entrata in funzione della marmitta catalitica).

Misure caratteristiche sottoquadre


Assai significativo il fatto che in questo motore la Honda adotti misure caratteristiche sottoquadre, con una corsa superiore all’alesaggio. Si tratta di una scelta che appare decisamente controcorrente, rispetto a quelle che da moltissimi anni a questa parte sono tipiche della scuola motociclistica. Con la sola eccezione di alcune custom, da decenni le moto a quattro tempi sono infatti dotate di motori a corsa corta (in campo auto invece, le cose stanno diversamente…). La Honda sottolinea che questa scelta è stata adottata al fine di ottenere camere di combustione particolarmente compatte e quindi vantaggiose ai fini della riduzione dei consumi (per via del miglior rendimento termico) e del contenimento delle emissioni, ricordando che lo sviluppo di questo motore è stato effettuato con l’obiettivo di conseguire una combustione particolarmente “efficace” (ovvero, rapida e completa) ai regimi medio-bassi.

Semplicemente eccezionale il fatto che, sempre in base a quanto dichiarato dalla Casa, il motore possa essere alimentato al minimo con una miscela avente dosatura stechiometrica (di norma deve essere sensibilmente ricca, per avere un buon funzionamento). Tanto il lavoro di ricerca quanto quello di sviluppo devono essere stati straordinari.

La trasmissione DCT di seconda generazione

A livello di trasmissione spicca il DCT (sistema a doppia frizione) di seconda generazione, che fa la sua comparsa proprio in abbinamento con questi bicilindrici e che è caratterizzato da una maggiore compattezza e da una migliore funzionalità. In questo caso la corona della trasmissione primaria è collocata tra le campane delle due frizioni, disposte specularmente l’una rispetto all’altra.

Infine, nella cartella stampa la Casa sottolinea, come se fosse una novità particolarmente significativa, che l’albero a gomiti in acciaio viene sottoposto a torsione a caldo, dopo la forgiatura, onde ottenere il corretto posizionamento angolare delle manovelle. Peccato che questa fosse la pratica usuale già negli anni Trenta, per i motori con perni di biella non sullo stesso piano e albero monolitico (tipicamente, i sei cilindri in linea e i V8 per auto e veicoli industriali)…