I Racconti di Moto.it: "Extragrip"

I Racconti di Moto.it: "Extragrip"
Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
Il giorno in cui smisi di illudermi che ci fosse ancora una pur minima speranza di salvezza per questo Paese e per i motociclisti di ogni razza, ero a duemila metri sotto il livello del mare...
  • Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
17 gennaio 2014

Punti chiave

Il giorno in cui smisi di illudermi che ci fosse ancora una pur minima speranza di salvezza per questo Paese e per i motociclisti di ogni razza, ero a duemila metri sotto il livello del mare: lavorare in miniera era diventato l’unico modo di trovare motivazione di vita in un mondo infame, ma sapevo benissimo a cosa sarei andato incontro firmando quel contratto: mesi di isolamento due chilometri sottoterra, dove la chimica non segue le stesse regole della superficie e l’aria arriva spinta in grandi tubi trascinando la puzza di topo, di fogna e di vecchio. Il protocollo di lavoro e sopravvivenza in miniera prevede che nei primi sei mesi non si torni mai in superficie rimanendo a scavare in gruppi di otto durante turni di sei ore alle quali seguono sei ore di riposo, poi quattro ore di connessione al rivitalizzatore e poi d’accapo. Il giorno così diventa di sedici ore e un mese solare contiene così quarantuno giorni lavorativi: l’estrazione della cenighite è una corsa contro il tempo: il preziosissimo metallo non appena fatto affiorare rimane allo stato solido per poche ore e solo alle pressioni e temperature presenti nelle profondità delle miniere, dopodichè sublima diventando un isotopo molto instabile dell’azoto.

La scoperta della cenighite fu il classico colpo di fortuna di un principiante: Gaspare, un gommista di Salerno, gonfiando con azoto gli pneumatici dello scooter di un suo cliente – il muscoloso Gianbattista - capì subito che qualcosa di strano doveva essere accaduto se di colpo la gomma era diventata tiepida e una volta montata garantiva un grip fenomenale, come una calamita. Il suo cliente gli lasciò dieci euro di mancia ma Gaspare non fece in tempo a spenderli perché il pneumatico anteriore dello scooter esplose di notte nel garage facendo più danni di un candelotto di dinamite e Gianbattista lo andò a cercare per togliersi lo sfizio di mangiare carne umana. Gaspare lo calmò offrendogli l’allettante prospettiva di fare analizzare l’aria contenuta nella gomma superstite e capire in che modo eventualmente sfruttare la cosa per farci dei soldi, tanto più i dieci euro che Gianbattista gli aveva generosamente donato erano falsi.

Il giorno successivo portarono la gomma posteriore dello scooter, trattandola con più delicatezza di un “pallone di maradona” acceso la notte del 31, ad un laboratorio di ricerca all’università di Napoli dove una cugina di Gaspare lavorava nel servizio di ristorazione: non era molto ma in quanto ad amicizie in ambito scientifico quella era l’unica carta che potevano giocare. Marisa, a sua volta, li presentò al Prof. Rissati che per prima cosa li prese per scemi, poi per pazzi quando comprese che tra quel cerchio da ’16 e quel pneumatico scalinato c’era roba potenzialmente esplosiva e infine per due idioti qualunque allorché le due facce di bronzo gli spiegarono che volevano tirarci su dei soldi da quella specie di scoperta.

Rissati era un uomo di scienza e gli sarebbe dispiaciuto rinunciare a prendere scientificamente a calci quei due cialtroni che lo avevano scambiato per l’oracolo di lascia o raddoppia ponendogli domande come “cosa c’è qui dentro, dottò??”, indicando la gomma tra le mani luride, oppure “ma si possono fare dei soldi con una scoperta scientifica o si diventa solo famosi come Corona, lo conosce lei Corona? Bello uaglione, no?”; l’unica soluzione per il Professore era quindi avvalersi del metodo sperimentale e indagare sul contenuto di aria trattenuto in quella ruota tiepida e poi togliersi il piacere di sbertucciare i due bifolchi. Sorprendentemente, un’analisi superficiale fu sufficiente per sospettare di essere in presenza di tracce di qualcosa mai osservato in precedenza e qualche settimana di approfondimento fece gridare alla scoperta sensazionale di un nuovo elemento chimico sconosciuto in precedenza, la cui corretta collocazione sulla tavola periodica degli elementi fu successivamente oggetto di infuocati dibattiti da parte della comunità scientifica mondiale. Rissati chiamò “cenighite” il nuovo elemento e scoprì che era impossibile trovarlo allo stato solido se non alle condizioni presenti alle estreme profondità terrestri, al di fuori delle quali diventava un gas simile all’azoto ma con la peculiarità di trasmettere al polimero con quale entrava in contatto qualità di resistenza, aderenza ed elasticità formidabili, con il solo effetto collaterale di poter causare lo scoppio del contenitore all’interno del quale veniva immessa se la pressione superava 1,8 bar.

