USA: Paese che vai... mercato che trovi

USA: Paese che vai... mercato che trovi
Investire nel mercato americano, come fare, cosa fare e cosa evitare. Quanto spendere e soprattutto... vale davvero la pena?
4 febbraio 2014

Punti chiave


In questi ultimi 5 anni ho seguito moltissime fiere di settore, motoraduni ed eventi, e ho visitato almeno un centinaio di negozi sparsi per tutto il territorio Americano, da Seattle a Miami, da Chicago a Dallas, da Boston a San Diego. Come ho già ripetuto fino alla nausea, il settore moto in USA non produce numeri da capogiro in termini di percentuale (ovvero in base alla popolazione). Ma questo non vuol dire che la cifra globale, in soldoni, sia trascurabile: tutt'altro.

E con un mercato europeo che mi dicono sempre più anemico ed avaro di risultati sono sempre più le aziende che vogliono provare a mettere un piede negli USA. Lo so bene perché, grazie al mio ruolo di giornalista che da anni vive qui, non passa settimana senza che nella mia casella di posta appaia una email con richieste "informali" sul mercato. Informazioni molto dettagliate e precise, che normalmente costerebbe una fortuna ottenere da consulenti specializzati... Ma lasciamo stare.

Io cerco di aiutare tutti ma ho notato che ci sono concetti fondamentali che sembrano sfuggire a molti titolari di aziende (soprattutto italiane, ma non solo). Non mi riferisco ai grandi nomi: le aziende di quel livello hanno ovviamente una riconoscibilità acquisita attraverso anni di sponsorizzazioni e risultati nelle gare, duro lavoro sul campo di filiali e rappresentanti, eccetera. Loro sono a posto e non vengono certo a cercare me.
Qui parlo di quelle piccole e medie aziende che sono state negli Anni '90 e 2000 protagoniste di un vero miracolo commerciale a due ruote in Italia ed in Europa. Ex piloti, tecnici, inventori, meccanici o semplici appassionati che hanno saputo trasformare la loro passione in un business di successo grazie alla loro iniziativa e ad una instancabile forza di volontà e determinazione. Ora fanno fatica e guardano al qua dell'Atlantico in cerca di nuovi orizzonti commerciali o di una semplice boccata di ossigeno. Forti del successo che hanno avuto in patria hanno idee, prodotti e tanta voglia di fare, e immaginano che anche una misera fettina della torta americana potrebbe significare centinaia di migliaia di Euro.
Vero, sulla carta.

Investire poco alla volta sarebbe come provare a cambiare il colore all'oceano con una goccia di inchiostro al giorno


Ma poi si arriva sempre al dunque, la parolina magica, il concetto che tutti infilano più o meno all'ultima riga: partiamo con calma e vediamo come va. Ecco, quella frase per me si traduce in un solo modo: DISASTRO.
Il mercato americano è così predeterminato, stratificato ed impersonale che "investire poco alla volta" sarebbe come provare a cambiare il colore all'oceano con una goccia di inchiostro al giorno.

E' un discorso lungo ed articolato, che magari svilupperò in maggior dettaglio più avanti, ma la grossa differenza qui la fa il consumatore, o meglio il modo in cui il consumatore è abituato ad acquistare. Tutto: dalla giacca in pelle ai libri di scuola del figlio, dal casco in carbonio alla carne per la grigliata del sabato.

La grande distribuzione qui negli USA ha raggiunto proporzioni che sono solamente immaginabili in Europa. Il consumatore è stato plasmato da almeno tre generazioni, con un bombardamento pubblicitario a tappeto su ogni possibile canale: TV, radio, internet, cartelloni stradali, posta e volantinaggi vari.
Al punto da renderlo quasi insensibile, fosse solo per puro istinto di sopravvivenza "cerebrale".

Posso assicurarvi che la maggior parte dei miei amici qui ha sviluppato una corteccia talmente spessa nei confronti dell'assalto mediatico che poco o niente di questo enorme battage arriva veramente a destinazione. La maggior parte delle volte che menziono qualche pubblicità che mi è sembrata divertente o diversa dal solito vengo accolto con sguardi straniti: in pratica l'ho notata solo io...

Ecco perché le marche più vendute sono anche quelle che fanno più pubblicità: la ripetizione (anche ossessiva) del messaggio è la chiave del successo di un prodotto piuttosto che un altro. La pubblicità più martellante è il cuneo che penetra quella corteccia che dicevo, e spinge il cliente ad andare a cercare un prodotto, oppure a notarlo nel mare di offerte che si trova davanti al momento di entrare in un negozio.
Perché qui i negozi tante volte sono grandi come interi quartieri...

C'è poi il discorso legato alla stratificazione dei prezzi. Il consumatore americano è abituato a pensare in termini di prezzo che sono abbastanza prestabiliti, tipicamente $49, $99, $149, $199 e via dicendo. Per il produttore non si tratta di stabilire il prezzo in base a quello che si offre ("questa giacca multifunzionale costa $239 ma ti da molto di più") quanto piuttosto tarare l'offerta in base ad un prezzo predeterminato ("ecco la giacca che ti do per quei $199 che ti aspetti di spendere oggi").

Per chiudere, altrimenti vi tedio a morte, c'è lo scoglio del sistema distributivo. Qui la maggior parte dei negozianti fa riferimento ai due o tre cataloghi dei maggiori distributori, presso i quali è reperibile praticamente ogni prodotto legato al mondo moto ed ATV. Parlo di Parts Unlimited, Tucker Rocky e WPS.
Questi "mostri" hanno ognuno 5 o 6 magazzini disposti strategicamente sul territorio in modo da garantire il minor tempo di spedizione possibile ai loro clienti/negozianti, che piazzano gli ordini con cadenza anche quotidiana riferendosi a cataloghi di 2 o 3mila pagine. Tipicamente un catalogo per lo strada, uno per il fuoristrada, uno per le custom e uno per gli ATV. Per un totale di 12mila pagine a distributore!


Il succo del mio discorso è questo: care piccole aziende italiane, valutate bene se davvero volete investire nel mercato americano, perché il gioco potrebbe non valere la candela. Prima di tutto dovete riscrivere completamente il vostro listino, secondo il concetto "cosa per quanto" e non "quanto per cosa". E visto che ci siete, strutturatelo a scaglioni di $50. Poi ricordate che anche firmando un accordo (spesso con numeri mostruosi ed insostenibili - e relative penali se non ottemperate) con qualcuno dei tre "grandi" - di fatto gli unici a garantirvi una distribuzione capillare nei negozi - non avreste alcuna garanzia di vendite. Perché il vostro prodotto sarebbe sepolto in una delle 2 o 3mila pagine di un catalogo pienissimo di altri prodotti, spesso in diretta concorrenza. Sta a voi spingere quel prodotto, motivare i venditori ed educare i negozianti. Non aspettarvi che lo facciano i distributori: loro spingono solo i loro marchi proprietari (Icon, Bilt, Speed & Strength, Fly Racing, Thor, Joe Rocket e via dicendo). Spetta a voi essere presenti a fiere, eventi, rally e gare, sta a voi generare l'attenzione che porterà il consumatore a chiedere del vostro prodotto al negoziante, attivando la catena di vendita.

Ci vogliono anni di duro lavoro assieme a decine di migliaia di Euro da investire prima ancora del via. Quindi il discorso "iniziamo con calma e poi vediamo come va"... beh, proprio non regge. Piuttosto investite in un piccolo magazzino conto terzi ed un bel sito di eCommerce: quello si potrebbe fare la differenza senza costarvi un occhio della testa!

Pietro Ambrosioni

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