Massimo Clarke: “I primi dischi rotanti da corsa”

Massimo Clarke: “I primi dischi rotanti da corsa”
Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
La grande rivoluzione per i due tempi da corsa è cominciata con l’affermazione delle valvole a disco rotante, vincenti al TT e nei gran premi
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
9 aprile 2015

Nei motori a due tempi di schema classico, che avevano della semplicità costruttiva e nella economicità i loro punti di forza, per decenni l’aspirazione è stata praticamente sempre controllata dal pistone. In un monocilindrico le parti mobili erano soltanto tre: l’albero a gomito, la biella e il pistone (più lo spinotto, i segmenti e il cuscinetto di biella). Si trattava di un grande vantaggio, in termini di costi di produzione ma, salvo poche eccezioni, come le DKW sovralimentate d’anteguerra, i 2T venivano considerati alla stregua di veri e propri “parenti poveri” dei quattro tempi. Questi ultimi fornivano prestazioni più elevate e hanno dominato il campionato mondiale di velocità dalla sua istituzione nel 1949 fino al 1961. Poi le cose hanno iniziato a cambiare e questo fondamentalmente grazie alla affermazione di due soluzioni tecniche sviluppate (ma non inventate) dalla MZ, ovvero lo scarico a espansione e l’aspirazione controllata da una valvola a disco rotante. Le moto della casa di Zschopau, in Sassonia, non hanno mai vinto un titolo iridato, ma hanno mostrato una strada che gli altri costruttori di motori a due tempi impegnati nel mondiale si sono affrettati a seguire, con il risultato che nel giro di pochi anni, cominciando da quelle di piccola cilindrata, le loro moto hanno soppiantato quelle a quattro tempi.

 

Le prime vittorie al TT

L’idea di regolare l’aspirazione con un distributore rotante invece che con il pistone risale in effetti ai primi del Novecento. Un esempio importante è quello della inglese Ixion, che utilizzava un otturatore cilindrico, del tipo cioè a manicotto. Nel 1906 il francese Gerard ha brevettato un sistema con valvola a disco rotante montata direttamente sull’albero a gomito e piazzata all’interno della camera di manovella. Poco dopo l’inglese Scott ha iniziato a produrre i suoi motori bicilindrici che ben presto, nelle versioni ufficiali (celebri per le vittorie nel Tourist Trophy), sono stati dotati di un manicotto rotante, collocato posteriormente ai due cilindri, per il controllo della aspirazione. Una realizzazione di grande interesse tecnico, dovuta al grande progettista Albert Roder, è apparsa a Berlino attorno al 1920. Si trattava della Ziro a cilindro orizzontale, nella quale l’aspirazione veniva regolata da un disco rotante collocato all’interno del carter.

 

Il disegno mostra un otturatore a manicotto rotante utilizzato dalla TWN per controllare l’aspirazione nella camera di manovella. In questo caso viene comandato dall’albero a gomiti per mezzo di una coppia di ingranaggi
Il disegno mostra un otturatore a manicotto rotante utilizzato dalla TWN per controllare l’aspirazione nella camera di manovella. In questo caso viene comandato dall’albero a gomiti per mezzo di una coppia di ingranaggi

Nei decenni successivi l’attenzione dei tecnici che cercavano alternative al sistema “in terza luce” (cioè con ammissione regolata dal pistone) si è rivolta fondamentalmente agli otturatori rotanti del tipo a manicotto. Dopo la seconda guerra mondiale hanno adottato sistemi di questo genere case come la Guzzi (per la sua 65, in seguito denominata Cardellino, e quindi per lo Zigolo) e la Motobi. Si trattava di prodotti utilitari, nei quali questa soluzione veniva adottata non per ottenere prestazioni più elevate ma per ridurre, almeno in una certa misura, i famigerati “rifiuti al carburatore”. I manicotti potevano essere a flusso assiale o diametrale. Nel primo caso generalmente venivano ricavati direttamente in una estremità dell’albero a gomito: il perno di banco, di rilevante diametro, era cavo e dotato di una luce radiale che, quando si veniva a trovare in corrispondenza con il condotto proveniente dal carburatore, consentiva il passaggio della miscela aria-benzina. La soluzione era semplice ed economica.
La bicilindrica tedesca TWN impiegava un manicotto di questo tipo parallelo all’albero a gomiti, ma collocato posteriormente ad esso e comandato da una coppia di ruote dentate. Questo schema era più costoso ma leggermente migliore sotto l’aspetto fluidodinamico. Distributori rotanti cilindrici a flusso diametrale sono stati impiegati per breve tempo dalla DKW, all’inizio degli anni Cinquanta, per le sue moto da competizione di 125 e di 250 cm3, rispettivamente mono e bicilindriche. Il manicotto era collocato dietro la base dei cilindri e veniva azionato mediante ingranaggi.

