Massimo Clarke: Due parole sull’interasse

Massimo Clarke: Due parole sull’interasse
Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Considerazioni di massima su una “voce” della ciclistica alla quale forse si pensa meno delle altre; si tratta infatti di un parametro sul quale ben di rado si interviene direttamente, in fase di messa a punto | M. Clarke
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
19 gennaio 2012

Punti chiave

 

L’interasse viene modificato spesso, quando si lavora a livello di assetto della moto, ma in genere ciò accade come conseguenza di qualche altra operazione, avente un obiettivo primario ben diverso. Il collaudatore non dice al meccanico “aumentami l’interasse”, ma qualcosa come “proviamo a montare un forcellone più lungo” o “mettiamo delle piastre di forcella con un maggiore avanzamento”. Queste due operazioni comportano entrambe un incremento dell’interasse ma si effettuano per altre ragioni. Un forcellone di maggiore lunghezza di norma si monta per modificare la distribuzione dei pesi e per ridurre la tendenza al sollevamento dell’avantreno in fase di accelerazione. L’avanzamento delle piastre della forcella (cioè l’”offset”) viene variato per cambiare l’avancorsa e non certo per modificare l’interasse.

È importante sottolineare che i parametri della ciclistica interagiscono tra loro. Se si interviene su uno di essi, cambia qualcosa anche per almeno uno degli altri. Per fare un esempio, se si varia l’inclinazione del cannotto, cambiano anche l’avancorsa e l’interasse. E via dicendo…
Ma andiamo con ordine.


Che cos'è?


L’interasse o passo della moto è la distanza tra l’asse della ruota anteriore e quello della ruota posteriore. Si tratta di un parametro della ciclistica al quale si pensa di rado anche perché quelli che veramente fanno la differenza (e sui quali è anche più facile intervenire) fondamentalmente sono altri. L’inclinazione del cannotto di sterzo o l’avancorsa di una 250 da competizione (va bene, oggi ci sono le Motodue…) sono praticamente analoghe a quelle che si impiegano sulle MotoGP. E lo stesso vale se facciamo un confronto tra le supersportive di 600 cm3 e quelle di 1000 cm3. Quando si tratta di interasse, però, la situazione è diversa. Insomma, una 250 è più piccola, e quindi anche più corta, di una motoGP, ma questo non vuol dire che faccia le curve più piano, anzi… Quello che è certo è che è più agile, anche a parità di angolo di inclinazione del cannotto di sterzo e di avancorsa, e ciò è dovuto sia al peso inferiore che all’interasse minore (e pure i pneumatici più stretti e leggeri hanno la loro influenza). Insomma, per ogni tipologia di moto, nell’ambito di ciascuna classe di cilindrata, l’interasse può variare entro certi limiti, rimanendo comunque all’interno di un determinato campo.


Parametri che interagiscono con l'interasse


Dunque, per quanto riguarda questo parametro, che viene influenzato anche dalle variazioni dell’altezza di assetto, conviene fare solo delle considerazioni di larga massima. E tenere presente che le moto sono di tipologie molto differenti e che, per quanto riguarda il loro comportamento, entrano in gioco anche diversi altri fattori, al di là delle geometrie della ciclistica. Basta pensare al peso, alla posizione del baricentro, e via dicendo. Per fare un esempio, in relazione alla cilindrata le moto da fuoristrada in genere sono molto agili, anche se hanno interassi più elevati, rispetto alle sportive. Il fatto è che sono leggere, hanno il motore molto compatto (voce importante ai fini della centralizzazione delle masse), ruote strette e dal peso contenuto; pure la posizione di guida e la “leva” della quale il pilota può disporre (leggi larghezza del manubrio) aiutano, in questo senso.
Dunque le osservazioni relative all’interasse vanno fatte tenendo conto delle diverse tipologie di moto e delle varie classi di cilindrata.


Come l'interasse influenza la guida

Al crescere della distanza tra gli assi delle due ruote diminuisce il movimento di beccheggio


È evidente che al crescere della distanza tra gli assi delle due ruote diminuisce il movimento di beccheggio, in eguali condizioni; l’affondamento dell’avantreno in staccata e il suo sollevamento in accelerazione tendono ad essere meno accentuati. Inoltre, la moto appare meno propensa a cambiare rapidamente direzione: il pilota avverte una maggiore stabilità ma al tempo stesso una minore maneggevolezza. E la guida tende a diventare più “muscolare”.


