Viaggi in moto: Islanda

Viaggi in moto: Islanda
Stamattina sveglia prestino e alle 8:00 sono già in autostrada che piango come un imbecille dentro al casco: Il viaggio, finalmente è cominciato...
30 settembre 2013


Bologna (ITA) - Fulda (GER) IL VIAGGIO COMINCIA QUI


Stamattina sveglia prestino e alle 8:00 sono già in autostrada che piango come un imbecille dentro al casco: Il viaggio, finalmente è cominciato.
Scrivo da un autogrill a 150 km da WURZBURG, in Germania. Sembra che qui sia appena passato un temporale e mentre indosso l'anti pioggia mi faccio pure una pausa. Ho già fatto 700 km da stamattina (in Austria mi sono sbagliato ed ho allungato un po’...).
La gomma posteriore sembra ancora nuova e quella anteriore è appena appena scalinata. Controllo l'olio e il consumo è nelle mie aspettative (a metà fra min e max), stasera dovrei rabboccare.
Avere la musica nelle orecchie conta molto, anche se quelle che comunque comandano sono sempre e solo LE CHIAPPE! P.S.: Stamattina in Austria ho incontrato 2 coppie di scooteristi diretti a CAPO NORD (!!!) ed io che volevo fare lo sborone...
La Germania è esattamente come la ricordavo: ordinata, fredda e grigia. Ovviamente non poteva mancare la pioggia.

Sono attorno a quota 1000 km, mi sono fatto le mie 3 ore di pioggia bella cattiva ma me la sono passata cantando dentro il casco robe stupidissime (tipo la sigla di Super Mario Bros) e non è andata poi così male (a 160 km/h è incredibile la quantità d'acqua che solleva una moto).
Vorrei proseguire fino a KASSEL ma poi credo che troverei difficoltà nel trovare un posto al coperto dove dormire. Mentre ragiono sul da farsi rabbocco un paio d'etti di olio motore e ricontrollo le gomme. Tutto ok, decido di proseguire fino a quando riesco e alla fine riesco a trovare un hotel a FULDA, esattamente a metà del tragitto.
P.S.: La moto va alla grande e non perde un colpo!

Fulda - Hirtsals


Mi sveglio e guardo fuori: pioggia.... Colazione luculliana, infilo l'antipioggia, carico i bagagli sulla moto e parto verso Nord. Fa freddo (14-15°) e mi metto pure l'interno della giacca (beato goretex), i guanti in neoprene e accendo per la prima volta le manopole riscaldate. Bardato così morivo dal caldo all'autogrill ma appena in movimento l'abbigliamento si è dimostrato più che opportuno! Nel pomeriggio poi tutto è migliorato, è uscito cielo sereno e le temperature sono rimaste piacevoli tutto il giorno. Per strada ho visto un grosso camion rosso targato Spagna che sembrava uscito dalla Parigi-Dakar, mi sa che lo rivedrò presto...
Poi una volta entrato in Danimarca e man mano che mi sono avvicinato ad HIRTSHALS ho riconosciuto i nomi e posti che poco tempo prima vedevo solo sulla piantina e mi sono esaltato un poco per volta! Arrivo a Hirtshals, mi fermo a fare benzina e a guardare prima dov'era il punto di arrivo della nave al porto. Vedo un cartello: FREE ROOM THIS WAY. Mi ci infilo subito e chiedo in una fattoria ed in un'altra, mi mandano a quella successiva dove vengo accolto dai cavalli che curiosi si avvicinano alla strada e da un bellissimo cane nero che mi fa le feste. Trovo posto per 30 € (compreso internet). Avevo a mia disposizione un intero appartamento pulito ed accogliente con tanto di gatto che gironzolava. La proprietaria mi offre una birra, io ne prendo 2 e vado a rabboccare olio nella moto.
Ora vado in cerca di cibo, mi faccio un giretto per Hirtshals e noto che è una città carina, mi fermo a prendere un kebab e vado a vedere il faro sul quale si può anche salire dall'interno fino in cima, dove potrò godere di un magnifico tramonto.


Navigazione Hirtshals - Seydisfjordur


Sveglia presto questa mattina, sono le 6:40 e sono già in coda all’ingresso del porto assieme alle altre moto. Leggo targhe tedesche, olandesi, inglesi ecc.. ma nessun altro italiano. Oggi c'è sole e la temperatura dai 10° di stamattina presto si alza quanto basta da farmi stare in maniche corte. Mi guardo in giro e come già letto in giro per la rete, si possono vedere i mezzi più disparati: dal tizio con l'utilitaria ai camion da Dakar! (c'era pure quello rosso spagnolo che avevo visto ieri in autostrada in Germania). Improvvisamente, fra una chiacchiera ed un'altra si presenta l’operatore portuale che ci dice che potevamo salire a bordo!

In poco tempo sono assieme agli altri motociclisti nella stiva della Norrona e dopo avere capito come funzionavano le cinghie che ci avevano dato, fissiamo le moto, prendiamo armi e bagagli e una volta a bordo faccio conoscenza con 2 romani (marito e moglie) di Roma che viaggiavano su 2 GS che mi raccontano avere già girato mezzo mondo in moto. Anche loro fanno il viaggio come me, senza essersi organizzati (Magari ci aggreghiamo!). ORE 9:18 - LA NAVE SI MUOVE! E presto siamo già in alto mare.
Il viaggio in nave procede molto bene, il mare è piatto, la nave veloce e stabile. In cabina con me ci sono 2 tedeschi ed un camionista serbo (per fortuna nessuno russa).
In questi due giorni di navigazione ho approfondito conoscenza con Robert, un olandese che viaggia su V-strom e John, un Neo-Zelandese trapiantato a Londra che viaggia su un GS 1150 .Mentre ci scambiamo le idee sul tragitto da fare, i posti da vedere e le strade da fare, conosciamo un giovane pescatore Faroese di nome Sigma che faceva ritorno alle sue isole.
Questo ci spiega qualche tecnica di pesca e come cattura e mangia i gabbiani quando è fuori in nave.

Una volta arrivati alle isole Faroe esco sul ponte esterno della nave (come tutti) ma c'è un nebbione da paura e non riesco a vedere molto, se non il parlamento nel porto di Torshavn. Dopo essere ripartiti, provo ad andare a dormire in cabina ma vengo svegliato da un messaggio di Robert: "Sun shining outside, can see the Faroe!" Mi vesto a busso, prendo macchina fotografica e rimango stupefatto dalla incredibile bellezza delle isole che mi stavo per perdere.
La mattina del 5 luglio mi sveglio presto (dobbiamo essere fuori dalle cabine presto per permettere la pulizia), preparo le mie cose e mi dirigo al ristorante per la colazione; come mi aspettavo c'era un casino di gente, non ho voglia di fare la fila e quindi giro i tacchi, prendo le mie cose ed esco fuori, sul ponte all'aperto per vedere se si vede già l'isola. Ed eccola pararsi lì davanti ai miei occhi, sembra gigantesca e sulle montagne più alte si vede la neve. Il tempo è bello, sole con qualche nuvola e l'aria ha un sapore dolce.
Faccio qualche foto e poi scappo dentro, nonostante abbia addosso la giacca da moto, non si sta per il freddo e il vento punge sulla pelle di gola e mani! Eccitatissimi per l’arrivo, mi do appuntamento con Robert e John davanti ad una chiesetta blu che vediamo dal ponte della nave. Mi cambio e comincia il vero viaggio...

