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Marc Márquez e la sua squadra hanno vinto l’ottavo titolo di campione del mondo in MotoGP, il sesto nella Classe Regina, il quarto consecutivo dal 2016. Numeri straordinari, per i quali in molti si stanno chiedendo se si tratti del più grande pilota di sempre e se possa essere lui quello destinato a battere, per numero di campionati e GP vinti, i record di Giacomo Agostini.
In pochi, invece, analizzano come sia stato possibile realizzare questa carriera leggendaria, che lo colloca già tra i più grandi di tutti i tempi, ed è per questo che mi vorrei occupare qui di descrivere quali siano i motivi che hanno portato a questa incredibile serie di successi, e se sia proprio tutto merito esclusivo del pilota.
Sono in pochi, probabilmente, a sapere che l’avventura del team di Márquez e della sua squadra, quello che fino ad ora lo ha accompagnato per tutta la carriera in MotoGP, dalla 125 in poi, è iniziata attorno al 2007.
Fino ad allora, nella classe regina erano presenti due produttori di sospensioni con i loro prodotti: con la svedese Öhlins c’era anche la Showa, ed il marchio giapponese gestiva la sua attività dalla sede di Barcellona. Santi Hernández, il tecnico che guida i lavori nel box di Marc Márquez, era proprio in forza alla Showa: aveva lavorato anche per Rossi nei primi anni 2000, quando il Dottore era alla Honda, e nel 2003 avevo avuto modo di conoscerlo bene perché era il tecnico che assisteva anche il team che dirigevo con le Honda gommate Bridgestone. Nel 2007 Showa decise di chiudere la base di Barcellona, ed il gruppo di tecnici che seguiva la MotoGP fu costretto a trovare qualcos’altro da fare. Proprio questa fu la scintilla che portò Santi a decidere di cambiare ruolo e a impegnarsi come capo tecnico nel team gestito da Emilio Alzamora che, supportato dallo sponsor Repsol, aveva da poco iniziato a seguire una giovanissima promessa locale, Marc Márquez, per l’appunto.
Da quel momento attorno a Márquez si è creata una struttura tecnica e manageriale che non è più cambiata nei suoi ruoli fondamentali: le moto Honda, lo sponsor Repsol, il manager Emilio Alzamora, il tecnico Santi Hernández. Era così dieci anni fa ai tempi della 125, ed è ancora così adesso, dopo tutti i mondiali vinti in MotoGP.
Sono assolutamente convinto che la tenuta e la solidità di questo gruppo di lavoro sia un record nel record, almeno in epoca moderna. Vi posso assicurare che in MotoGP ci sono almeno cinque, sei piloti con un talento di guida eccezionale: da questo, però, per ottenere risultati eccezionali servono la convinzione e la grande forza mentale del pilota, l’affiatamento totale della squadra di tecnici che lavora con lui e un capo tecnico che sappia imporsi in alcuni momenti, a costo di mettere in discussione certe scelte del pilota. Il team di Márquez è così, e questa cosa, in tanti GP, ha rappresentato l’arma in più per il campione spagnolo.
Tanto per parlare, al solito, del suo rivale più famoso, ricordatevi che Rossi ha vinto il primo titolo con l’Aprilia in 125 nel 1997, gestito dalla struttura esterna di Mauro Noccioli; è poi passato in 250, sempre con l’Aprilia, ma nel team factory guidato da Rossano Brazzi; quindi è salito in 500 ereditando la squadra già plurititolata che aveva seguito Mick Doohan e che aveva Jeremy Burgess nel ruolo di capo tecnico; infine, nel 2014, conclusa l’esperienza avara di risultati alla Ducati, è iniziata la collaborazione con Silvano Galbusera, e l’anno prossimo il gruppo cambierà ancora. Tutto questo a livello tecnico, senza considerare anche i molti cambiamenti in chi lo ha seguito a livello manageriale. Viene da chiedersi se lo spagnolo avrebbe vinto senza la serenità che ha sempre saputo creargli attorno il suo gruppo di lavoro.
Ho scritto che tra i punti fermi di Márquez c’è anche la Honda. Lui è rimasto sempre fedele all’ala dorata, e la Honda ha sempre lavorato per mettere a disposizione di Marc il meglio. Senza riuscirci in tutte le stagioni, intendiamoci: Márquez ha ragione a ricordare quanto fosse difficile da utilizzare il motore del 2015 e 2016, ma questo non ha mai fermato quel processo continuo di dialogo con il team ed il pilota, e di sviluppo conseguente, che ha contribuito a creare un affiatamento tra il pilota e la sua macchina arrivato, proprio quest’anno, ad un livello eccezionale. Marc ha fatto le sue richieste, magari anche non del tutto corrette in passato sul piano tecnico; ha sempre portato al massimo livello la moto che gli veniva data da guidare, senza mai entrare in inutili polemiche con il reparto corse giapponese anche in alcuni momenti non proprio facili, e questo lo ha portato a maturare e imparare, ed è significativo che l’ottavo titolo sia stato vinto alla guida di una moto, la RC213V 2019, che sembra un vestito fatto su misura per combinarsi alla perfezione con le caratteristiche di guida dell’asso catalano.
Ritengo che tutti coloro che in MotoGP vorranno togliere a Marc Márquez il primato dovranno per forza considerare questi aspetti che, mai come ora, con il mono-marca Michelin e l’elettronica unica sono diventati aspetti cruciali per arrivare a vincere.
Giulio Bernardelle