Giorgio Faraldi, il regista del Motocross

Giorgio Faraldi, il regista del Motocross
Massimo Zanzani
Da sette anni è il regista del Mondiale cross, una pedina fondamentale della Youthstream per trasmettere in diretta TV le fasi più accattivanti di tutti i GP | M. Zanzani
29 maggio 2013

 

Giorgio Faraldi, come si diventa registi del motocross?
«Facendo la gavetta: il primo anno sono arrivato in Youthstream come produttore, poi ho preso a mano la regia della Supermoto e poi anche quella del Mondiale cross. Prima di allora ho fatto esperienza con la regia in studio, con tre o quattro camere per i talk show e nel pugilato, cose semplici rispetto a quelle di adesso, ma soprattutto ho avuto una solida formazione tecnica frequentando una scuola di perito elettronico e facendo sia il cameraman che il montatore, professioni che hanno permesso di crearmi un'esperienza a 360°. Quando mi è stato proposto di passare alla regia conoscevo quindi tutti gli aspetti del lavoro e mi sono sentito di prendere questa responsabilità, anche perché oltre a telegiornali e programmi di intrattenimento per il 90% della mia carriera ho sempre curato sport motoristici tra cui Rally e Formula 1».


Come è strutturato il tuo lavoro?
«Se la pista è nuova arrivo in circuito già il mercoledì, diversamente il giovedì, perché devo decidere la posizione esatta di ogni telecamera, l'altezza a cui devono andare, il tipo di trabattello, il modello di supporto, se vanno abbinate al cavalletto o se debbono essere munite di piattina rotante dove è seduto il cameraman, il tipo di ottica da utilizzare e dove piazzare l’operatore per le interviste e quando l’abbiamo a disposizione anche la posizione della Jimmy Gib che è una sorta di giraffa che di solito segue dall’alto il pilota in una curva».


Una volta preparato tutto si fanno le prove il sabato e poi arriva il fatidico giorno della diretta. Quanto tempo prima ti prepari?
«Se iniziamo alle dieci con l’Europeo entro nel camion regia alle otto e mezza per fare delle prove perché ci vuole abbastanza tempo per mettere a punto tutto: vedo comparire una camera alla volta, devo cercare di spiegare ai cameraman cosa devono fare e dare le priorità a cui attenersi, è un lavoro lungo. A livello televisivo infatti abbiamo delle tranche standard di un'ora, dove devi cercare di far entrare tutto e non è semplice perché abbiamo tanti obblighi e materiale da trasmettere già prima che inizi la gara. Poco prima del via so già più o meno come inizierò, faccio il piano di massima con le ultime istruzioni per gli operatori TV spiegando che dopo la sigla andremo con la camera tre, poi con la cinque e di seguito con la Post Card. Due minuti prima che si abbassi il cancello comincio ad urlare: due minuti alla partenza, un minuto, poi inizio a fare il conto alla rovescia, quindici secondi, poi da dieci a uno e play: è a quel punto che parte la sigla e inizia la gara».


Perché urli?
«Perché tutti mi devono sentire forte e chiaro, quando alzi la voce tutti stanno zitti e si concentrano bene. Io ho la cuffia e parlo nel microfono, ma per chi sta nel van è più immediato sentire direttamente la mia voce, perciò urlo, per richiamare l'attenzione. Poi cominci ad essere talmente concentrato che non senti più niente, però quando ci sono delle belle lotte, una caduta, si fa il tifo, senti proprio che ti penetra l'adrenalina».

Faraldi nel camion regia
Faraldi nel camion regia


In quanti siete nel camion regia?
«Oltre a me c’è un assistente che mi dà le dritte quando succedono certe battaglie che non riesco a vedere, poi c'è il grafico, il mixer video che mi sta di fianco e che cambia la sequenza delle telecamere in base all'ordine che gli do, il tecnico audio con l'assistente che si occupa dei suoni e dei microfoni, due operatori che si occupano del controllo delle camere, dalla scelta dei diaframmi alla colorimetria delle immagini perché i cameraman che sono in posta mettono solo a fuoco e segue i piloti ed un altro paio dedicati alle scene rallentate e agli high lights che utilizzano la nuova K2 Dyno della Grass Valley, una grossa società americana che fabbrica anche i mixer ad alti livelli, così versatile che la usano anche nella MotoGP».