Seydisfjordur - Hofn


Dopo esserci preparati davanti puntiamo verso la Ring Road, più all'interno e ci fermiamo ad EGILSSTADIR per una sosta in un’area di servizio per fare benzina, mangiare qualche cosa e ne approfitto anche per acquistare cartine stradali locali e poco dopo veniamo accolti dai magnifici paesaggi Islandesi. Sulla nave avevamo deciso di fare il giro antiorario e quindi proseguiamo verso sud, tutta strada asfaltata e paesaggi da film, spesso facciamo soste fotografiche.
Arriviamo ad HOFN e troviamo un ostello poco costoso che ci ospita tutti e 5 (John, Robert, Fabrizio e Francesca ed io) per 30 € a testa.

Hofn - Kirkjubæjarklaustur


Dopo una veloce doccia, alle 9 siamo già in moto diretti ad ovest. Facciamo una sosta per fare colazione e benzina alla prima area di servizio che ci capita e dietro e dietro a quest’ultima ci sono i classici cavalli che rivedrò tante altre volte in giro per l'isola. Tutti quanti eravamo interessati ad andare a visitare JOKULSARLON, famoso lago di origine glaciale ma io e John vediamo una stradina che tagliava verso destra (la F984) che andava direttamente sotto una delle lingue del ghiacciaio VATNAJOKULL (il più grande dell'isola) ed ecco la mia prima esperienza in off con la mia KTM: La moto si sente a casa e anche se carica di bagagli da molta confidenza e spinge da matti letteralmente "volando" sopra a tutto!
Arriviamo e troviamo un bellissimo lago pieno di blocchi di ghiaccio che provengono direttamente da una delle lingue del ghiacciaio. Eravamo solo noi 2, altri 2 tizi americani con un 4x4 e un fattore locale che era venuto a vedere il ghiacciaio in una delle giornate più pulite dell'anno.
Ci spostiamo più sotto ai ghiacci usando una "stradina" consigliataci dal fattore e facciamo 2 passi a piedi per arrivare fino alla piccola laguna. Ci siamo persi nel tempo: da lì si poteva sentire solo lo scricchiolio del ghiaccio, c'era una calma irreale e alla fine siamo rimasti la due ore senza rendercene conto.

Ritorniamo indietro sulla F984 e come ho già detto prima questa moto continua a dare confidenza: TROPPA CONFIDENZA! Sto facendo gli 80 km/h circa quando davanti a me appare una pozza di sabbia, non ho tempo per reazione alcuna e ci salto dentro senza neanche chiudere il gas e sento la moto prendere una botta assurda nella parte bassa, dal paracoppa (John mi ha detto che mi ha visto scomparire in una nuvola di sabbia). La spia dell'olio non si accende, buon segno (avevo il terrore di avere spaccato tutto...) ma mi fermo comunque a controllare: ho rotto il paracoppa e gli arresti del cavalletto centrale (saldati al telaio) erano piegati all'insù.
Per fortuna niente di grave ma questo mi servirà di lezione. Proseguiamo (con più calma) ed arriviamo alla famosa laguna del JOKULSALRON. Il ghiacciaio appare gigantesco e in mezzo alla laguna ci sono diversi pezzi di iceberg che derivano verso il mare.
E' impressionante la quantità d'acqua che va a finire nell'oceano e mette quasi tristezza vedere quei grossi blocchi di ghiaccio sballottati fra le onde del mare per poi andare ad arenarsi sulla spiaggia nera e sciogliersi lentamente. Dopo poco ripariamo (e intanto la batteria della macchina fotografica muore...) e ci gustiamo la ring road fino al campeggio.
Un temporale ci gira attorno senza mai passarci sopra e tutto attorno a noi è bagnato. Attraversiamo distese infinite di sabbia nera (probabilmente una depressione alluvionale, visti i numerosi fiumi che partono dal ghiacciaio e la attraversano fino alla costa) che poi si trasformano in un ENORME (20 minuti belli spediti in moto) campo di lava ricoperta da uno spesso strato di muschio verde acceso. Arriviamo al campeggio, piazziamo le tende e torniamo in fretta in dietro all'hotel/ristorante dove stavano cenando gli altri per dirci "arrivederci al traghetto di ritorno" e raccontarci la giornata.
Torniamo al campeggio e io affronto la mia prima notte in tenda! Riesco a dormire bene nonostante i versi strani di certi uccelli locali e un gruppo di francesi che chiacchierano fino a notte fonda (w i tappi per le orecchie).


Kirkjubæjarklaustur - Landmannalaugar


Sveglia con calma nel campeggio di Kirkjubæjarklaustur (sì, è proprio questo il nome) e dopo avere sistemiamo le cose sulle moto, John ed io ci mettiamo ad armeggiare con la piantina per decidere la strada da fare. Un gentile signore islandese in vacanza li con la famiglia ci consiglia, visto che andiamo a fare l'interno, di non perderci il lago di LANGISJORI. Ok, quella sarà la nostra prossima meta! Finiamo di smontare le tende, inforchiamo le moto ed andiamo a fare rifornimento alla stazione di servizio: convinto dei parchi consumi della sua moto, John dice di avere abbastanza benzina ed evita di rabboccare il serbatoio: sarà punito per questo.
Imbocchiamo la ring road e qualche chilometro dopo svoltiamo a destra per la F208. Il primo tratto facile: strada "bianca" molto polverosa e attraversa un'altra di quelle distese di lava coperte dal muschio facendo solo qualche curva in più fino per poi diventare più stretta, in salita e ancora più tortuosa fino a quando non arriva in cima ad una collina ed il paesaggio cambia radicalmente: Davanti a noi ora c'è una grande vallata con un fiume con mille diramazioni che scorrono fra distese di muschi e licheni che prendono tonalità di verde talmente tanto acceso da diventare quasi fosforescenti. Teniamo la destra verso il lago, la strada diventa di ghiaia nera molto fine, con diversi piccoli guadi, rimane tortuosa e passa proprio tra i muschi al centro di quella magnifica vallata.
Usciamo dalla valle e ci ritroviamo in un'altra. Qui il paesaggio cambia di nuovo: c'è sabbia, sabbia e ancora sabbia (per fortuna compatta) fino a quando arriviamo al lago e la strada finisce ad un rifugio. Il panorama è magnifico e mentre le mosche non ci danno tregua (teniamo i caschi in testa) saliamo a piedi su una collina per scatenare le macchine fotografiche.
Ecco inevitabile arrivare la punizione di John: si rende conto meglio delle distanze percorse, di quelle da percorrere ancora e capisce che non ce l'avrebbe potuta fare con la benzina fino al prossimo rifornimento. Non ci pensiamo e torniamo indietro sulla 208 che si rivela MAGNIFICA ma più difficile di quello che pensavamo: i guadi non si contano e diventano ogni volta più profondi e con corrente sempre più forte.
Affrontiamo tutto molto bene e a parte un paio di cadute banali di John (per fortuna fuori dall'acqua) proseguiamo in compagnia di altri 3 tizi con i quad (dei quali 1 al traino perchè che aveva grippato).

Finalmente poi raggiungiamola nostra meta: il campeggio di LANDMANNALAUGAR! Siamo entrambi stanchi, sudati e con gli stivali pieni di acqua e mentre vediamo il campeggio avvicinarsi sempre di più sognando un bagno nella pozza termale, SORPRESA! Proprio all'ingresso del campeggio ci sono 2 guadi fondi più o meno 60-70 cm. (a giudicare dalle superjeep che ci si buttavano dentro) di acqua lattiginosa (è quindi impossibile vedere il fondo...) e con una corrente che rende veramente rischioso passarci in mezzo.

