Vespa Adventures: cronaca della sostituzione di una pompa benzina

Vespa Adventures: cronaca della sostituzione di una pompa benzina
E' un placido sabato di maggio, e sto aspettando il passaggio da Verona di un gruppo di amici vespisti provenienti da Rovigo e diretti nientemeno che ad Oslo (Norvegia), per partecipare ai Vespa World Days 2011...
17 febbraio 2015

E' un placido sabato di maggio, e sto aspettando il passaggio da Verona di un gruppo di amici vespisti provenienti da Rovigo e diretti nientemeno che ad Oslo (Norvegia), per partecipare ai Vespa World Days 2011. Anche stavolta mi sono arreso alla raffica di scuse che l'ingegno umano prontamente ti spara in faccia appena provi a chiederti seriamente se questa sarà la volta in cui salterai oltre lo steccato e rincorrerai i tuoi sogni. Non stavolta: la tesi da scrivere, i genitori che prenderebbero un colpo, un plus di cultura meccanica ancora da acquisire per fare le cose in sicurezza, i soldi, il tempo.
Mi restano la consolazione di andare a salutare il manipolo di eroi che passerà proprio sotto casa mia, e l'occasione per uscirmene con una delle mie solite cavolate: sull'onda di un irrefrenabile impulso patriottico, ho preparato un tricolore di 100x60 cm da consegnare a Edo, Toto, Massi e Kay, affinchè lo portino con loro in Norvegia.
Peraltro sono abbastanza irritato: ho avuto conferma che la mia Vespa GTS 300 risulta tra gli esemplari oggetto di richiamo ufficiale per difettosità della pompa benzina. Da qualche mese leggo sul Vesponauta di gente rimasta a piedi per la rottura della suddetta pompa, perciò ho ritirato dal Concessionario il pezzo nuovo e fissato un appuntamento per la sostituzione per la prossima settimana. In questi primi 15.000 km la Vespa non ha dato il minimo problema, perciò nel frattempo non intendo farmi troppo riguardo nell'usarla.

Nel primo pomeriggio raggiungo l'eroico manipolo nei pressi di Pescantina. Conquistato dal loro entusiasmo, dalla bella giornata, dalla prospettiva di un piccolo viaggetto-marachella, conoscendo benissimo la strada e non avendo nessuno ad attendermi a casa, decido di sfidare la Sfiga (vera e propria divinità temuta e rispettata da ogni motociclista) e di accompagnarli fino a Trento, dove la loro prima tappa si concluderà con una cena organizzata dal Vespa Club Trento “La Bandella”. Da Verona sono appena 100 i chilometri di statale da percorrere lungo la Val d'Adige. Se non c'è traffico si può tenere senza fatica l'ottima andatura di crociera di 90 km/h, e nel frattempo gustarsi la strada ed il paesaggio. Anche dovessi tornare da solo e di sera tardi, Sfiga permettendo, non dovrei avere problemi particolari. Anzi, memore di altre “fughe notturne” della precedente estate, già pregusto la pace e la solitudine della notte.
Risaliamo in scioltezza il lato sinistro della Val D'adige, illuminati dal tiepido sole primaverile e cullati dal nastro d'asfalto che, senza ombra di traffico, ci consente di tenere un'andatura costante ma non monotona, grazie all'armonico alternarsi di rettilinei, curve e saliscendi, collinette, paesini, campi coltivati. Mi beo della resa dei nuovi ammortizzatori, che conferiscono alla già agile vespona una impressionante precisione nell'inserimento in curva ed una notevole stabilità sul veloce. Sono molto soddisfatto: riesco ad impostare bene le curve, piego il giusto senza correre, e mi diverto ad uscire di curva a gas aperto, sfruttando la trasmissione automatica ed i “modesti” 20 cavalli che la “trecentona” eroga già a 5.000 giri. Mi gusto i profumi dell'aria pulita e la bellezza del paesaggio, e mi sento libero come chi ha una destinazione e tutto il tempo per arrivarci.
L'idillio s'interrompe bruscamente verso le 17, all'altezza del paese di Ala (all'incirca a metà strada). Il motore della mia Vespa, dopo aver singhiozzato per qualche centinaio di metri, “affoga” definitivamente.
Sfruttando l'inerzia residua e spingendo un po' riesco a raggiungere la prima area di servizio, seguito dai compagni di viaggio. Il da farsi nella mia mente è subito chiaro: consegno loro il tricolore, li abbraccio tutti e li invito a proseguire senza intaccare la loro tabella di marcia. Io me la caverò.
Ci scattiamo una foto insieme, loro partono e io passo tre quarti d'ora piuttosto agitati nell'area di servizio, cercando di comprendere la natura del guasto. Smonto la candela e la sostituisco con una nuova, giusto per escludere l'ipotesi. Niente da fare, la Vespa si accende, tiene il minimo per una manciata di secondi e poi “affoga”. Non ho con me il tester per escludere altri problemi di natura elettrica, ma nel fondo del mio cuore SO che è la pompa benzina (la giusta punizione per il mio peccato di arroganza verso la Dea).
Memore delle esperienze e dei consigli più o meno tecnici di altri “Vesponauti”, provo perfino la makumba di estrarre la vasca sottosella e lasciare la sella aperta “per far raffreddare il motore”. Provo tutto quello che mi viene in mente (tranne il “calcio di Pippo”) ma niente, la Vespa non resuscita ed io mi sento sempre più ridicolo ed impotente.

