I Racconti di Moto.it: "Una domenica"

I Racconti di Moto.it: "Una domenica"
Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
Una fuga in moto dalle festività natalizie, belle e un po' malinconiche. E una vecchia giacca di pelle, testimone silenziosa della storia di una vita su due ruote
  • Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
23 dicembre 2016

Piuttosto che alzarmi presto la domenica mattina con la voglia di moto, preferirei esercitare il sacrosanto diritto di consolarmi dai guai ereditati dalla settimana in agonia mummificandomi sotto un pile spesso 3 centimetri. Dopo una fredda notte passata insonne a rovinare il riposo a Laura e a scontrarmi tragicamente contro la temperatura indicata dal termometro, inebetito oltre l'usuale dall'eco di una vecchia canzone natalizia che rimbalza tra il lobo temporale e il deserto dei tartari delle mie sinapsi, stordito dalla mancanza di sonno come un pilota di MotoGp che ha perso i tappi per le orecchie, mi chiedo se semel in anno posso permettermi di essere un patetico ritardato sentimentale; chi me lo vieta, dico io. Ognuno è libero di rovinarsi il karma, tagliarsi i polsi con le lame delle emozioni non ancora in temperatura che fanno male perché sono come una partenza a freddo a diecimila giri, la fai ma sicuramente lascerà delle cicatrici nel motore, e per questo preferisco sempre scaldarle salendo in moto e lasciando che scorra abbastanza strada.

Forse in un'altra vita ero un nomade o un clochard, magari un'astronauta sempre in orbita e morto di nascosto. La moto è la mia stazione orbitante, il mio spazio di apolidia: chi mi cerca sa di trovarmi lì e quando sono da un'altra parte, anche per lungo tempo, è solo un evento temporaneo. Sono prestato senza disagio ad ogni luogo immobile ma veramente disinvolto solo quando l'equilibrio si fa precario; tuttavia, negli anni del rodaggio non ero consapevole di essere un moto-dipendente, di quanto fossi a mio agio con le braccia aperte ad accogliere il vento e di come la motocicletta fosse sempre il luogo migliore dove stare in attesa che le decisioni mi venissero a cercare, sopratutto mi facevo poche domande: ero appena un ragazzo di rapidi istinti. Le moto sono diventate il mio palcoscenico, l'eremo nei momenti difficili, il giardino nelle giornate di sole, l'inferno se ostili. So di non essere l'unico.

Si spengono, quando il sole ha già messo il naso fuori dalla notte, le ultime luci natalizie delle strade mentre cerco la tiepida calzamaglia di lana da indossare sotto i pantaloni che fa tanto ballerino classico (carriera per la quale sentivo di avere un futuro ma la provvidenza ha dato cenno di sè decidendo diversamente) e frugando un po' alla cieca nell'armadio trovo la mia vecchia giacca di pelle Dainese con la striscia gialla sulle maniche, un reperto degli anni '90 che continuo a tenere tra le tante altre giacche da moto perché a trattare bene le cose, questo succede: durano, concedendoti di vedere da dove sei partito e anche se non danno suggerimenti su dove andare mostrano il percorso che hai fatto e chi eri prima di iniziare ad usare quelle ridicole calzamaglie di lana marrone.

Negli anni '90, ad esempio, ero un motociclista con la tuta nera, squattrinato, autodidatta, irresponsabile, ingenuo e lentissimo, solitario come l'ultimo litro di benzina dentro il serbatoio, alla ricerca di così tante cose da ignorare le basi di tutto. Per averle, iniziai da quella giacca con la striscia gialla; e perché no, oggi è il suo turno: tutto sommato è ancora in buono stato nonostante l'età e sopratutto i chilometri, l'unico graffio è sulla spalla destra strisciata lungo un muro quando ebbi un colpo di sonno. Tiene ancora l'odore, un giorno sarà vintage e varrà un sacco di soldi (ho già detto che sono un illuso?), fortuna che non sono ingrassato.

Dieci minuti dopo dò un bacio a Laura che si rigira nel letto mentre le comunico che sarò in motocicletta per un po'. Di rimando lei mi avverte che trascorse 5 ore di assenza cambierà le serrature per motivi di sicurezza, instaurerà il coprifuoco armato e sparerà a vista a tutti gli emuli di Roberto Bolle. Ringrazio sentitamente, fischiettando il motivetto che mi ha tenuto sveglio.

