Nico Cereghini: "Il talento conta, l'opportunità di più"

Nico Cereghini: "Il talento conta, l'opportunità di più"
Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Quanti bei piloti italiani in Moto3! La trionfale gara di Assen è stata fantastica. Agostini diceva: un vero talento sboccia ogni vent'anni. Oggi le doti innate ci vogliono ancora, ma forse conta di più la possibilità di salire sulla moto da piccolissimi con un papà che ti vede già pilota
  • Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
28 giugno 2016

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Ciao a tutti! Che goduria la gara della moto3 ad Assen! Vedere tanti piloti italiani lì davanti, almeno in sette a giocarsi vittoria e podio, soddisfa un mucchio di cose, a cominciare naturalmente dal campanilismo che in questi anni è stato messo a dura prova dallo strapotere degli spagnoli. Qui si afferma una scuola, la scuola italiana che avanza di nuovo. E poi c'è la gioia di assistere a un grande spettacolo su una pista difficile e tecnica, l'ammirazione verso quei ragazzi così giovani e già capaci di darsele di santa ragione senza sbagliare quasi niente e senza commettere scorrettezze, infine la soddisfazione di veder prevalere Pecco Bagnaia, che meritava e non aveva ancora vinto.


Ma come fanno a viaggiare così vicini? Pare incredibile che non si impiglino l'uno nel manubrio dell'altro in tutte le curve, e alla fine soltanto Enea Bastianini, purtroppo per lui, paga un contatto fortuito con una caduta. Certo, le moto sono piccine, basta il minimo varco e il pilota se lo prende, ma tutta questa precisione, tutta quella lucidità da dove gli arriva, a questi piloti-ragazzini? Dalle garette delle minimoto, mi viene da dire, che tutti loro hanno frequentato fin da quando andavano all'asilo. Non c'è come cominciare da piccolissimi, per assimilare una grande capacità. Ma allora, quanto conta la scuola, l'applicazione, il lavoro di affinamento e quanto conta ancora il talento?


Quando ero ragazzo, al talento credevo ciecamente. Agostini era talento puro, Hailwood idem, i Beatles e Marilyn Monroe non ne parliamo neanche. Ero certissimo che alla base del successo di una carriera luminosa ci fosse l'unicità, una speciale dote innata, una predisposizione naturale; qualcosa di originale e molto creativo, che di solito emergeva in tenera età e veniva poi coltivato con tenacia e passione. Il talento puro, insomma. Ma adesso no, non ne sono più così convinto.
 

Metto a confronto le storie di certi tennisti, dei golfisti e dei piloti più straordinari, soprattutto dei più recenti provvisti di numerose biografie, e alla base del loro successo vedo soprattutto lavoro e impegno. Vedo tanta applicazione fin da bambini in una precisa direzione, vedo dei padri molto decisi, sacrifici da fare per far convivere lo sport e la scuola, e alla fine pazienza per la scuola. Non so dire se il padre di Lorenzo e quello di Stoner, tanto per fare due nomi noti senza andare a scomodare i Rossi, abbiano visto nel rispettivo piccoletto una predisposizione speciale. Mi sembra di capire che ai due papà sia bastato che il figliolo fosse un maschio e che non sembrasse negato al manubrio della prima motoretta che gli veniva infilata sotto al sedere. Poi avanti imperterriti, ore e ore a girare su una pistina o addirittura su un prato intorno a un palo, senza stancarsi mai e cercando di migliorare sempre. Lo dice chiaramente Casey Stoner: pur di farlo girare tutto il giorno su quel prato fu deciso che abbandonasse la scuola, e per insegnargli a leggere e scrivere sarebbe bastata la mamma.


Il talento serve ancora, naturalmente. Chi ha talento arriverà più in alto. Ma se una volta il talento era tutto, e grazie a quello un ragazzo diventava magari una rock star o un grande pilota mentre la famiglia lo voleva ortolano come il padre oppure dottore, oggi va diversamente. Oggi fondamentale è avere l'opportunità. La prova del nove viene dalla Romagna. Perché, per tanti anni, i nostri campioni sono emersi quasi esclusivamente da quella regione? È l'aria, l'acqua del mare Adriatico, è la piadina che determina il talento? Macché, lì c'erano le condizioni giuste. Cultura, passione, competenza, tradizione, team, piste, piccoli sponsor... Un bambino romagnolo aveva, e ha tuttora, maggiori chances di trovarsi un papà che preme, una mamma paziente, la pistina sotto casa, la pizzeria che copre le prime spese, un team che lo scopre. Oggi il fenomeno del papà/preparatore si allarga, e con i romagnoli Antonelli, Bastianini, Migno e Bulega (adottato da Rimini e nato in provincia di Reggio Emilia) ecco Bagnaia che viene da Torino, Di Giannantonio da Roma, Fenati da Ascoli Piceno, Locatelli da Selvino, provincia di Bergamo. Tutti ragazzi bravi e talentuosi, certo, ma soprattutto molto ben indirizzati. E poi, naturalmente, fortunati.

Il talento conta, l'opportunità di più