Sono ormai le 19.30 del sabato sera, ed ogni speranza di poter rientrare a casa su due ruote è ormai svanita. Mi rassegno (“Eh sì vecchio mio, è proprio la prima volta in cui rimani a piedi. La tua prima volta è fatta così.”) e chiamo l'assistenza stradale. La signorina gentile dall'altra parte mi conferma che l'assistenza copre il trasporto fino all'officina autorizzata più vicina, che in questo caso non è Verona, ma Rovereto: “Fantastico vecchio mio, il copione della tua prima volta a piedi prevede che la tua vespa non torni a casa con te. Congratulazioni, hai rimediato un tapiro d'oro ed viaggio di recupero a Rovereto la prossima settimana”.
E' ormai buio, i dipendenti dell'area di sosta uno ad uno mi salutano e se ne vanno a casa. Sono solo. Solo in questa area di servizio deserta. La mia Vespetta rossa e lucida che sembra un giocattolo, con di fianco un ridicolo orso barbuto in jeans, giacca di pelle e casco nero.
Arriva il carroattrezzi, guidato da un taciturno ragazzotto dall'accento slavo, che con poche agili mosse carica la Vespetta scintillante sul carroattrezzi. Mi faccio lasciare il biglietto da visita della ditta del soccorso, guardo con una sottile inquietudine il carro che porta via la mia Vespa, diviso tra il “Chissà se la rivedrò” ed il “Va là mona, adesso trova il modo di tornare a casa”.
Nuovamente solo nel parcheggio deserto del distributore, penso a quale amico/familiare importunare per farmi venire a prendere, ma alla fine abbandono l'idea: non voglio rompere le scatole a nessuno, tanto più che il paese di Ala è piccolo ed ha una stazione ferroviaria.
Mendico un passaggio in auto all'ultimo cliente del distributore (tale “Rudy”), e mi faccio portare in stazione, dove attendo il primo treno per Verona... che passerà soltanto un'ora dopo.
Mi siedo su una panchina e comincio a rilassarmi. Mi guardo intorno, osservando la vita delle otto di sera di una stazione di un piccolo paese del Trentino. C'è un grande silenzio, interrotto solo da un paio di treni di passaggio e dall'altoparlante che li annuncia. La brezza serale muove folate di aria fresca, che passando tra le chiome degli alberi fanno “respirare” il paesaggio. Un paio di ragazzine tutte agghindate per il sabato sera e dirette a qualche festa si preparano schiamazzando sul loro binario. Il cielo è limpido, e comincia a vedersi qualche stella.
Mi perdo nella contemplazione di questo “non luogo” finchè non sento annunciare il mio treno. Faccio amicizia con un tipo di nome Eddy, gli racconto la mia storia e lui la sua. E' inglese, ma va a fare il barman a Rimini, ed ha tante storie di vita da raccontare. Arrivati a Verona mi regalerà qualche cartolina del matrimonio di William e Kate, perchè ne aveva diecimila e non sapeva più dove metterle (chi di noi non ha una donna che sa TUTTO del matrimonio regale e potrebbe gradire?). Un tipo a posto, con un non so che di un personaggio di “Pulp Fiction”. Quegli strani incontri non utilitaristici che si fanno quando si viaggia.
Arrivo in stazione a Verona alle 22, e fino alle 23 non si vede l'ombra di un autobus. Nel frattempo ogni sorta di umanità va e viene sotto la pensilina. Ci sono non uno, DUE controllori (alle 23! Ave o Sfiga!) che fanno multe su multe, ed io non ho il biglietto. Per fortuna si può fare a bordo, e con sollievo mi accorgo che ho ancora 1,50 € in tasca (a parte il bancomat e la patente). La macchinetta non mi darà il resto, ma a questo punto chissenefrega. Saranno la stanchezza, lo spirito del Viaggio o tutti e due, ma sono stranamente euforico ed incline a valutare con una certa benevolenza tutte le variabili che mi si presenteranno fino alla fine del viaggio. In questo stato di grazia, con un sorriso e le buone maniere convinco un tunisino ubriaco (di quelli con la balla allegra) a smettere di importunare due liceali sedicenni troppo svestite (“ma che cavolo ci state a fare in un posto come la stazione, dove cavolo dovrete mai andare, a quest'ora, da sole? Mah, starò invecchiando...fantastico!”).