Ci guardiamo attorno e vediamo altre moto parcheggiate li fuori di motociclisti che hanno abbandonato l’idea di entrare con la moto e hanno deciso andare a piantare le tende a piedi... Io penso dai, siamo arrivati fino a qui e non possiamo dargliela su all'ultima difficoltà... ci ragiono un po e trovo una soluzione: torniamo indietro di 500 metri circa e scendiamo direttamente nel letto fiume che, dopo i 2 guadi si allargava molto e quindi perdeva di forza e profondità, percorrendolo controcorrente fino al secondo guado che era anch'esso profondo ma con acqua trasparente e quasi niente corrente. Mentre passo noto che diversi turisti ci hanno fatto foto, durante la nostra avventura... mi sento una sorta di eroe quando arrivo al campeggio fra gli sguardi ammirati dei turisti arrivati li con i bus 4x4.
Montiamo le tende, paghiamo per il posto tenda, doccia, bagno nella pozza calda e quattro chiacchiere con i ragazzi dei quad che abbiamo incontrato durante il percorso.
Gli spieghiamo che John ha problemi con la benzina e, dopo avere parlottato un po' fra loro in islandese (io ho capito solo PLPLPLPLPLPLPLPLPLPLPLPL con qualche sputo in mezzo), si rivolgono a noi dicendoci che, visto che uno di loro aveva grippato, avevano 5 litri di benzina in più e ce l'avrebbero data volentieri. (!!) Rimango stupefatto e tiro fuori la bottiglia di Montepulciano che mi ero portato dietro dall'Italia. Poi buona notte sul tardi e tutti a dormire nella propria tenda, che giornata MEMORABILE!

Landmannalaugar - Arnes


Ci svegliamo tardi, salutiamo i ragazzi con i quad e dopo avere messo la benzina nella moto di John, partiamo dirigendoci al primo benzinaio disponibile facendo una quarantina di chilometri di velocissima e goduriosa strada compatta con qualche curva che prima passa di fianco ad un grosso lago e poi rimane alla sinistra di un fiume, tutto fra nere colline di lava. Lungo la strada incontro 2 ragazzi del forum di LC8.org con i quali sarei dovuto partire dall'Italia (se mi avessero dato il giusto periodo di ferie). Una foto, qualche consiglio e poi arrivati al benzinaio riempiamo pance e serbatoi, John fa per riaccendere la moto e SOOORPRESAAA: la BMW non parte. Il motorino gira ma troppo piano: la batteria è scarica.
Parcheggiamo e ci mettiamo a ragionare: John aveva cambiato la batteria prima di partire e quindi quella non poteva essere. Le alternative potevano essere 2: o il regolatore di tensione o un filo che va a massa. Armeggiamo un po e telefoniamo all'assistenza per sapere i costi: ci sparano un 300 € solo per venire li a vedere che cosa succede, perciò decidiamo che la cosa migliore da fare é quella di trovare un posto per la notte ed aspettare l'assistenza il giorno dopo (l'intervento non avrebbe sovrapprezzi perchè non sarebbe di domenica). Rimontiamo la BMW e dopo avere caricato i bagagli e messo in moto al traino, troviamo un ostello poco costoso e andiamo a mangiare schifezze all'area di servizio li vicino, poi doccia e branda.

Arnes - Geysir


Mi sveglio presto, mentre faccio i bagagli saluto John che rimarrà in attesa dell'intervento di assistenza BMW che gli cambierà poi batteria e regolatore di tensione. Piove, mi metto la tuta e nel giro di 15 minuti sono di nuovo in sella sulla strada 30, per intercettare la ring road con destinazione SUD! Vado veloce e presto mi vedo sulla sinistra la cascata di SELJALANDFOSS, che viene giù dal ghiacciaio EYJAFJALLAJOKULL, quello che sta sopra al vulcano (con lo stesso nome) che nel 2010 ha eruttato bloccando i voli aerei di mezza Europa. Continuo verso sud e vado a vedere la grossa cascata di SKOGAFOSS con dietro un grosso ghiacciaio (quest'ultimo non si vedeva per la nebbia).
Visto che sono arrivato lì piuttosto presto ho la fortuna di riuscire ad evitare di avere attorno i classici gruppi di turisti che si muovono a sciami uscendo dai loro pullman.
Riescono solo ad incrociarmi quando me ne sto per andare e nel parcheggio una di loro, dopo avere letto la targa mi chiede se davvero mi ero fatto tutti quei chilometri per venire fino a lì.

Proseguo ancora verso sud ed arrivo a quello che dalla cartina leggo chiamarsi Dyrhólaey, una collina che termina con una scogliera a picco sul mare. Ci salgo sopra e mi si apre in modo inaspettato la vasta e spettacolare vista di una sorta di gigantesca laguna, separata dal mare solo da una sottile striscia di sabbia nera...! Arrivo a piedi fino al faro sopra alle scogliere (115 metri...!) e vedo un bellissimo arco di roccia lavica, il tutto pieno di pulcinelle di mare, gabbiani e altri uccelli. Arrivano i turisti francesi con un autobus, non resisto molto e mi fiondo in moto più giù, sulla scogliera proprio sopra alla striscia di sabbia nera.
Faccio qualche foto alle pulcinelle di mare e mi avvio dall'altra parte, dove si vedono le colonne di lava nera, arrivo e in riva alla spiaggia vedo delle bellissime formazioni basaltiche esagonali che si piegano (sembrano di gomma, penso io) sino a formare una piccola grotta in riva alla spiaggia... Mi gusto il posto quanto basta e dopo essermi rimesso la tuta anti pioggia, faccio benzina lì vicino e, ritorno indietro verso nord. Mi fermo ad Hella per pranzare ed il tempo è molto migliorato, le nuvole sono state spazzate via dal vento e c'è di nuovo il sole.

Già, il vento... non mi era mai capitato di guidare in condizioni simili, era forte, improvviso ed incostante, un metro veniva da una parte ed il metro dopo ti spingeva via dall'altra, è stato un sacco fastidioso perché nel casco c’era un gran casino, inoltre dovevo guidare a non più di 70 km/h per viaggiare in sicurezza, mi sembrava di essere tornato ragazzo quando in motorino mi superavano i tir.
Finalmente raggiungo la riserva naturale di THINGVELLIR e il vento si placa un po'...
Nel centro di informazioni turistiche incontro di nuovo Fabrizio e Francesca (marito e moglie romani che ho incontrato sulla nave, ci siamo separati il 2° giorno). Facciamo una breve chiacchierata e poi vado a fare un giro per la riserva; Quel luogo fuori dal mondo, altro non è che una la lunga frattura (25 km) della crosta terrestre generata dal punto di incontro fra le placche tettoniche che formano i continenti europeo ed americano. Che posto assurdo, leggo da qualche parte che continua ad allargarsi al ritmo di 2 centimetri l'anno, in mezzo c'è pure una cascata che poi forma un fiume e si congiunge assieme ad altri in mezzo alla vallata che poi diventano a loro volta un lago. Proprio lì, in un luogo simbolico come quello fu riunito dalle tribù vichinghe il primo parlamento al mondo. Rimango a passeggiare per un'oretta buona e mi godo il tiepido sole dopo la sfreddata di stamattina e poi riparto verso nord, sulla F52.
Il vento ricomincia ad essere fastidioso e questo rende particolarmente difficile la guida sul ghiaione smosso, oltre a sollevare vere e proprie nuvole gialle di sabbia.
Imbocco poi la F338 (credo che si trattasse di una strada fatta per fare manutenzione ai piloni dell'alta tensione) e qui si ritorna a fare più sul serio, all'inizio era tutto molto roccioso ed avevo una granpaura di fare scoppiare la ruota davanti (benedette camere rinforzate), poi il fondo mi da tregua e riposandomi di tanto in tanto riesco a fare qualche foto a questi paesaggi magnifici. Proseguo fiducioso quando ad un certo punto vedo come una specie di nuvola bassa, solamente molto più grigia del normale. Continuo e noto che il terreno si fa sempre più sabbioso, poco dopo mi ritrovo in una vera e propria tempesta di sabbia! So che devo tenere aperto il gas il più possibile per fare galleggiare la moto sopra la sabbia mossa del fondo ma complici la mia inesperienza, la visibilità MOLTO scarsa, la strada a curve cieche, la sabbia finissima, le gomme non adatte, la moto stracarica di bagagli, ho rallentato e sono finito a terra un paio di volte. Niente di che ma sollevare da terra una moto del genere carica di bagagli è stato impegnativo.
Per fortuna la tempesta di sabbia è durata solo un paio di chilometri, alla fine dei quali le condizioni del fondo sono tornate pietrose e ho incontrato un gruppo di ragazzi della Touratech.se che erano venuti lì a fare un servizio fotografico con due GS 800. Scambiamo due chiacchiere e dopo poco partiamo alla volta della cascata di GULLFOSS, arriviamo nel piazzale dove incontro (casualmente) John e poi vado a vedere le cascate.
Mi piazzo con la tenda a GEYSIR, proprio di fianco ai soffioni di acqua bollente (li sentirò poi per tutta la notte...) e andiamo a cercare qualcosa da mangiare. Data la tarda ora (in Islanda le nove di sera è già considerato tardi...) la cucina dell'unico ristorante era chiusa e quindi sono ricorso al salame (salvavita) che mi ero portato dall’italia, poi tutti a dormire.