Davanti a te hai un bel po’ di schermi che devi seguire.
«Nelle gare che si corrono in Europa ho sei plasma di una cinquantina di pollici gestiti da un software che permette di personalizzare l'interno degli schermi così da poterli dividere come si vuole. Puoi dividerli in sei parti, farne uno grosso e uno piccolo, o in qualsiasi altro modo, io me lo personalizzo in modo da avere un grosso schermo per il programma che va in onda, uno per la preview che è quello che andrà in onda nel cambio successivo, poi tutte le camere sono in riquadri un po' più piccoli».


Quante sono?
«In gente sono undici, che possono filmare anche due parti del circuito se non addirittura tre, per cui in totale abbiamo circa sedici fonti o sorgenti, le chiamiamo così, più le On Board piazzate sui caschi dei piloti, le RF per la trasmissione senza cavo e le Minicam che piazziamo a terra lungo il circuito. Inoltre ci sono le tre pagine coi tempi dei piloti, i monitor delle quattro sorgenti dedicate alle immagini rallentate, uno per le grafiche che andranno in onda e uno per segnale che viene mandato al paddock. In totale ho quindi di fronte a me una trentina di schermi, senza contare quello che il responsabile software ha personalizzato per me dove ho una freccetta verde che mi fa capire quando un pilota sta guadagnando terreno rispetto a quello davanti, un quadratino rosa che compare quando il distacco è diventato solo di un secondo facendomi capire che sta recuperando forte e che forse vale la pena seguire l’azione, un segno giallo che mi identifica in che punto della pista è il pilota con l'on board, ed un altro di colore diverso per i piloti locali che di solito non è semplice localizzare. Questo sistema mi ha dato una grande sicurezza nella gestione della gara».


Altro che quattro, di occhi ce ne vorrebbero almeno cinque o sei! Qual è il momento più bello?
«Quando c'è una bella lotta o quando mancano magari tre giri alla fine e un pilota importante supera un altro; senti proprio il boato, tu ti stai divertendo a filmarla e sei consapevole che a casa si divertono a vederla. Oppure quando riusciamo a prendere in diretta una caduta spettacolare, come ci è successo ad esempio in Portogallo quando Cairoli è finito a terra. L'abbiamo filmato proprio bene, e c'è stata un'esplosione di adrenalina ma ovviamente non perché eravamo contenti che fosse caduto, bensì perché siamo riusciti a far vedere benissimo le immagini. In quel momento io senza perdere tempo parto a dare comandi e a dire: voglio il rallenty, ce l'avete da un'altra parte? E si comincia subito a mettersi in moto per trovare la camera che aveva le riprese, praticamente mentre stiamo filmando la caduta prima che sia finita ci stiamo già preparando per proporre le fasi al rallentatore. E così io non guardo mai quello che va in onda, sono già a quello che viene dopo, anche quando mando la sigla, sto già lavorando a quello che viene successivamente».


Il momento più brutto, invece?
«Quando ci sono degli elementi esterni che ti disturbano e ti fanno perdere la concentrazione. A volte passo qualche giro senza sapere che cosa sto riprendendo, le possibilità di errore sono tante e quello che è andato è andato, la diretta non perdona».