I valori in gioco


Per avere un’idea dei valori in gioco e di come essi siano eventualmente variati nel corso degli anni, facciamo riferimento alle 1000 quadricilindriche sportive. In questo caso l’interasse è oggi compreso tra i 1.405 mm della Suzuki GSX-R e i 1.432 della BMW S1000 RR (valori nominali, comunicati dalle case, che vengono come ovvio rilevati a moto scarica, con entrambe le ruote poggianti al suolo). Bene, prendiamo alcuni esemplari di S 1000 RR e misuriamo, per ciascuno di essi, la distanza tra gli assi delle due ruote. Potremo rilevare valori che vanno da 1415 a poco più di 1450 mm. La ragione di questa variabilità (dell’ordine di 40 mm, che non sono pochi) è semplice: agendo sui registri per mezzo dei quali si regola la tensione della catena, si allontana o si avvicina l’asse della ruota al fulcro del forcellone, cosa che determina appunto una variazione dell’interasse. Come ovvio, si fa sempre riferimento ai valori comunicati dai costruttori, che sono appunto “nominali”.


Un po' di storia


Un rapido esame di questi valori consente di rilevare immediatamente come negli anni Ottanta le quote degli interassi fossero, senza eccezioni, sensibilmente superiori rispetto a quelli attuali. Basta pensare alla Kawasaki GPz 900 (1.495 mm) e alla successiva ZX-10 (1.490 mm). Le sportive della Honda all’epoca erano delle 750 con quattro cilindri a V (serie VF - VFR) e non è che avessero interassi tanto differenti (1.495 mm nel 1983, 1.470 mm nel 1990).

All’inizio degli anni Novanta la situazione è sembrata cambiare, e alcuni costruttori si sono orientati decisamente verso misure meno cospicue, al fine di realizzare moto sportive più agili e compatte.
La Kawasaki ZXR 750 del 1993 aveva un interasse di 1.430 mm, ma la Suzuki già nel 1990 con la GSX-R 750 era scesa a 1.415 mm, e nel ‘96 è arrivata a 1.400. Al suo apparire, nel 1992, la Honda CBR 900 RR ha fatto scalpore con i suoi 1.405 mm. Il trend verso misure in grado di assicurare una migliore guidabilità complessiva era oramai evidente, come dimostrato anche dalla Yamaha, che dai 1.460 mm della FZR 1000 del 1989 è scesa a 1.435 con la ThunderAce del ‘96 e addirittura a soli1.395 mm con la mitica R1 del ’98: questa moto, straordinaria in quanto a prestazioni, per diversi piloti si è rivelata anche troppo nervosa, il che ha portato alcuni specialisti a commercializzare dei forcelloni leggermente più lunghi di quello originale.

Negli anni successivi al 2000 la situazione si è stabilizzata, con variazioni di modesta entità via via apportate alle diverse versioni delle 1000 supersportive che si sono succedute. La CBR1000RR nel 2005 aveva un interasse di 1410 mm, poi sceso a 1.405 mm per risalire a 1.420 nel 2010, e ridursi agli attuali 1407 mm. Nel 2004 la GSX-R 1000 aveva un interasse di 1.410 mm, sceso a 1.405 nel 2005 per poi risalire a 1.415 mm nella versione del 2007, e infine tornare a 1.405 mm. Quelli che sono stati fatti negli ultimi anni, e che vengono effettuati anche oggi, sono dunque dei piccoli aggiustaggi, con misure che non escono oramai da un range chiaramente definito. Un discorso abbastanza analogo si può fare per i 1000 (e i successivi 1200) bicilindrici. Qui spicca la Ducati, che avendo il cilindro anteriore orizzontale ha un motore piuttosto lungo. Ad ogni modo, è dall’inizio degli anni Novanta che l’interasse delle bicilindriche sportive bolognesi non usciva al di fuori del campo 1.410 – 1.430 mm: con la recentissima Panigale ora si è saliti a 1.437 mm. Gli interassi delle altre grosse bicilindriche a V non sono dissimili: nel 1997 quello della Honda VTR1000F era di 1.430 mm, un paio di anni dopo quello della Aprilia RSV Mille misurava 1.415; e quello dell’odierna KTM RC 8 è di 1.425 mm. Pure qui, dunque, è evidente una rimarchevole uniformità…
 

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