Ayrton Badovini: “Ho più fame di vittoria di un quattordicenne”

Ayrton Badovini: “Ho più fame di vittoria di un quattordicenne”
Carlo Baldi
“I Lorini stanno facendo grandi sacrifici per farmi correre e io cerco di aiutarli pagandomi le trasferte”. Badovini è un pilota che ha sempre dato il massimo, con ogni moto ed in ogni categoria
26 maggio 2016

Punti chiave

Il professorino. Questo il soprannome di Ayrton Badovini, che a Sepang si è aggiudicato la gara del mondiale Supersport sotto la pioggia, dopo aver vinto la resistenza del padrone di casa Khairuddin. E’ l’ennesima impresa di Ayrton che se, anziché avere gli occhiali ed i capelli sempre ben pettinati (che gli danno appunto quell’aria da professorino), avesse una lunga chioma e qualche tatuaggio in bella vista, forse avrebbe avuto una carriera diversa. Quella di Ayrton è una storia di alti e bassi, dove gli alti ce li ha sempre messi lui e i bassi la malasorte. «Alla fine, l’unica volta che ho avuto davvero una moto ed un team competitivi ho vinto 9 gare su 10». Si riferisce alla stagione 2010, quando con la S1000RR del team BMW Italia ha dominato la Stock 1000 Europea. Prima e dopo tante difficoltà ed occasioni mancate, ma mai per colpa sua. Lui ha sempre lavorato a testa bassa, cercando di sfruttare al massimo le occasioni che gli sono state offerte. Che fosse  una Superbike, una moto da Endurance o una Supersport.


In un mondo dove ci si lamenta per i pochi test invernali o per una moto con la quale non si riesce a trovare il “feeling”, lui salta su una 600 che non aveva mai usato nemmeno per portare la ragazza al mare, e vince la gara più difficile della stagione.

 

L'INTERVISTA

La Honda del team Lorini è l’ennesima moto sulla quale sei salito al buio e a stagione iniziata.

«Sì, non è la prima volta. Quest’anno non avevo trovato una sistemazione adeguata. Purtroppo ancora un volta le cose non erano andate come speravo, e con il passaggio delle BMW al team Althea mi ero ritrovato a piedi».


Non c’era stato alcun contatto con il team Althea?

«Assolutamente no. Non mi hanno mai chiamato».


Anche lo scorso anno eri subentrato a stagione iniziata.

«Sì avevo sostituito Barrier nel team BMW Motorrad Italia Superbike. Era una moto ed un team che conoscevo bene e penso di aver fatto un buon lavoro, ma purtroppo non ha  avuto un seguito».


Le difficoltà nella tua carriera non sono certo mancate.

«Purtroppo no. Già nel 2009 il team Kawasaki PSG-1 chiuse i battenti dopo poche gare, e io mi ritrovai a piedi. Dopo una wild card a Imola con un’Aprilia (gara vinta, ma vittoria in seguito revocata per irregolarità rilevate sulla moto), mi chiamò il team BMW Italia per la Stock 1000. Vinsi 9 gare su 10 e conquistai il titolo. L’anno dopo, il salto in SBK, sempre con il team BMW. Ci rimasi due anni, per poi passare al team Alstare Ducati. Sembrava l’occasione della vita, invece ci furono molte difficoltà. Era il primo anno della Panigale, e nemmeno Checa riuscì a fare molto. Io la portai per la prima volta sul podio a Mosca, terzo sotto la pioggia. L’anno seguente fu quello della Bimota. Altra stagione travagliata. Vinsi molte gare della categoria EVO, ma negli annali non risulta, perché la moto non era omologata e io ed Iddon venivamo tolti dalla classifica a gara ultimata. Andò decisamente peggio l’anno seguente, quando avrei dovuto essere uno dei due piloti di un team SBK di Santo Domingo che in realtà non è mai esistito».
 


E quest’anno?

«Ero in contatto con un team per il mondiale Superbike, ma sono stato scavalcato da un pilota che aveva una buona valigia di sponsor. In seguito fui contattato dal team Lorini per la Supersport, ma era davvero tardi, e non riuscimmo ad iscriverci in tempo. Poi si è purtroppo fatto male Glenn Scott ed i fratelli Lorini si sono ricordati di me, e pochi giorni fa abbiamo deciso di continuare insieme per tutta la stagione 2016».


Un bel team, con tanta passione.