Alla buon'ora, arriva l'autobus. Semivuoto, trasporta di tutto: turisti tedeschi dispersi che cercano un locale, srilankesi che ascoltano le loro musiche tradizionali da un telefonino con l'altoparlante al massimo, congressisti in giacca e cravatta reduci da Milano. L'autista meridionale ad un certo punto inchioda mandando mezzo autobus a gambe all'aria, e ostrega dietro (in Veneto) alla solito genio che non ha rispettato la precedenza. Una signora probabilmente indiana impassibile, che come me lascia correre lo sguardo sulle luci della città, in attesa che l'ampio percorso del bus la porti alla sua destinazione.
Arrivo a casa alle 23.30, senza aver mangiato nulla da ora di pranzo. Mi domando se sia il caso di avvisare qualcuno che sono a casa, che è andato tutto bene. Ma a casa non c'è nessuno ad aspettarmi. Nessuno sa della mia disavventura, quindi nessuno si aspetta di sapere niente. Realizzo che sono l'unico con cui posso condividere le emozioni che ho dentro, e questo mi sembra quasi un regalo. Domani avrò una storia da raccontare a chi vorrà ascoltarla, ma questo momento di fine giornata, in cui ne tiro le fila, è solo mio.
Penso che alla fine, al di là del guasto, è andato tutto incredibilmente bene. Ma il punto è un altro: non ho semplicemente trovato soluzioni ad una serie di problemi. Mi accorgo di aver trasformato un guasto in un'avventura, semplicemente per aver scelto di indossare, anche se per poco, i panni del viaggiatore. La mera risoluzione del problema è passata in secondo piano, lasciandomi lo spazio mentale per osservare ciò che mi circondava con occhi diversi.
Sarà per questo che mi sento così vivo ed entusiasta; quasi che, per una volta, fossi riuscito a mettere il naso fuori dallo steccato. In barba alle scuse, alle opinioni dei benpensanti ed anche alla Sfiga (o forse è proprio Lei che devo ringraziare? Ave o Sfiga!).

Epilogo. Il giovedì seguente alle 13.30 quella santa della mia fidanzata mi accompagna in stazione. Porto con me il casco e la giacca a vento, che metto dentro uno zaino insieme a delle scartoffie da leggere per la tesi. Mi siedo nell'ormai arcinoto, chiassoso, a volte sporco e rovente Regionale della linea del Brennero.
Il treno è uno strano mezzo di trasporto: vedere i cavi dell'alta tensione che giocano a rincorrersi fuori dal finestrino, ascoltando “Rhapsody in Blue” di Gerschwin, ha un che di ipnotico e rilassante, e di solito mi concilia il sonno oppure mi stimola la concentrazione e la creatività. Argino la mente buttandomi a capofitto negli appunti, e riesco a starci dentro per un po'. Quando chiamano la stazione di Avio la concentrazione slitta e comincio a sentirmi sulle spine. Mi infliggo, implacabile, il dubbio nocivo: "Ma siamo sicuri che la nuova pompa non mi lascerà a piedi?". Anche no, dai.
Nel contempo noto che il tempo sta cambiando, e che tra Ala e Peri si prepara a piovere... fantastico! Pace, alla bisogna estrarrò i pantaloni da acqua che tengo sempre nel sottosella, ed il parabrezza farà il resto.
Mi tengo occupato un altro po', mentre con lentezza inesorabile scorrono le ultime stazioni: Ala, Serravalle, Mori. Quando annunciano Rovereto mi preparo ed imposto il navigatore del cellulare per raggiungere la posizione di Frisinghelli, il concessionario dove hanno ricoverato la Vespa.
Non sto più nella pelle per il fatto che riporterò la pecorella all'ovile. Trovato il posto, faccio due parole col mitico sig. Frisinghelli in persona (in seguito scoprirò di aver avuto di fronte un'autentica istituzione del mondo vespistico italiano), del quale ho molto apprezzato competenza, cultura, passione ed equilibrio. Tutte qualità che mancano a tanti snob del due tempi che ghettizzano le cosiddette “Modern Vespa”.
Saluto e ringrazio Frisinghelli e mi metto in strada, finalmente libero di sciogliere le briglie alla mia cavalcatura e galoppare verso casa. Non noto particolari cambiamenti, forse una maggiore regolarità nell'erogazione, ma può benissimo essere la mia euforia. Un po' di tempo per uscire da Rovereto e poi ancora lei, la cara vecchia “Sinistra Adige”.
Come previsto, prendo sul muso qualche scroscio d'acqua pesante tra Ala e Peri ed una certa dose di vento laterale, ma la Vespa è incollata a terra.
L'aria è umida e profuma di pulito, di verde e di terra: chiudo gli occhi per un attimo ed inspiro a fondo. L'acqua schiocca impattando su casco, spalle, parabrezza e lamiera, e mi godo la soddisfazione liberatoria di prendermela tutta, così com'è, senza fermarmi sotto una tettoia qualunque per evitarla. Giove Pluvio evidentemente apprezza la mia filosofia e decide di premiarmi con l'ultimo regalo di questa avventura: tra Peri e Dolcè la pioggia cessa, e le nuvole si aprono.
Arriverò a casa perfettamente asciugato dal sole e dalla tiepida aria primaverile.

Francesco Peroni

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