Nico Cereghini: "L'integrale, che all'inizio non piaceva"

Nico Cereghini: "L'integrale, che all'inizio non piaceva"
Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Il casco preferito, il nostro simbolo, faticò a imporsi tra gli stessi piloti: meglio la scodella, sostenevano. Ma anche qualche costruttore di moto gli fece la guerra… | N. Cereghini
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11 gennaio 2011

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Ciao a tutti! 
Il casco integrale è uno degli oggetti più belli della nostra passione: ha un grande fascino, probabilmente è il simbolo più autentico del motociclista, e oggi è accettato da tutti. Ma ha fatto fatica ad affermarsi. Moltissima fatica.
Nel campionato del mondo, per esempio. Gli inglesi, tradizionalisti, erano affezionati al Cromwell a scodella; con gli occhialoni, e al massimo una leggera mascherina di pelle sulla bocca.
Negli Usa invece passarono prestissimo al casco jet con grandi visiere panoramiche, come del resto fece anche Renzo Pasolini da noi.
Ma il primo pilota ad usare il casco integrale in una gara iridata fu Alberto Pagani alla fine del ‘69, a Imola, vincitore in 500 con l’artigianale Linto nel GP delle Nazioni. Me lo ricordo, quel giorno, le MV erano assenti per protesta, il conte Agusta voleva che il Nazioni restasse per sempre a Monza. E poi i titoli erano già vinti.
 

E’ la logica che ha tenuto in vita il TT: con l'integrale temevano che si perdesse la percezione della velocità, che ci si vedesse poco e non si sentissero abbastanza i suoni...


Ago me lo ha raccontato di recente, quanto era stato traumatico passare all’integrale: Gino Amisano, il fondatore della mitica AGV, voleva che il pilota numero uno provasse il nuovo casco, lui nicchiava. Alla fine se lo infilò in un turno di qualifiche, ma sulla pista sbagliata: Francorchamps, velocità pazzesche. “Alla prima staccata –sono le parole di Agostini- quando uscii dal cupolino a 250 all’ora a momenti persi la testa dal collo e le mani dal manubrio. Che freno aerodinamico era, il cascone! Lo mollai subito, per mesi”.

Ricordo che inglesi e australiani non abbandonarono la loro scodellina fino all’ultimo. Dicevano che l’integrale era roba da mezzi uomini, che un pilota vero deve portare in faccia i segni delle sue cadute. E’ un po’ la logica che ha tenuto in vita il TT. E poi temevano che si perdesse la percezione della velocità, che ci si vedesse poco e non si sentissero abbastanza i suoni.

E ci fu chi fece ancora peggio. La Piaggio. Ancora negli anni Ottanta, quando ormai il casco era già obbligatorio anche in Grecia ma non in Italia, i vertici Piaggio di allora presentarono uno studio realizzato da una università compiacente: visibilità ridotta, zero percezione di rumori e velocità, il casco (soprattutto l’integrale) era pericoloso. Meglio far senza, concludeva clamorosamente l’amministratore delegato di allora (di cui taccio il nome per misericordia), che con l’obbligo temeva il crollo dello scooter. Per fortuna la storia lo ha bocciato.

Viva l’integrale! In testa ben allacciato, luci accese anche di giorno e prudenza, sempre. Linea pulita o spigolosa, liscio o con gli spoiler, monocolore o grafico, belli quasi tutti. Io prediligo quello tecnologico, grafica racing.
E voi? Avete preferenze o fa lo stesso? E voi che state a sud di Roma toglietemi una curiosità: davvero da voi il casco non si porta? Ed è vero che a Napoli l’integrale è fuorilegge per questioni di ordine pubblico, oppure è una balla da servire a noi legalisti? 

Ascolta l'audio di Nico nel box in alto a sinistra

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