Geysir - Hvammastagi


Sveglia verso le 8:00, colazione (costosissima) nel centro visitatori di Gaysir, doccia e sosta nella piscina (calda) dell'hotel convenzionato con il campeggio. Più tardi faccio i bagagli e vado a visitare i famosissimi Geysir proprio di fianco al campeggio, mentre John va a Reykjavik per fare controllare meglio la sua moto dopo i guai passati con il regolatore di tensione. Io invece decido di procedere verso Nord sulla F35. Durante la lunga cavalcata mi fermo diverse volte per per fare riposare un po le braccia e per fotografare i magnifici panorami che sto attraversando (quella strada passa in una zona semi desertica fra due ghiacciai...).
Arrivo alle solfatare di HVARAVELLIR, mi faccio una passeggiata a piedi fra le pozze di acqua bollente e i soffioni di vapore che puzzano di zolfo ed entro anche in una antica casetta di rocce con il tetto in erba (poi mi verrà spiegato che era un'antica fattoria). Sulla mappa avevo visto che in corrispondenza di Hvaravellir c'era un benzinaio, chiedo info al piccolo bar/ufficio/ristorante del campeggio e mi dicono che vendevano loro la benzina, ma ad un prezzo più caro e non meno di 10 litri per volta. Dall'ultimo rifornimento avevo fatto un centinaio di chilometri e avevo già con me una tanica da 10 lt. piena, rifiuto e chiedo allora la percorribilità di un sentiero, con l'intenzione di andare a vedere i campi di lava di ARNAVATN (un altro lago), per poi ricongiungermi con Robert (il ragazzo Olandese con il V-strom). Mi risponde un tizio che si atteggia molto a cow boy, con tanto di cappello, cravattino e addirittura cinturone con fibbia a forma di bandiera sudista e revolver (!!!). Il vaccaro mi dice che la strada era chiusa per le auto normali (inclusi i 4x4) ma che per una moto sarebbe stata fattibile senza particolari problemi).
Ok per me basta, parto e dopo 2-3 km di tranquilla F35 mi infilo a sinistra nella "strada" in questione con tanto di indicazione "STORISANDUR". Certo che a chiamarla strada ci vuole della fantasia, comincia con i classici 2 solchi fatti dalle ruote dei 4x4, poi diventano un sentiero con grossi massi, a tratti sabbioso.
Il fondo peggiora fino a quando ad un certo punto mi ritrovo ad attraversare un vero e proprio campo di lava, con tanto di colate e rocce affilate come lame e un casino di pietra pomice. Il sentiero sparisce letteralmente nel nulla e l'unico modo che ho per seguire una direzione certa è quello di seguire i pali bianchi che dovrebbero delineare il sentiero. Sto facendo una gran fatica, mi fanno male le braccia e mi fermo per tirare il fiato e fare raffreddare un poco la moto. Mi viene regalata la visione di un paesaggio surreale, mai avrei pensato di ritrovarmi in uno scenario così estremo. Faccio qualche foto e mangio una barretta energetica che mi fa resuscitare, poi proseguo.


La moto lavora con un equilibrio incredibile, io sono invece teso e terrorizzato dall'idea di potere fare scoppiare la camera d'aria anteriore ma bene o male riesco sempre a cavarmela senza danni. La strada poi cambia di nuovo e riappare il sentiero pietroso, prima sabbioso, poi fangoso e poi ancora pietroso. Faccio il primo guado senza problemi, al secondo mi accorgo che quella che stavo attraversando era fango, tengo il gas costante e ne esco bene. Continuo per un'altra mezz'oretta contento dei progressi che sto facendo fino a quando arrivo ad un rechino con un cancello con tanto di cartello: CHIUSO. Spengo la moto e levo il casco mentre sconsolato penso sul da farsi..... Non voglio infrangere le regole e quindi mi giro e ripercorro tutta la strada al contrario.
L'unica cosa che posso fare è tornare di nuovo sulla F35 e percorrerla tutta verso nord, so che non riuscirò più ad incontrarmi con Robert (almeno non oggi), che rimarrò a secco e mi dovrò fermare a versare la tanica di benzina nel serbatoio. Arrivo a nord e come previsto a neanche 20 km dal benzinaio rimango a piedi dopo avere fatto ben 70 km con la sola riserva (!).
Accosto, levo la borsa a rotolo dove avevo l'imbuto ricavato da mezza bottiglia di plastica, levo la tanica e la svuoto nella moto,mentre sto rimettendo la borsa sulla moto si alza un vento improvviso che mi fa cadere la moto fuori strada.
Stanco e con la moto in una posizione impossibile per me da rialzare da solo, chiedo aiuto al primo automobilista di passaggio che subito inchioda e mi da una mano a rimettere la moto in strada.
Fortunatamente la moto si è solo graffiata nella fiancatina destra e nel parabrezza, niente di grave.
L'unica cosa che mi da noia è che TUTTO l'olio che avevo nello scottoiler (l’oliatore automatico della catena) si è riversato OVUNQUE, mischiandosi con la polvere e la sabbia e lasciando anche a secco la catena. Arrivo al distributore, faccio il pieno a moto e tanica, compro l'olio motore meno costoso che avevano e ricarico lo scottoiler, pulisco un po il paciugo e riparto verso ovest. Cerco di fare più strada possibile e quando sono stanco mi fermo ad HVAMMASTANGI, dove ho tutto quello che mi serve: campeggio, benzinaio e fast food.


Hvammastagi - Olafsvik


Mi sveglio verso le 8:00, senza neanche avere puntato la sveglia e mi prendo un po' di tempo per fare asciugare la tenda (stanotte ha fatto freddo e fuori si è riempita di condensa) e nel frattempo mi godo l'ultimo tepore del sacco a pelo. Impacchetto tutto e vado al distributore/fast-food a riempire di nuovo i serbatoi della moto e la tanica di benzina, già che ci sono pulisco il grumone schifoso di olio e sabbia che era dalle parti della catena, controllo olio ed acqua della moto, pulizia generale e verso mezzogiorno riparto bello sclerato (avevo perso troppo tempo) e prendendomela con la giacca da moto (che ha diversi problemi con le zip e il velcro delle maniche e delle tasche) punto verso Nord ovest, con l'intenzione di spararmi tutto il giro della penisola cosiddetta "delle quattro dita". Passo un fiordo, passo due fiordi, passo tre fiordi, vedo le foche e dopo un po' il paesaggio e le strade diventano ripetitive e decido quindi di tagliare direttamente dall'altra parte usando una strada interna (la 605) e le cose migliorano: da questo lato le strade (sempre non asfaltate) non solo seguono la meravigliosa costa ma si inerpicano attorno agli ampi fiordi che terminano in mare con diverse isole con scogliere piuttosto ripide.