Il Professore pubblicò i suoi studi scientifici sulle riviste più prestigiose del mondo e abbandonò ogni altra ricerca in corso per dedicarsi esclusivamente allo sfruttamento economico della cenighite, dalla quale ricavò fama e denaro quando ottenne e vendette il brevetto per l’uso del nuovo metallo ad una multinazionale della chimica. Gaspare e Gianbattista lo chiamarono più per avere la loro parte ma quest’ultimo si face sempre negare fino a quando, infine, sparì dalla circolazione senza avvisare e senza lasciare tracce. Inutili sedici puntate di “chi l’ha visto”, appelli radiofonici, fiaccolate, implorazioni televisive della figlia e un appello accorato di un eminente uomo di chiesa che sapeva ballare il tango. Sparì pure Marisa.

Il caso della cenighite divenne di portata mondiale ma fu di breve durata, appena un inverno e una primavera. In estate, infatti, si scoprì come il troppo instabile gas della cenighite fosse incline alla deflagrazione ed in ogni caso efficace solo per un’oretta, poi diventava comunissimo azoto e ogni effetto di extragrip spariva. Dopo i primi portentosi utilizzi nelle competizioni motociclistiche, con abbassamento dei tempi sul giro di un buon 30%, fu messo al bando da tutti i regolamenti in seguito ai numerosi scoppi di pneumatici che decimarono le griglie di partenza delle gare più titolate e, per scoraggiare i furbi, l’utilizzo (ma non il possesso) della cenighite fu reso illegale in tutto il mondo e consentito solo agli Stati per scopi militari.

Alla fine della fiera, in pochi mesi, della miracolosa cenighite ne scomparve lo scopritore e ne fu vietato l’utilizzo a tutti, se non agli eserciti. Che beffa.

Fiorì un mercato nero, c’era da aspettarselo. La stessa industria monopolista che procedeva all’estrazione del gas vendeva una parte del prodotto ad associazioni paramilitari le quali, incredibile a dirsi, lo rivendevano a loro volta su internet a motociclisti danarosi e talmente folli da rischiare la galera o la vita per un giro in moto con l’extragrip. A quel punto, lavorare in miniera all’estrazione della cenighite divenne un’attività molto remunerativa ma soggetta a regole quasi da caserma a causa della sua pericolosità e dei rischi per la salute, ciononostante chiamò a raccolta tutti coloro senza più niente da perdere e consapevoli che a lavorare a due chilometri sottoterra l’aspettativa di vita si riduce drasticamente. Io sono uno di quelli. Non siamo molti, forse una trentina: io conosco solo quelli del mio gruppo di lavoro.

Il mio racconto potrebbe finire qui, e forse ho già detto troppo. Sono alla dodicesima settimana e mi aspetta ancora un lungo periodo di lavoro prima di poter risalire in superficie ed essere pagato. Per inciso, la paga è in natura: cenighite da rivendere allo Stato o da farne ciò che si vuole a proprio rischio. Ma la cenighite è una droga, più ne hai più vuoi averne e costa, costa tanto e se qualcuno ci rimette le penne per lo scoppio di una gomma pensi che sia un prezzo equo quando a trecento all’ora senti l’anteriore affondare nell’asfalto in piega.

