Nico Cereghini: “Il rischio della garetta”

Nico Cereghini: “Il rischio della garetta”
Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Con il regolamento attuale, in caso di interruzione per pioggia, potrebbe accadere di giocarsi un titolo mondiale in soli cinque giri. E’ giusto? E qual è la distanza ideale di una gara iridata oggi? | N. Cereghini
  • Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
24 ottobre 2012

Punti chiave


Ciao a tutti! A Sepang, quando il diluvio ha interrotto la MotoGP al quattordicesimo giro, è comparso di nuovo il fantasma dell’oratorio e tutti hanno tremato. Era il 28 giugno del 2008, classe 125, nubifragio, interruzione, quindi ripartenza della gara disputata su soli cinque giri. Appunto da garetta d’oratorio. Era accaduto anche a Le Mans il mese prima, anche lì cinque giri per la gara più corta della storia, meno di 21 chilometri; e a Doha, 2009, quattro giri addirittura per 21,5 km. Ma Assen è rimasta unica perché la battaglia fu tale che i primi otto, dal vincitore Talmacsi all’ottavo Iannone, finirono classificati in meno di un secondo. Jorge Lorenzo, soltanto a pensarci, ha rischiato l’infarto.

Questa volta non se n’è fatto niente, meno male, la burrasca è peggiorata. La gara sarebbe stata un po’ più lunga, sette giri; distanza prevista dal programma venti tornate, tredici percorse, quindi sette. Ma in queste situazioni non si fa più come una volta, con la seconda manche e il calcolo finale dei distacchi. Troppo complicato, i telecronisti si perdevano e il pubblico pure. Il regolamento da dieci anni è chiaro: la prima gara viene annullata e vale soltanto la seconda. Così, recentemente è successo spesso di assistere a gare corte: la più breve della 250 è di 69 km, Sachs 2009, quasi normale, ma la più corta della MotoGP al Mugello è quella del 2004 sulla distanza di soli sei giri, 31 km e mezzo. Vinse Rossi su Gibernau per 15 centesimi, poi Melandri a 14 secondi.

Tutti i piloti sono contrari, alla regola che vanifica la prima parte della corsa, ma il pubblico ha sempre apprezzato la furibonda battaglia che ne viene fuori


Una gara così, per uno come Jorge Lorenzo, che mentre guida deve tenere sotto controllo somme e differenze…beh, sono dolori. E del resto tutti i piloti sono contrari, alla regola che vanifica la prima parte della corsa, ma il pubblico ha sempre apprezzato la furibonda battaglia che ne viene fuori. Una volta, per provocazione, io stesso ho lanciato la proposta di accorciare le gare delle due cilindrate minori. Ricordo, al proposito, che Simoncelli rientrò nello studio di Fuorigiri dal quale era appena uscito: «Dio bo' – se ne venne fuori così - questo è il campionato mondiale, mi stupisco che uno che ha corso faccia una proposta del genere!».

Una volta si correva su distanze enormi. Nei primi vent’anni del mondiale, al TT e all’Ulster i piloti della 500 coprivano fino a 480 km, ad Assen poco meno di 300. Agostini e la MV 500, quando a Monza vinsero insieme per la prima volta nel ’66, fecero ben 35 giri per oltre 200 chilometri, e ancora negli anni Settanta i 200 chilometri venivano spesso superati. Qual è la distanza giusta di una gara di mondiale? In F1 fanno un mucchio di strada in più. Giro a voi la questione. Io penso che la MotoGP vada bene così, tra i 110 e i 120 chilometri. Credo che tre quarti d’ora siano il minimo per riuscire a vedere un po’ tutto: prestazioni, guida, strappi iniziali, strategia, consumi, qualche volta (rare, purtroppo) anche le battaglie e lo spettacolo. Forse Moto2 e Moto3 potrebbero essere del 30 per cento più corte senza perdere nulla, però oggi non le toccherei: con i motori a quattro tempi, e buona pace di chi li odia, lo spettacolo è quasi sempre eccezionale. Cambierei soltanto la regola che oggi rischia di trasformare tutte le gare in garette dell’oratorio.