La giornata è tersa, si vede la penisola dall'altra parte del tratto di mare che rimane alla mia sinistra e mi fermo a Flokalundur, dove faccio di nuovo benzina e mangio 2 tramezzini.
Vado ancora più in là per prendere il traghetto per Stykkishòlmur (sulla penisola dall'altra parte, per l'appunto) ma trovo l'ufficio chiuso e il piccolo porto deserto. Con l'aiuto di 2 ragazze arrivate anche loro per controllare la partenza del traghetto, capisco che la partenza successiva (e anche l'ultima della giornata) sarebbe stata solo dopo 4 ore e mezzo. Un po' depresso guardo la piantina e noto sulla parte più a sinistra un'annotazione che mi ero fatto sul traghetto di andata: “pulcinelle di mare, punto più ad ovest d’Europa”. Parto senza pensarci troppo e in un paio d'ore raggiungo Látrabjarg, dove ci sono 3 scogliere alte 300 metri, completamente piene nidi di uccelli di varie specie che volteggiavano tutto attorno. Mi avvicino al bordo e, una volta sdraiatomi a terra faccio per guardare lo strapiombo dall'alto ed ecco una sorpresa: una pulcinella di mare appollaiata a 30 centimetri da me, tranquilla e senza paura che si guardava attorno (avrei potuto tranquillamente toccarla allungando una mano).
Non ho molto tempo e dopo una breve passeggiata sono di nuovo in sella. Il tempo stringeva e ci ho dato che ci ho dato, tanto da arrivare al porto di BrjanslÆkur in una sola ora. Perfetto, ho 20 minuti di anticipo per sbrigare le faccende per l'imbarco. Pago le mie 7000 corone (una cinquantina di €) e parto puntuale alla volta di Stykkishòlmur. Durante le due ore di navigazione studio la mappa e decido di andare a dormire nel campeggio di Olafsvik, e studio il da farsi per il giorno dopo.

Arrivo alle 9 di sera e mi rendo conto che ho ancora parecchi chilometri da fare per arrivare alla meta prefissata ma c’è ancora tanta luce deciso di continuare (questo viaggio sarebbe più difficile senza le 21 ore di sole al giorno!). Sono letteralmente preso da quest'isola e questi 70 km fra la costa alla mia destra, la strada che passa in mezzo a piccoli coni vulcanici e la vista del vulcano Snæfellsjökull sulla mia sinistra e la costante luce tagliata dell'interminabile tramonto, sono i chilometri più belli fatti fino ad ora e non posso mancare di gustarmeli appieno facendo andare a velocità da passaggio la moto.
Alle 23:30 ho la tenda montata e sono pronto per andare a dormire ma preferisco godermi una birra al tramonto assieme a Peter, un ragazzo di Oslo conosciuto nel campeggio che viaggia con un vecchio Transalp.

Olafsvik - Akureiry


Anche questa notte è stata fredda, nello strato interno della tenda ci sono un sacco di goccioline d'acqua formatesi con la condensa e solo stanotte ho capito come chiudere a dovere il sacco a pelo e appena l'ho fatto sono stato subito meglio. Essendo arrivato tardi ieri sera non sono riuscito a parlare/pare il gestore del campeggio e perciò decido di temporeggiare facendo un po' di manutenzione alla moto. Le passo vicino e mi rendo conto che è completamente coperta da insetti morti e fa pure puzza di pesce (così come i miei pantaloni e la mia giacca...). Le do una lavata, tiro un poco la catena e qualche vite che con le vibrazioni si era allentata. Sono le 9:30, del gestore neanche l'ombra. Impacchetto i bagagli e faccio colazione con biscotti e la nutella fregata la prima notte nell'albergo a Fulda, in Germania.
Leggo sulla bacheca che ogni giorno è organizzata un'escursione in un tunnel di lava sotto al vulcano e faccio in fretta i piani per la mia mattinata: voglio prima fare il giro dentro al tunnel e poi raggiungere la cima del vulcano Snaefellsjokull, quello dal quale è cominciato il famoso "viaggio al centro della terra", di Giulio Verne. Per il pomeriggio si vedrà. A fianco della strada verso sud vedo un piccolo cono vulcanico perfetto, mi fermo e mi accorgo che ci si può salire sopra! Non perdo l'occasione e dopo una decina di minuti di arrampicata leggo la targa posta in cima allo stesso. E' di 4000 anni fa, alto 109 metri. Faccio qualche foto, scendo e proseguo il tragitto. Durante il tragitto noto un cartello: "DEAD WHALE". Incuriosito mi infilo in un sentiero che porta fino alla costa. ACCIDENTI, LA BALENA MORTA C'ERA DAVVERO! Ci sono rimasto male, mi aspettavo una cosa tipo resti ossei o un'installazione artistica, anzichè un cetaceo di una decina di metri in decomposizione... giro i tacchi e vado via.

Arrivo all'ingresso del tunnel, pago la guida ed entro. Ci sono 4° sotto zero, ho fatto bene a portarmi i guanti da moto, niente illuminazione se non quella delle torce che avevamo sugli elmetti, da qualche apertura sono entrate montagne di neve che rimanendo sottoterra si è stratificata formando montagne di ghiaccio. Il tunnel in certi punti è basso e si fa fatica anche a passare (sconsigliatissimo a chi soffre di claustrofobia). Noto addirittura un cartello che indicava Stromboli, puntando verso il basso.
La guida ad un certo punto ci fa spegnere le torce e rimanere per qualche minuto in silenzio, la sensazione è stata come se qualcuno ti chiudesse in un sarcofago, con la chiara percezione che i sensi si affinassero aumentando la percezione del freddo sulla faccia e della eco delle gocce d'acqua che filtrava fra le rocce. Uscendo poi ho potuto assaporare quanto fosse calda e dolce l'aria all'esterno, riuscivo addirittura a percepire chiaramente l'odore della pianta di una specie di mirtillo selvatico! Finita l'escursione mi fermo in un posticino a mangiare qualcosa e la guida (solita gentilezza dei locali) mi invita a sedermi al suo tavolo con sua figlia. 4 chiacchiere ed eccomi imboccare in moto la strada tortuosa che mi porta dritto alla cima del vulcano.
In mezz'ora sono in cima e la strada semplicemente sparisce dentro a metri di neve; non posso proseguire oltre e quindi decido di fare qualche foto. sulla mia sinistra c'è una collina con tracce di 4x4 dalla quale penso di potere fare qualche inquadratura migliore, la inforco e dopo poco finisco con la moto appoggiata su un fianco a lato del sentiero.Faccio per ripartire ma non faccio altro che scavare lo strato di cenere vulcanica fino a quando mi ritrovo con la moto completamente infossata. Passa un fuoristrada, gli faccio un gesto e subito si ferma per aiutare (la solita gentilezza degli islandesi). Levo valigie e i bagagli e nonostante la pendenza in 3 riusciamo a girare la moto verso valle. Ringrazio (e completamente sudato) continuo a cercare la strada in direzione Olafsvik ma niente da fare, l'unica strada esistente termina in mezzo allo spesso strato di neve sulle pendici del vulcano e non porta da nessuna parte, torno indietro e riprendo la strada che segue la costa a sud. Dopo avere mangiato in un ristorante in compagnia della guida del tunnel di lava, mi fermo a fare benzina e nel frattempo sento una moto arrivare.
La sento arrivare ma non la vedo, dopo qualche minuto compare questo tizio alla guida di una moto praticamente autocostruita; telaio di un chopper e motore boxer di una BMW dell'84, niente marmitte, completamente arrugginita, batteria in vista e come conta km un navigatore GPS.Scambio un paio di battute e poi il tizio riparte (per 5 minuti lo sento andare via).
Proseguo, giunto alla fine della penisola dalla strada 54 decido di fare un taglio a sinistra (strada 55, non asfaltata), poi di nuovo 54 (sull'alro lato) , poi subido a sx e a dx, sulla f 586 che sulla cartina risulta finire nel nulla ma sul gps del mio telefono prosegue fino ad incrociare di nuovo la Ring Road. Strada favolosa, prima passo in una zona coltivata dove un branco di cavalli al galoppo appena mi vedono passare cambiano direzione cercando di seguirmi fino a quando i mandriani li richiamano. E' stata un’esperienza da pelle d'oca e sono convinto che mi avessero scambiato per uno di loro seguendomi come fossi il loro leader.
La strada prosegue sassosa fra un guado e l'altro (piccoli questa volta) e poi si apre in una magnifica pianura, decido di riposarmi all'ombra delle nuvole. Faccio le "solite" due foto e dopo avere aperto (e richiuso) un paio di cancelli messi li per il bestiame, riprendo a viaggiare sulla Road Ring fino a quando non arrivo ad Akureyri. Faccio benzina e trovo sistemazione in una scuola temporaneamente adibita a campeggio (sì, durante l'estate sfruttano gli spazi come si deve) a Hrafanagil, pochi km a sud, sulla strada n° 821. Ci penso su ed intanto vado a cercare la lavanderia che trovo molto velocemente (in realtà era un lavasecco, ancora meglio) e dove lascio anche la mia giacca e i pantaloni da moto.
Torno dal gommista e trovo un accordo: nel prezzo della gomma riesco anche a farmi spedire la Scorpion che al momento ho su all'altra sede del gommista che si trova proprio vicino al porto di partenza e il montaggio-smontaggio della gomma. Andata!