Qui sotto siamo tutti così: drogati e assuefatti. Motociclisti affamati di velocità ed emozioni strazianti come affrontare il curvone di Phillip Island in sesta piena inclinati fino a strisciare il casco, oppure alla ricerca della trazione che la ceneghite regala ai tasselli sul fango e sulla sabbia fino a farti spingere ad allungare i rapporti per toccare i duecento sullo sporco e sentirti in grado di violare le leggi della fisica per ridere forte sotto il casco con gli occhi allucinati per poi tornare al mercato nero a comprare cenighite, mettendo in conto di spendere quanto tre anni di lavoro di un comune impiegato: io ci ho sperperato il mio ingentissimo patrimonio ed ora sono qui, a lavorare in miniera per guadagnarmi ancora un po’ di cenighite, come tutti.

Giovedì ho conosciuto Gaspare e Gianbattista, assunti come ispettori dalla compagnia di estrazioni, vengono ogni tanto in miniera ad accertarsi che il rivitalizzatore, le pompe per l’aria ed i martelli ad ultrasuoni siano ok; si dice abbiano depositato presso tre notai diversi, col mandato di diffonderle alla stampa nel caso dovese loro accadere qualcosa, le prove segrete di come la cenighite fosse riuscita ad intrufolarsi per la prima volta nelle gomme dello scooter di Gianbattista, dando l’avvio a questo business lucroso e torbido.

Gaspare mi ha riconosciuto, si è avvicinato e mi ha chiesto se ero proprio io. Ecco, io di una cosa sono ancora sicuro: di essere ancora me stesso.
- Gesù… pure tu.– ha esclamato, stringendo gli occhi per vederci meglio.
- L’emozione è una droga – tentai di giustificarmi – non ne hai mai abbastanza.
- Quanto ti manca per uscire?
- Ho fatto dodici settimane…
- Nessuno è mai arrivato a sei mesi… lo sapevi?
- Allora è vero?
- Purtroppo… hanno tutti rinunciato prima. Ma tu sei un fuoriclasse; sono sicuro che uscirai fuori di qui con la tua pepita di cenighite.
- Hai riconosciuto anche gli altri? Ce la faranno? – la mia voce era tremula.
- Da quando lavoro qui, ho visto passare molti piloti, motociclisti comuni e anche dei campioni… ma mai tutti insieme come questa volta… vi hanno inguaiato per bene: prima vi hanno fatto provare la cenighite e poi ve l’hanno tolta. Siete come dei tossici, affamati delle emozioni da extragrip e disposti a lavorare praticamente gratis per sei mesi pur di riprovare le stesse sensazioni… siete marci dentro… non avete speranza. In nome della vostra passione vi state bruciando la vita. Glielo dico sempre a mio figlio che è pure fan tuo… i motociclisti sono pazzi.
Era abbastanza. Drogato. Dipendente. Marcio. Tossico. Schiavo. Ma pazzo no. Né io né gli altri motociclisti. Ci fu la rivolta. Tutti e otto legammo mani e piedi Gaspare e Gianbattista e li minacciammo di morte per ultrasuoni se non ci avessero rivelato come avevano ottenuto per la prima volta la cenighite. Loro due si misero a ridere e ci dissero che non saremmo mai riusciti ad ottenerla, ci mancava la materia prima. Il primo colpo di ultrasuoni colpì Gianbattista al ginocchio e glielo spappolò, il secondo era in partenza per la testa di Gaspare:

- Innanzitutto serve uno sciopero della nettezza urbana di almeno un paio di mesi, anche quattro o cinque… la spazzatura deve essere sia di casa che di ristorante, meglio ancora se ci metti quella che producono i camion dei panini- disse quasi sottovoce Gaspare.
- Ehhh???- dissi io in preda all’esaltazione da Spartaco.
- Poi prendi un paio di metri cubi di questa monnezza bella stagionata all’aperto e al sole, la porti dentro una baracca e ci devi dare fuoco e aspettare che il fumo diventi bello caldo…
- Gaspare se dici ancora cazzate di frullo il cervello con gli ultrasuoni!
- …aspetta, sto dicendo la verità- gridò con gli occhi fuori dalle orbite mentre Gianbattista urlava il suo dolore.
- …quando il fumo è bello caldo e denso prendi la bombola vuota, la colleghi al compressore e inizi ad comprimere il fumo nella bombola… poi con la stessa aria ci gonfi le gomme e puoi partire tranquillo…

Guardai i miei colleghi, tutti stranieri: spagnoli, inglesi, americani. L’unica riflessione a venirmi in mente fu che certe scoperte le possiamo fare solo in Italia. Per fortuna.

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