«Quello dei fratelli Lorini è un team di grandi appassionati. Stanno dando tutti il massimo e stanno facendo grandi sacrifici per farmi correre. Io cerco di aiutarli pagandomi le trasferte. Avergli regalato la loro prima vittoria mondiale mi ha riempito di gioia. Davvero una gran bella soddisfazione per un team privato. Il mio obiettivo con loro è quello di terminare il mondiale al terzo posto. Ce la possiamo fare, e sarebbe un’altra vittoria fantastica per una realtà davvero privata».


Ci potrà essere un futuro con i Lorini? Magari in Superbike...

«A loro piacerebbe molto fare il salto in SBK, e gli auguro di poterlo fare, perché sono delle persone eccezionali. Avrebbero piacere che io facessi parte di questo loro progetto, ma  prima vorrei capire in quali condizioni lo faranno. Ho già corso in SBK e so cosa serve per fare bene. Correre per far numero non mi interessa, e se non ci sono tutti i presupposti per fare una buona stagione, preferisco non correre. Con questo non vuol dire che i Lorini non organizzeranno un progetto valido. Voglio solo dire che lo valuterò attentamente».


Com’è stato il salto dalla SBK alla SS?

«Non è stato facile, perché non ci ero mai salito ed è una moto completamente diversa da quelle che avevo guidato sino ad ora. Prima ho dovuto imparare a guidarla e poi ho potuto iniziare a spingere per andare forte. Però è una moto. Due ruote ed un motore. Ti devi adattare alle sue caratteristiche, capirla bene per poi sfruttare quelle che sono le tue doti di guida. Non c’è nulla di particolarmente difficile nel guidare una Supersport, se non quella di dovercisi adattare. Ma questo vale per tutte le moto al mondo».
 


La pioggia. Il tuo terreno preferito?

«Devo ammettere che sotto la pioggia io vado forte, ma ti dico sinceramente che correre sul bagnato non mi piace. Probabilmente riesco prima di altri a capire le condizioni del tracciato e ad adattarmici in fretta, ma potendo scegliere correrei sempre sull’asciutto».


Com’è andata a Sepang?

«A Sepang ero messo bene sull’asciutto e puntavo al podio. Quando ho visto la pioggia mi sono incavolato, ma, come si dice in questi casi, piove per tutti. Sono partito forte dalla seconda fila, ed ero li con i primi. Sono stato cauto nei primi giri perché era facile ritrovarsi per terra. Qualche giro per adattarmi alla pista e alla moto, e poi ho trovato il mio passo. Ho dato il massimo, e alla fine sono riuscito a precedere Khairuddin».
 


E’ stata la tua vittoria più bella?

«Sì, forse è stata la più bella. In Stock 1000 vinsi tanto, ma si trattava pur sempre di un campionato europeo. La terza posizione con la Panigale a Mosca è stata una cosa fantastica, ma non una vittoria. Vincere una gara mondiale è una cosa speciale. Poter guardare tutti dall’alto in basso è una soddisfazione unica».    


Hai dimostrato ancora una volta di cosa sei capace. Dopo una stagione trionfale in Stock, dopo essere stato il primo a portare sul podio la Panigale, ora hai vinto anche in Supersport. Vuoi vedere che si accorgeranno di te?

«No. Il mio è un mestiere del …..(beep). Da domani il passato non conterà più. Dovrò stare ancora davanti, stare sempre in vetrina e far vedere quanto impegno ci metto in questo lavoro. E ciò nonostante non è detto che le cose cambino».


Cosa pensi ti sia mancato sino ad ora?

«Solo della fortuna. Sono stato nei posti giusti nei momenti sbagliati. Prendi ad esempio la mia stagione con Alstare Ducati. Se ci fossi andato l’anno successivo, sarebbe stato tutto diverso. L’unico anno nel quale avevo una situazione al top, con team e moto competitivi, è stato il 2010. Ed ho vinto tutto. Negli altri anni non sono mai partito per vincere. Nemmeno sulla carta».  


Non sei certo vecchio. Mai dire mai…

«Non ho ancora compiuto i 30 anni, ma posso dire di aver lavorato allo sviluppo di tante moto ed in molti campionati diversi. Ho accumulato una grande esperienza, ma la vera differenza è che io ho ancora più fame di un quattordicenne. E’ questa la mia carta vincente. Chissà, forse qualcuno un giorno se ne accorgerà, e mi darà una possibilità concreta. Intanto, io non mollo».

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