 

La grande semplicità delle valvole a disco rotante, che nella esecuzione più usuale si montano direttamente sulla estremità dell’albero a gomito, è chiaramente apprezzabile in questa immagine
La grande semplicità delle valvole a disco rotante, che nella esecuzione più usuale si montano direttamente sulla estremità dell’albero a gomito, è chiaramente apprezzabile in questa immagine

Nell’immediato dopoguerra c’è stato chi ha però pensato di utilizzare una valvola a disco rotante, assai superiore ai fini delle prestazioni ottenibili, disponendola in un modo differente rispetto ai rari casi nei quali essa, in passato, era stata impiegata. Il disco era montato direttamente su di una estremità dell’albero a gomito, ovvero sul prolungamento di un perno di banco, ed era piazzato al di fuori della camera di manovella, in uno stretto alloggiamento ricavato all’esterno del basamento. È stato così che Daniel Zimmermann, preparatore di motori per imbarcazioni, nel 1949-50 ha realizzato un bicilindrico parallelo di 500 cm3, largamente ispirato ai motori DKW d’anteguerra, raffreddato ad acqua e dotato di due valvole a disco rotante, che ha poi montato in una piccola monoposto di sua fabbricazione. Si correva con quel poco di cui all’epoca si poteva disporre, nella Germania Est…

 

Walter Kaaden, brillante tecnico giustamente ritenuto il vero padre del moderno motore a due tempi, ha utilizzato il brevetto di Zimmermann per sviluppare la MZ 125 da competizione

La vetturetta non ha tardato a mettersi in mostra per le sue ottime prestazioni e nel 1951, partendo da una DKW RT, è nata la ZPH, una 125 da competizione monocilindrica, con misure caratteristiche perfettamente quadre (54 x 54 mm, mentre nella RT 125 l’alesaggio era di 52 mm e la corsa di 58 mm), essa pure a disco rotante. Nel 1952 questa moto, che aveva lo scarico nella parte posteriore del cilindro, ha fornito ottime prestazioni. Sul finire dell’anno è entrato alla IFA Walter Kaaden, brillante tecnico giustamente ritenuto il vero padre del moderno motore a due tempi, che ha subito utilizzato il brevetto di Zimmermann per sviluppare la 125 da competizione dell’azienda, diretta discendente della DKW, “ramo” est. Al suo arrivo i cavalli erano circa 9 a 7800 giri/min, e nel 1954 erano già passati a 13 a 8000 giri/min, per salire quindi a 15 a 9000 giri/min l’anno seguente, quando Kaaden ha cominciato a lavorare anche sugli scarichi a espansione, che ha rapidamente portato a uno straordinario livello di sviluppo.
I primi erano apparsi sulle DKW da competizione nel 1953, ma è stato lui ad approfondire gli studi in materia e a comprendere appieno come si potevano sfruttare le onde di pressione per incrementare le prestazioni. Un altro miglioramento apportato da questo grande tecnico, è costituito dall’aggiunta a ciascun cilindro di un travaso ausiliario, piazzato dal lato opposto a quello di scarico. Ciò è avvenuto nel 1959, quando la denominazione della casa era divenuta MZ (Motorradwerke Zschopau) già da tre anni e la potenza della 125 monocilindrica era salita a 22 cavalli a 10.000 giri/min. A 25, pari a ben 200 cavalli/litro (un traguardo storico, che veniva raggiunto per la prima volta da un motore aspirato), si è arrivati nel 1961. Era iniziata l’era dei moderni due tempi di altissime prestazioni.