Via il calore: raffreddare i motori (Seconda parte)

Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Il raffreddamento ad aria è perfetto, ma quando le potenze non sono elevatissime
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
4 ottobre 2018

Semplicità ed estetica sono sicuramente i punti di forza del raffreddamento ad aria.

Niente radiatore, pompa, manicotti, serbatoio di espansione e liquido refrigerante. Alcuni lo definiscono giustamente raffreddamento diretto, per differenziarlo da quello indiretto, nel quale un liquido asporta il calore rimosso dalla testa e dal cilindro per poi cederlo all’aria tramite il radiatore. 

In quanto all’estetica del gruppo termico, difficile battere una alettatura ben disegnata. In effetti in alcuni motori raffreddati ad aria il complesso testa-cilindro sembra quasi una scultura! Vantaggiosi sono anche l’assenza di tubazioni esterne e in genere anche una certa riduzione del peso. Pure la possibilità di arrivare rapidamente alla temperatura di regime dopo una partenza a freddo è positiva.

Parlando di refrigerazione ad aria meritano un cenno i motori stellari d’aviazione, che invariabilmente la adottavano. La loro grande diffusione sui velivoli militari si spiega con la minore vulnerabilità in combattimento, rispetto ai motori raffreddati ad acqua. Però la sezione frontale era maggiore. Nel corso della evoluzione che ha interessato il settore questo svantaggio è stato però sensibilmente ridotto adottando capottature particolarmente evolute sotto l’aspetto aerodinamico.

Pure il peso era inferiore rispetto a quello dei motori raffreddati a liquido di analoga potenza, e questo in campo aeronautico era un vantaggio tutt’altro che trascurabile. 
Gli ultimi grandi motori a pistoni, impiegati sugli aerei commerciali e da trasporto, erano stellari raffreddati ad aria. Al culmine della evoluzione i cilindri e le teste sono stati dotati di alettature fittissime, ottenute non di fusione ma mediante lavorazione alle macchine utensili. Fondamentale era l’elevata velocità dell’aria che le attraversava, ovvero la grande quantità di fluido refrigerante che lambiva le alette nell’unità di tempo.

Nella seconda metà degli anni Quaranta comunque si era arrivati davvero al limite. Non era infatti possibile realizzare alettature più fitte ed estese, che sarebbero state necessarie se le potenze fossero ancora aumentate (grazie a pressioni di sovralimentazione più elevate).
Nei motori Pratt & Whitney, a parità di cilindrata unitaria, tra la metà degli anni Trenta e il 1946 la potenza per cilindro è raddoppiata e l’area dell’alettatura è cresciuta in misura ancora maggiore (oltre due volte e mezzo). Per dare un’idea del grado di esasperazione al quale si era arrivati, si pensi che in fase di decollo (quando occorreva la massima potenza ma la velocità del velivolo era bassa) nel famoso motore R-2800 si impiegava una miscela straordinariamente ricca per asportare più calore di quanto sarebbe stato possibile con la sola aria. Circa il 54% della benzina fornita ai cilindri non veniva bruciato (l’ossigeno non era sufficiente!).
Si sfruttava cioè il calore latente di vaporizzazione del carburante per ottenere un vigoroso raffreddamento interno, assolutamente indispensabile in tali condizioni.    
   

Con certe architetture motoristiche il raffreddamento ad aria può essere impiegato solo se le potenze specifiche sono modeste. Questa è una Ariel 1000 ultima versione (metà anni Cinquanta), con quattro cilindri disposti in quadrato. Quelli anteriori venivano ben investiti dall’aria ma per quelli posteriori la situazione era ben diversa… I motori con questa stessa architettura apparsi successivamente (vedi Suzuki RG 500 a due tempi) sono stati invariabilmente raffreddati ad acqua
Con certe architetture motoristiche il raffreddamento ad aria può essere impiegato solo se le potenze specifiche sono modeste. Questa è una Ariel 1000 ultima versione (metà anni Cinquanta), con quattro cilindri disposti in quadrato. Quelli anteriori venivano ben investiti dall’aria ma per quelli posteriori la situazione era ben diversa… I motori con questa stessa architettura apparsi successivamente (vedi Suzuki RG 500 a due tempi) sono stati invariabilmente raffreddati ad acqua

Dopo questa digressione in campo aeronautico, torniamo ai motori motociclistici. Abbiamo visto quali sono i punti di forza del raffreddamento ad aria, ma c’è anche un rovescio della medaglia.

L’impossibilità di asportare ingenti quantità di calore in tempi brevi e di fare arrivare il fluido refrigerante a lambire direttamente le parti più sollecitate termicamente sono svantaggi considerevoli, che impediscono l’adozione di tale sistema di refrigerazione nei motori di prestazioni molto elevate.

Con certe architetture uno o più cilindri possono non venire raggiunti agevolmente dall’aria, mentre con il raffreddamento ad acqua non ci sono problemi. Inoltre quando la moto è ferma o quasi nel traffico intenso oppure quando si procede a bassa velocità ma con il motore che eroga una potenza elevata (marcia in salita), con sistema ad acqua si può avere una eccellente refrigerazione. Con quello ad aria ciò non è possibile. A meno che non si adottino una ventola e un convogliatore. Ovvero non si faccia ricorso a un raffreddamento “forzato”, che consente di inviare alla testa e al cilindro una quantità di aria proporzionale non alla velocità di avanzamento ma al regime di rotazione del motore.
Questa soluzione è largamente impiegata sugli scooter, veicoli dotati di una carrozzeria che impedisce all’aria di raggiungere liberamente il motore.

In ogni caso con il raffreddamento ad aria non è possibile ottenere un accurato controllo dello stato termico del motore. Pure in fatto di compattezza ci sono dei limiti.

Con la refrigerazione ad acqua (che spesso viene detta a liquido) non solo si hanno temperature minori nelle diverse zone del motore, ma si ottiene anche una maggiore uniformità nella distribuzione delle temperature stesse. Basta pensare a un cilindro raffreddato ad aria: anche se si adottano pareti con grandi sezioni la zona posteriore non viene direttamente investita dal fluido refrigerante e quindi tende ad essere più calda di quella anteriore. Ancora peggiore è la situazione all’interno della testa.

Nonostante queste limitazioni il raffreddamento ad aria viene impiegato diffusamente, e con eccellenti risultati, nei motori di serie con distribuzione a due valvole con potenze specifiche che non superano all’incirca i 95 CV/litro se la cilindrata unitaria è cospicua (oltre 300 cm3).
Al diminuire di quest’ultima tale valore-limite (puramente indicativo) aumenta: circa 105 CV/litro con una cilindrata unitaria di 180-200 cm3 e 115-120 CV/litro se essa è dell’ordine di 125 cm3.