Quando la moto si avvia al primo colpo è sempre una gran soddisfazione, viene voglia di urlare assieme a lei, ringraziarla per essersi concessa e chiederle se è d'accordo con l'intento di prendere le distanze da quella gente che quando vede all'orizzonte profilarsi il luccicante periodo natalizio accelera tentando di entrarci entusiasta a tutta velocità, godendosi il freddo lungo strade piene di rutilanti vetrine e gli inviti a casa degli amici per divorare panettoni; una magnifica ansia da regalo e la tredicesima in arrivo suggellano un'esperienza che ripetiamo ogni anno con le stesse premesse idilliache e le medesime conclusioni frustrate dall'epifania della realtà. Non si capisce bene chi vinca in questa disonesta gara per la festa più felice dell'anno, tuttavia c'è sempre qualcosa che arriva per ultima e raramente citata nelle cronache: una beata rassegnazione.

La mia vecchia Dainese è ancora comoda e mi rimette in sella nella stessa posizione di quando avevo 28 anni, nonostante il tempo trascorso dall'ultima volta che l'ho indossata ritrovo tutto alla perfezione e mi torna familiare la posizione delle tasche, la larghezza delle spalle e la solidità delle protezioni rigide, mi sento gagliardo e nella testa ho solo il turnaround in Sol della canzone mentre supero la rampa del garage con una sfrizionata timida, felice di trovare la città deserta e uno spiraglio di sole.

Tiro una quarta in tangenziale alla ricerca della melodia della canzone che mi frulla in testa, la giacca stringe la gola mentre penso alla sostituzione dell'accordo del sesto grado minore col diminuito: qualsiasi cosa pur di scappare più velocemente possibile dal clima natalizio e se il tentativo di andare più veloce degli eventi per arrivare subito all'otto gennaio è velleitario, mi resta la consolazione di sentire sempre più distinto quel fruscio da vinile e la voce di Judy Garland:

Have yourself a merry little Christmas,
Let your heart be light...

Sono arrivato. Sfilo il casco, ma è dura abbandonare la moto e salire a piedi quei quattro piani di scale e pensare a quante cose sono cambiate da un po' di anni a questa parte; quante: sono sposato con una donna bellissima, Gabriele ha scelto di diventare un magistrato antimafia e la strada è lunga quando sei ancora al quarto ginnasio e pieno di brufoli, Sofia mi stupisce col suo talento per la musica e ha messo gli orecchini, come volevasi dimostrare nessuno dei due ha mai nutrito la passione per la motocicletta come quella che torce le viscere al loro papà fin dagli anni '80; mio padre, parlo di tuo marito mamma, beh... è sempre un testone anche se il suo cuore batte i tempi dispari e suona rauco come un tre cilindri sottocoppia; casa mia sembra più grande, forse perché il mio studio di trenta metri quadrati è diventato la camera dei ragazzi e tutte le cose ingombranti le ho spostate in una camera di dodici realizzando il record mondiale di compressione oggetti inanimati e inutili.

Il clima è diventato tropicale.

Le motociclette sempre più grosse.

Sono andato in Africa. Tornato, tutto a posto; ho abbandonato volontariamente un paio dei tuoi occhiali dentro un tempio buddista in Laos; un anno fa mi hanno fatto i raggi X perché pensavano fossi un corriere della droga.

Posso provarlo, ho le foto.

Come al solito, cerco di restare in motocicletta sempre più del necessario e ancora non è abbastanza.

Ho dei progetti, ma non voglio parlarne per scaramanzia.

Mi dispiace molto che tu non possa vedere queste cose; la mia Dainese le ha viste quasi tutte in tempo reale: te la lascio qui, al posto dei fiori; ah, la scuola che ho frequentato per tredici anni chiude per sempre, fottuta globalizzazione. La brutta storia di casa tua ormai persa e venduta all'asta, evito di raccontartela.

Credo sia tutto. Se ho dimenticato qualcosa, chiedi pure a questa giacca da moto con le strisce gialle sulle maniche che oggi ho portato al suo capolinea: lei sa tutto, ha visto tutto e non è tenuta al segreto professionale. Io, come mio solito, non mi farò vedere per un po'. Scusa se sono passato senza avvisare ma le feste di fine anno proprio non le reggo, immagini certamente il perché ma non devi fartene un problema se sei andata via un capodanno di tre anni fa.
Vado.

Sì, vado. Salgo in sella, meglio il freddo che l'aria marcia di fiori morti, ho bisogno di cantare a squarciagola Have yourself a merry little Christmas, Let your heart be light, e pensare che in questi giorni devo restare in moto perché altrimenti l'umore prende una chiazza d'olio e scivola prima di arrivare all'ultimo verso della canzone: From now on, our troubles will be miles away... patetico, ritardato, sentimentale, tutto vero. Aggiungerei motociclista, so di non essere l'unico.

 

Foto: RideApart