Già che c'ero mi sono fatto anche prestare un martello e qualche pezzo di legno così da sistemare anche le valigie laterali che avevo ammaccato nei giorni precedenti e ho cercato pure (inutilmente) di tirare su un'altra ammaccatura rimediata nel cerchio anteriore. Mentre cerco un posto dove mangiare qualche cosa trovo John in moto fuori da un hotel che cercava sistemazione in zona, gli faccio vedere il campeggio dove sto io e decide di rimanere lì anche lui per la notte successiva.
Andiamo poi in centro per una passeggiata e così ci passiamo quasi l'intero pomeriggio dentro una libreria (con il wifi gratuito) a bere caffè raccontandoci le avventure delle precedenti giornate passate separati.
Ci siamo rilassati e divertiti, alla fine abbiamo fatto anche i piani per i giorni successivi, poi compriamo qualche birra che ci gusteremo di nuovo al campeggio mentre ceniamo a base di salame e crackers.

Akureiry - Reykjahlid


Dopo un caffè offertomi da John nella sua tenda, torniamo in centro e poco dopo devo già andare dal gommista dove mi smonto la mia ruota e già che ci sono do una pulita e ingrassata al forcellone e mi faccio dare anche una vite che avevo perso (e un po di frenafiletti) dalla semicarena destra. Esco soddisfatto per la moto pulita e la gomma nuova e vado assieme a John a visitare il museo della moto (l'unico in Islanda), non molto distante da Akureiry, dove vediamo qualche moto particolare ed interessante ma soprattutto parliamo con un motociclista locale che un anno prima si era fatto il GIRO DEL MONDO in moto a bordo di una yamaha XT 660 e per caso era tornato li a rivedere la sua moto esposta in bella mostra con su tutti i segni e i bagagli della sua avventura. Arriva presto l'ora di pranzo e dopo avere mangiato e avere levato le tende ci dirigiamo verso il lago Myvatn.
Il tempo non è il massimo: fa freddo, il cielo è coperto e sembra dovere piovere da un momento all'altro, ci stanchiamo in fretta in queste condizioni. Dopo una cinquantina di chilometri di scorrevole ring road, sulla mia destra vedo come un soffione d'acqua e immediatamente vengo colto dall'idea che ci fosse una cascata; No, non mi sbagliavo, eravamo arrivati a Godafoss (cascata degli dei) senza saperlo! Avevo già letto di questa cascata ma mi chiedevo dove fosse, alla fine ci siamo arrivati quasi per caso. Ci fermiamo e prendiamo una bella pausa durante la quale facciamo due passi armati di macchine fotografiche.
Proseguiamo sulla ring road mentre ormai si è fatto tardi, quando arriviamo in zona del lago Myvatn noto la presenza di tantissimi piccoli coni vulcanici sparsi ovunque, spuntano anche all'interno del lavo stesso. Ci fermiamo a mangiare qualche cosa presso una guest house, per me sarebbe già ottimo come posto dove dormire ma John vuole andare più a nord, perciò proseguiamo fino alla cittadina di Skútustaðir, dove cerchiamo (invano) un posto economico.
I prezzi si aggirano sui 150 € a notte ma fanno gioco forza del fatto che tutto è pieno di turisti e non ci sono posti liberi da nessuna parte. Alla fine dormiamo in una sorta di guest-house/ostello, il giorno dopo si sarebbe liberato un posto nella fattoria lì vicino e ci saremmo trasferiti lì.

Reykjahlid


Ci svegliamo e dopo avere fatto colazione, benzina e dopo avere portato i bagagli alla fattoria nella quale saremmo stati per le successive due notti, ci dirigiamo verso sud, su una strada che non ha ne una nome ne un numero ma che dalla piantina sembra collegarsi con la F910, che viene dall' Askja e poi torna a nord sulla F26. Parto spedito e carico come pochi, la voglia di enduro è tanta. Con la gomma nuova godo come un pazzo ed "ARO" letteralmente il sentiero tirando su polvere e sparando sassi ovunque. Ci fermiamo a sgonfiare un poco le gomme, facciamo qualche foto e poi ripartiamo. John con la sua moto pesante fa fatica e qualche volta mi fermo ad aspettarlo mentre mi gusto gli incredibili paesaggi islandesi. Improvvisamente questi ultimi cambiano e diventano aridi, lunari, per fortuna le piste rimangono sono facili ed il terreno compatto.
Siamo nell'area desertica attorno all'Askja.
Arriviamo al sentiero che ci avrebbe portati direttamente al vulcano ma vista la benzina scarsa, l'ora ormai tarda, decidiamo di proseguire e quando arriviamo ad un altro bivio il paesaggio cambia ancora: Adesso siamo diretti ad ovest costeggiando un fiume lungo una strada tortuosa, a tratti sabbiosa e con qualche cancello da aprire (e richiudere) messi lì per non fare scappare i montoni che ogni tanto incontravamo. Sbuchiamo fra due fattorie vicine ad un lago e ci giriamo di nuovo verso Nord.
La strada diventa prima sabbiosa e poi polverosa come mai ne avevo viste prima, so che devo mantenere una velocità elevata per fare galleggiare la moto su quel terreno morbido, quindi giro la manopola del gas e vado spedito.
Guardo negli specchi e scoppio a ridere quando vedo John scomparire letteralmente dentro all'enorme nuvola che sollevo passando sopra a quella roba a più di 100 km/h.
Più avanti mi fermo e lo aspetto, gli chiedo se "per caso" aveva voglia di stare davanti, vista la polvere. Nonostante gli rimanga parecchio lontano mi riempio di polvere comunque (quello che deve avere passato deve essere stato una cosa da incubo...) Siamo in fretta di nuovo al lago Myvatn e dopo avere di nuovo mangiato, ripartiamo verso Nord dove ci aspettava Robert per un WHALE SAFARI.

