I Racconti di Moto.it: "Le passioni deboli"

I Racconti di Moto.it: "Le passioni deboli"
Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
Il miglior libro di filosofia è una motocicletta in marcia sotto la pioggia...
  • Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
24 febbraio 2017

Il miglior libro di filosofia è una motocicletta in marcia sotto la pioggia.

Dentro il temporale, dopo la seconda onda anomala sollevata da un perfido sedicenne con la micro car e il rivolo artico che giunge a segno tra le chiappe, ti ricordi che senza dubbio l'uomo è nato per soffrire. Molta sofferenza.


Quindi molta filosofia.

Che piuttosto che partire dalle solite e inafferrabili questioni di chi siamo, dove e come, si risolve dentro la più prosaica domanda “chi me lo fa fare?”. Forse, il libero arbitrio.


Scendendo nel particolare, il dilemma si rispecchia nell'irresolubile mistero: perché mio figlio, al quale sto stendendo ponti d'oro per indurlo a guidare finalmente una motocicletta, temporeggia, sminuisce, non apprezza, disarma e disinnesca quell'argomento che io consideravo definitivo, la conquista della libertà e il potere di autodeterminare, se non il futuro, quantomeno il tragitto casa-scuola? Dico, se non vuoi la moto per passione, almeno dovresti apprezzarla per l'indipendenza che potrebbe garantirti; e invece, nulla. Devastato da tanta realtà, sciolgo poi tutto nell'acido interrogandomi se tutto questo non sia una spia del fatto che le passioni sono indotte, e quindi prive del requisito della libertà, e i veri liberi siano coloro che possiedono solo le passioni “deboli”, rapide, effimere, che infiammano il cuore e la mente per poco e solo fino a non morirne, che non sgomitano per farsi largo nell'indole, non formano l'esperienza, roba cruda e acerba masticata come un chewing-gum, poco ingombranti, le metti dove ti pare e lì stanno senza occupare il posto di altri entusiasmi pronti a succedere al trono di re del momento. Ecco, le persone che vivono queste passioni deboli non temono nulla, nulla le coinvolge veramente, sono definitivamente libere. Un click e via. Cinque euro e hai finito, uno share e passa tutto, un like e hai fatto già il massimo. Loro non possiedono, condividono. Non immaginano ma riproducono.


Un bell'argomento per passare il venerdì.

Quei quattordicenni cui il motorino non serve perché non saprebbero dove andare, sarebbe una libertà inutile: con uno smartphone sono già dappertutto e al massimo puoi insegnare loro il senso del dovere, non certo quello del piacere che rimane annidato in un edonismo condivisivo al quale ogni evento è legato e la profonda emozione di stare su una moto e basta, pure in mezzo al traffico, non è pubblicabile e se lo fosse avrebbe bisogno di una quantità di caratteri tale da non ricevere nemmeno un like.


Questo è il mio timore, di trovarmi in un mondo di uomini spesso talmente privi di spirito di comunicazione ed empatia da sublimarlo in video e foto sui social, delegando a chi osserva il compito di interpretare verbalmente l'emozione mostrata in video. Non si tratta più di comunicazione ma di una richiesta d'aiuto o di apprezzamento in forma binaria: si o no, like/dislike, svuotata della complessità e pronta ad essere vissuta quante più volte possibile.


Tuttavia, ognuno è libero di fare quello che crede, giusto? E la domanda tradisce la presunzione di chi pontifica da queste righe considerandosi più libero e consapevole di chi galleggia in un universo di passioni deboli.


Un attimo.

Millenni di filosofia e secoli di scienza non hanno mai dimostrato l'esistenza del libero arbitrio, questo induce a pensare che i comportamenti umani siano indotti da circostanze, eventi, inerzie, passioni. Tante passioni, quindi poca filosofia.

Pensa all'ultima decisione: a volte siamo come degli aeroplani di carta lanciati dalla finestra, liberi ma non per questo in possesso del libero arbitrio.


Partiamo da lontano, ok? Nessuna obiezione? Bravi. Bravi perché non è vero che ai motociclisti non piace leggere, bravi perché...

perché sì.


Quindi: un tizio del '600 diceva che per considerare un'azione libera sarebbe necessario che la decisione di compiere quel tale gesto sia stata autonoma e non determinata, in una sorta di regresso all'infinito alla ricerca dell'azione puramente ispirata e non suggerita, indotta o forzata. Fare un giro in moto, ad esempio, non è una scelta indipendente se è una reazione al litigio con la moglie, scoppiato a sua volta per la bolletta della luce degna di un capannone industriale, generata dalla scelta di comprare la griglia elettrica per arrosto delle dimensioni di una scrivania, acquistata perché il barbecue a carbone fa troppo fumo e avere i pompieri ogni sabato sera anche no... e via così all'infinito. Ricapitolando, difficile capire se una decisione è frutto di libero arbitrio o no.


Saltiamo duecento anni e arriviamo ad un tale che diceva che nell'universo fisico lo stato delle cose è determinato dall'effetto del suo passato ed è causa del suo futuro. Lapalissiano, direi. Ci siamo tutti? Ok, procediamo: quindi se esistesse una mente così raffinata e potente da potere conoscere tutti gli oggetti in natura, tutte le loro posizioni e, in ultimo, fosse pure cosi intelligente da poterne elaborare i dati e sottoporli ad analisi per costui non ci sarebbe alcune difficoltà a predire il futuro in quanto, come abbiamo visto, basterebbe capire il passato. Quindi niente libero arbitrio, al massimo casualità degli eventi.


La conclusione a cui giungo è che noi motociclisti appassionati siamo chiaramente quanto di meno libero esiste al mondo: guidati da una passione tremenda e opprimente, per goderne appieno sacrifichiamo mogli e amanti, amici e lavoro, figli e genitori, casa e chiesa. Nascondiamo e immoliamo sull'altare dell'ultima novità o dell'assicurazione sempre più esosa gli ultimi denari destinati a qualcosa di più necessario, (l'effimero, per esempio), o anche quando i soldi li abbiamo (come sembrano suggerire gli ultimi dati di vendita) li impieghiamo nella nostra adorata cavalcatura e nei suoi bardamenti con sensi di colpa ineludibili, manco padri separati. Noi non possediamo libero arbitrio, la moto ci possiede e ne siamo felici.


Contro gli uomini dalle passioni deboli abbiamo quindi perso due a zero: mentre noi ci vantiamo di andare in moto per sentirci liberi, loro lo sono veramente senza muoversi da casa e senza spendere una lira in benzina, bollo, multe, accessori e tutto quanto conosciamo bene; senza compromessi con gli affetti, senza sensi di colpa, senza emozioni devastanti in uscita di curva o in cima alla vetta del piacere.


Mentre noi ci struggiamo nella passione di un pomeriggio piovoso a rimirare anche in garage, da ferma, la nostra motocicletta, non sappiamo di essere totalmente soggiogati e pilotati. Da chi? Da lei: la moto sa tutto, vede tutto, conosce tutto. Del suo ristretto universo fisico conosce ogni anfratto e quindi, secondo il signore dell'800 è lei a conoscere il futuro e, quindi, il nostro destino. Vaglielo a spiegare a quelli delle passioni deboli che non è colpa nostra.

Che ci piace così. Col rivolo ghiacciato tra il destro e il sinistro, sotto il temporale.