Qual è stato il più grosso errore che hai fatto?
«La cosa frustrante è quando non prendi l'arrivo, purtroppo mi è capitato nel 2006 in Irlanda quando per una serie di cose stavo seguendo un'altra situazione e ho perso il finale. Adesso con l'esperienza che ho mi permetto di fare delle cose un po' più rischiose. Ad esempio seguo il primo ma all'ultimo giro mi posso permettere se c'è una battaglia importante più dietro di andare a tenerla d'occhio senza perdere di vista il vincitore, non è facile e nessuno lo fa per me perché ci vuole esperienza. In quel momento cerco di prepararmi in anticipo, magari dico a un cameraman che è nel rettilineo a tre o quattro camere prima della fine che quando arriva chi vince la gara di prendermelo così posso stare sicuro che lo mando in onda».


Per quale motivo non dovresti seguire il vincitore all'ultimo giro?
«Perché cerchi di dare più spettacolo con qualcosa di più interessante, magari Cairoli da qualche giro è davanti con trenta secondi di vantaggio mentre dietro si stanno scannando per superarsi. Nella MotoGP è più semplice perché ogni curva ha la sua telecamera per cui sai esattamente in ogni istante dove sono i piloti, mentre io se vado a cercare una battaglia non ho la visione di dov'è il primo in quel momento in quanto le camere non sono tutte libere perché magari quella che mi filmerebbe il primo in realtà è girata dietro che riprende la battaglia e quindi il ritornare sul primo comporta una ricerca. Per questo il rischio c'è sempre, perdendo un po' di tempo devo essere sicuro di quello che faccio, non posso permettermi di filmare una battaglia e poi non tornare in tempo sul primo».


Il momento che ti ha dato più soddisfazione in questi anni?
«Al Nazioni l'anno scorso abbiamo utilizzato la Cable Camera, una telecamera che scorre su cavo che ha fornito delle sequenze nuove e spettacolari offrendo una visione d'alto come dall'elicottero ma a soli 15 metri di altezza. E' stato fantastico averla sul traguardo, alla partenza, sul podio dove avevi la visione di tutta la gente davanti: davvero magnifica. Altri momenti indimenticabili se riesci a coprirli bene sono quando c'è la festa per il vincitore del Mondiale, c’è una forte adrenalina che spero di trasmettere anche ai cameraman, di incitarli, di istruirli bene per la gioia degli spettatori che sono a casa».


Certo che dopo ogni gara perderai un paio di chili….
«Magari, andrebbe bene per la mia dieta! In realtà a volte fatico un po' con la voce, bisogna cercare di risparmiarsi, ci sono gare dove sei un po' più tranquillo, altre dove sei un po' più stressato, però l'importante è conservarsi perché queste giornate sono lunghissime».


Ultimamente sono arrivate alcune importanti novità.
«Sì, la più significativa è la diffusione in alta definizione che ha portato immagini più belle e dettagliate, lo percepisco immediatamente perché vedo meglio i numeri e quando usiamo le immagini in post produzione per fare altri video la qualità è veramente molto più elevata. Inoltre usiamo spesso il drone, un piccolo elicottero che ti offre la possibilità di avere in diretta le riprese dall’alto».


In Qatar si è corso per la prima volta in notturna, come hai vissuto il GP?
«E’ stata un’esperienza nuova, e considerando tutto direi che è andata bene. C'erano due grossi camion con pali da trenta metri che illuminavano due zone principali, il resto è stato fatto con pali alti sette metri dislocati tutto intorno al circuito che hanno fornito una buona illuminazione. Abbiamo visto come rendere più uniforme tutto il circuito, e dalla prossima edizione probabilmente avremo un impianto fisso che offrirà le condizioni ideali. A me comunque è piaciuto, preferisco quando si corre di giorno ma una ogni tanto è carina. E' un po' come la MotoGP: crea quell'evento speciale che può essere attraente per la gente considerando anche che gli orari di messa in onda possono essere un motivo in più per guardarlo in TV».


Un sogno?
«Dirigere la regia di concerti perché la musica mi piace da morire. Magari quello dei Depeche Mode che fanno il 18 luglio a San Siro. Andrò a vederli, ma invece di stare in mezzo al pubblico mi piacerebbe proprio stare nel camion regia».