Ci tiriamo un poco e dopo avere "volato" su queste strade meravigliose arriviamo con appena 10 minuti di tempo prima della partenza del gommone. Pago al volo e mi fiondo giù per la scala a prepararmi con i tutoni gialli e rossi forniti dall'organizzazione.
John non viene, dice che di queste cose ne ha già fatte fin troppe nella sua terra natale (La Nuova Zelanda) e non è interessato. Giù trovo Robert già intutato e dopo avere scambiato due chiacchiere salutiamo John che ritorna alla fattoria e partiamo con il gommone che presto ci porta ad all'isola della Pulcinelle di Mare. Ci spiegano qualche particolarità su quegli animaletti e poco oltre partiamo in cerca del "gigante gentile" (le balene).
Teniamo gli occhi aperti per avvistare eventuali pennacchi in lontananza e dopo poco avvistiamo prima uno poi due cetacei che viaggiavano assieme immergendosi per mangiare aringhe e tornando in superficie per respirare. Mentre scateniamo le macchine fotografiche ci offrono un assaggio del liquore locaLe (io come al solito ne chiedo due) e poi rientriamo al porto.
Sono le 21:30, Robert ed io siamo affamati e andiamo al ristorante che ci era stato indicato dalle guide per la possibilità di assaggiare la pulcinella di mare.
Spendiamo un botto (me lo aspettavo) e usciamo dal ristorante verso le 23:30. Saluto Robert (che stava in ostello in zona) e percorro veloce i 60 km che mi separano dalla fattoria al lago Myvatn. Doccia calda (l'acqua odora di zolfo) e poi a letto.

Reykjahlid - Dettifoss - Hraunhafnartangi - Reykjahlid


Quella di oggi sarà una giornata lunga ma ce la prendiamo con calma e dopo esserci preparati ci mettiamo in moto che sono già le 11:30. Imbocchiamo la Ring Road e facciamo svelti i 50 km che ci separano dalla F864 verso in Nord. Ieri sera Robert mi aveva consigliato sul fatto che la strada più bella da fare è quella a Est del fiume e facendola ne abbiamo conferma: si tratta di una strada bianca molto larga che percorro di gusto con un passo veloce (presto lascerò John indietro, dentro alla solita nuvola di polvere...) ed in poco tempo arrivo al cartello che indica la cascata di Dettifoss.
Mi fermo in fondo al parcheggio a leggere le informazioni ed imparo che è la cascata più potente d'Europa per la portata d'acqua e rimango colpito da un dato: normalmente, in un giorno, la cascata trasporta la bellezza di 23.000 (ventitré mila) Tonnellate di detriti! Il forte rumore che si sente già dal parcheggio non smentisce (anzi....) questi dati e mentre finisco di dare una letta veloce arriva John e parcheggia vicino alla mia moto.
Ci avviamo verso il pennacchio di fumo a piedi e in men che non si dica ci troviamo davanti alla giga-cascata, rimango colpito dal rumore e dalla forza dell'acqua. Dopo esserci spostati per fare qualche foto alla cascata da più lontano, proseguiamo lungo la strada 85 fino ad Asbyrgi, un'insenatura di origine glaciale a forma di ferro di cavallo (la leggenda vuole che sia un'impronta fatta dal cavallo di Odino), dove facciamo una breve sosta per mangiare qualche cosa nel fast food locale e poi riprendiamo sempre sulla strada 85 che diventa non asfaltata, con l'obbiettivo di arrivare nel punto più a Nord dell'isola: Hraunhafnartangi.
Proseguiamo lenti, la strada è disseminata da sassi appuntiti ben piantati nel terreno che minano l'integrità delle nostre gomme, fa un freddo cane e c'è pure vento (dio benedica le manopole riscaldate) ma alla fine arriviamo al sentiero che arriva al nostro obbiettivo. Proseguiamo a piedi ed arriviamo al faro quando veniamo letteralmente attaccati da un gruppo di Starne artiche! Sono uccelli molto territoriali che per difendere i loro nidi attaccano chiunque o qualunque cosa si avvicini al loro territorio stridendo e planando veloci a pochi centimetri dalle nostre teste. La passeggiata ci ha scaldati, torniamo alle moto (e al freddo...).

Dopo una breve sosta per la benzina a Raufarhofn proseguiamo verso sud e poi di nuovo ad ovest e poi a sud sulla strada che passava ad ovest del fiume e quindi di Dettifoss. Inizia bene ma presto ci ritroviamo su un lungo tratto di pavé ondulato che ci smonta le braccia e a me rompe un supporto della GOPRO a suon di vibrazioni (me la vedo volare sopra la testa, sorpassandomi....!)
Ci fermiamo di nuovo a Dettifoss per riposare (e fare passare il formicolio alle braccia), andiamo a fare un altro paio di foto alla cascata dall'altro lato e anche a Sellfoss: Da questa parte si ha proprio la sensazione di guardare in faccia la cascata, ci siamo letteralmente davanti!
Tornando indietro passiamo vicino a Grjotaja, rimango impressionato dalla montagna che emette vapori (sembra dovere essere gonfia e pronta a scoppiare da un momento all'altro), si sente pure l'odore di zolfo tipico delle zone geotermali. Arriviamo al lago Myvatn verso le 23:00 e ceniamo nell'unico posto che troviamo aperto e andiamo a dormire stanchi ma contenti.

Reykjahlid - Askja -Reykjahlid


La sveglia suona alle sette, faccio fatica ad alzarmi ma sono parecchio carico perché oggi affronterò l'Askja! Faccio colazione, saluto John (che non se la sente e decide di rimanere alla fattoria) ed una volta fatto il pieno imbocco la Ring road e poi la F 901 (da lì in poi saranno tutte piste). Più avanti vedo un piccolo gruppo di case con il tetto in erba, mi fermo incuriosito a guardare e mi accorgo che su due di queste c'è scritto BENSIN-DIESEL: ero nel benzinaio più improbabile che avessi mai visto! Proseguo con Eddie Wedder nelle orecchie e dopo poco i panorami si aprono e mi concedono la visione di un territorio primordiale, sembra veramente di stare sulla luna!
Imbocco la F906 ed arrivo a Brù per fare benzina (il benzinaio era a casa di un contadino che aveva due grosse cisterne bianche appoggiate nel piazzale), poi finalmente arrivo sulla pista 910, che mi porterà attraverso il deserto fino alla caldera del vulcano Askja. La strada è facile e gustosa, faccio tre guadi di cui uno solo profondo ma il fondo compatto e la poca corrente (uno dei motivi per i quali sono partito presto la mattina) lo rendono facilmente passabile.
Vedo nella vallata successiva un gruppo di nuvole che scaricano acqua, mi metto l'antipioggia, proseguo passandoci in mezzo e gustandomi i panorami e i colori che spesso cambiano dal nero al bianco al giallo. Incontro un cancello sopra ad un ponte che delimita l'area del parco naturale e passo. Da lì in poi la strada diventerà uno slalom fra grossi blocchi di lava nera, il fondo sarà tutto di sabbia morbida con rocce qua e la e solchi di 4x4 passati di recente.
Proseguo a fatica, faccio qualche numero da circo ma riesco a rimanere in sella senza cadute, mi stanco molto e sono costretto a fare diverse pause ma dopo circa 4 ore e con le braccia doloranti arrivo al campeggio alla base del vulcano. Mi fermo a mangiare qualche cosa al riparo dalla pioggia e poco dopo faccio gli ultimi chilometri che entrano nella caldera vera e propria (ed in mezzo ad una colata di lava recente) fino ad un parcheggio dal quale partono diversi sentieri per i laghi Viti e Oskjuvatn. Mi assaporo la camminata di 2,5 km cercando di non badare al dolore del mio ginocchio e tra una foto e l'altra arrivo alla sommità e rimango sbalordito dalla grandezza e la particolarità di tutto quanto. I due laghi sono molto vicini tra loro ed hanno origini diverse: il più grande si è formato con piogge e lo scioglimento dei ghiacciai li vicino mentre invece il più piccolo ha acqua di origine geotermale (lo si capisce dal colore) e ci sono persone che fanno il bagno nelle sue acque fumanti.

Dopo qualche foto torno al parcheggio e una volta tornato in sella mi accorgo che qualche turista mi scatta un paio di foto dalle loro comode superjeep (come avessero visto un alieno o come fossi anche io parte delle attrazioni da fotografare) e giunto al punto informazioni del campeggio cerco di capire qual'è la via migliore per tornare indietro. Mi viene detto che la F88 ha grossi guadi e che forse è troppo tardi per farli (quindi le acque sono più alte e la corrente è più forte) ed il proseguo della 910 è decisamente molto sabbioso.Decido quindi di ritornare sui miei passi e rifare circa la stessa strada. Torno indietro sulla 910 e seguo le indicazioni per la f901 (che poi scoprirò portarmi al distributore di benzina con i tetti in erba visto questa mattina).
Comincia a piovere, la sabbia si compatta un poco con l'acqua ma sotto rimane asciutta. Faccio un paio di cadute, per fortuna senza danni e proseguo (con le mani e le braccia che mi fanno ancora male) in mezzo alla pioggia. Esco dal temporale che ormai sono fuori dall'area del parco naturale del vulcano e mi trovo in un'ampia valle fra due catene montuose completamente spoglie di vegetazione, desertiche (mi sento piccolo e solo).

Una volta fatte un paio di foto e ripresa la "cavalcata" colpisco una roccia che proprio non ho visto in mezzo alla pista ai 90 km/h. Non so come ma rimango in sella ma grazie alle camere d'aria rinforzate (le michelin da 4mm.) non esplode niente, solo si piega la lama del cerchio e si taglia il fianco della gomma.
Piano piano procedo fino al distributore sperando che la ruota anteriore regga. Arrivo, controllo la pressione ed è ok, la gomma tiene. Hanno finito la benzina ma mi dicono che in un'ora ne porteranno dell'altra ma io decido di versare nei miei serbatoi il contenuto della tanica da 10 litri. che avevo con me perché sono stanco e ho voglia di tornare in fattoria a riposare. Detto fatto, con ancora la paura per la gomma davanti ripercorro gli ultimi 80 km che mi separano dalla fattoria. Doccia, cena e qualche birra in compagnia di John e poi a letto a godere il meritato riposo.

Reykjahlid - Seydisfjordur


Accidenti, che fatica che ho fatto a svegliarmi. La giornata di ieri è stata lunga, pesante ed appagante e ora ne pago il "prezzo". Io e John scappiamo in fretta a fare colazione (la cucina chiude alle 9:30) e dopo avere mangiato in abbondanza, detto due vaccate e pagato il conto facciamo armi e bagagli mentre lentamente realizziamo che quella sarebbe stata la nostra ultima giornata assieme; Il giorno dopo io dovevo essere al porto di Seydisfjour per il mio traghetto di ritorno. John rimarrà per più tempo in Islanda, si sistemerà temporaneamente nel campeggio vicino al lago Myvatn. Sono le 11:30 e dopo avere fatto benzina andiamo a visitare le vicine argille di Hverir. Un paio di km prima sento già il tipico odore che si sente alle terme, solo molto più intenso. L'area è vasta e l'intera montagna fuma! Faccio qualche foto, ci sono pozze di fango bollenti, solfatare e piccoli coni simili a vulcani in miniatura che emettono soffioni di vapore ed altri gas bollenti.
Qualche tempo dopo ci spostiamo verso il vulcano Krafla e lungo la strada noto subito la presenza di una centrale geotermica e i suoi tubi che costeggiano la strada.
Arriviamo in cima alla caldera del vulcano dove c'è il lago Viti (è il secondo dell'isola, l'altro è nella caldera dell'Askja; Viti in islandese significa inferno), è conosciuto per essere stato la location di un vecchio film di James Bond, dove il lago nascondeva la base missilistica segreta del nemico. Facciamo lancora foto e ci dirigiamo di nuovo vero il lago Myvatn incontrando alla nostra sinistra l'indicazione di un luogo di interesse turistico: Gjrotajia.
Trattasi di una grossa frattura nelle rocce del terreno con al suo interno una sorgente di acqua molto calda (circa 50°). Se ci si affaccia sopra si sente chiaramente l'aria calda salire dal basso. Visito anche l'interno, sembra di stare dentro ad una sauna.
Tornati alla stazione di servizio vicino al lago Myvatn, mangio un' ultima volta in compagnia di John e dopo un caloroso saluto ed un ultimo pieno mi dirigo verso Egilsstadir mentre assieme al mio umore anche il cielo si fa cupo e dopo poco comincia a piovere non molto forte ma con il solito vento che ti sposta e ti fa girare sbilenco.
Arrivo ad Egilsstadir puntuale per l'appuntamento con il gommista. Rimonto la gomma mezza usurata ma più stradale che mi sono fatto spedire dall'altro gommista ad Akureiry e proseguo verso il porto di Seydisjordur e trovo sistemazione in un ostello.

La mia Islanda si conclude con una passeggiata nei pressi del porto e le solite  due foto fatte qua e là.

Il rientro in Italia


Il ritorno in Italia trascorre tranquillo ed io mi passo il tempo con i compagni di viaggio che ho incontrato durante il percorso: Peter da Oslo e Robert, dall'Olanda.
Durante i due giorni e mezzo del viaggio di ritorno in nave abbiamo conosciuto anche un gruppo di russi, e due ragazzi dalla Repubblica Ceca. Per gran parte del tempo ci siamo raccontati, scambiati racconti, storie ed immagini del nostro epico viaggio nella sognata Islanda, poi i russi hanno tirato fuori la roba da bere. Attorno ad un tavolo sul deck esterno della nave era un continuo viavai di chi andava a prendere birra, patatine e altre cose da mangiare. Io ad un certo punto sono capitato vicino ad uno dei russi che appena bevevo un sorso dalla mia lattina di birra me la riempiva con vodka, fino a quando mi sono ritrovato a bere solo vodka.
Steso dalla quantità spropositata di alcool torno in cabina e dormo fino al pomeriggio successivo!

Poi arriviamo al porto di Hirtshals, in Danimarca verso le 12:00 del 21 luglio e dopo l'ultimo pranzo assieme (al solito fast-food) mi metto in viaggio assieme a Robert e ai due ragazzi Cechi fino all'altezza di Amburgo, dove ci dividiamo ed ognuno prosegue per la propria strada. Nello stesso giorno riesco a fare solo 600 km, fino a quando stanco, alle 21:30 trovo da dormire in una pensione dalle parti di Hannover. Il giorno successivo mi macino tutti i 1300 km che mi separano da casa, sempre con lo squarcio sulla gomma davanti (e qui devo ringraziare ancora le camere rinforzate) e sempre senza soste tranne che per fare benzina. All'arrivo a casa è ormai passata mezzanotte e il caldo appiccicoso dell'umidità mi fa sembrare faticoso anche scendere dalla moto. Ahh che moto, la mia fida compagna di viaggio non mi ha mai tradito o dato un problema che fosse uno, nonostante in questi giorni di certo non l'abbia risparmiata. Mi viene solo da ringraziare per tutto quello che ho visto, le persone che ho conosciuto e le esperienze che ho vissuto.

Marco Nerozzi
 

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