Ryan Dungey, il campione "fortunato" di Supercross e National

Ryan Dungey, il campione "fortunato" di Supercross e National
Pietro Ambrosioni
  • di Pietro Ambrosioni
Questa settimana in Utah Dungey si è laureato ancora una volta Campione nella classe 450, mettendo a segno la stessa doppietta Supercross/National
  • Pietro Ambrosioni
  • di Pietro Ambrosioni
19 agosto 2015
Questa settimana in Utah Ryan Dungey si è laureato ancora una volta Campione nella classe 450, mettendo a segno la stessa doppietta Supercross/National che aveva infilato nel suo anno da rookie nella massima cilindrata, il 2010.
 
Per l’ennesima volta Ryan (lo ammetto, uno dei miei piloti preferiti, non solo in pista) ha mostrato di essere un turbodiesel imbattibile, bravo limitare i danni e lasciar sfogare gli avversari quando ne hanno “di più” e inarrestabile quando arriva il momento di calare il martello. Una forma fisica perfetta, una determinazione come pochi altri e uno stile di guida che proprio nel corso del 2015 si è evoluto in modo drammatico, donando al pilota KTM una maggiore velocità ed aggressività in tutte le situazioni. E non è da tutti essere in grado di cambiare la propria guida quando si è già all’apice della carriera!

Nel suo angolo, da quest’anno, c’era anche un certo Aldon Baker, reso “libero” di lavorare con Dungey dopo che l’altro Ryan (Villopoto) ha deciso in modo forse un po’ infelice, di andare a cercare gloria nel Mondiale MX1 in Europa.
Aldon da sempre ha spaccato i fan in due: da una parte quelli che ammirano il suo lavoro, dall’altra quelli che lo accusano di pratiche da “piccolo chimico”.

Ma i fatti sono fatti, e c’è poco da sparare cazzate a riguardo (scusate il francesismo): NESSUNO dei suoi piloti è mai stato sospeso ad assumere sostanze proibite. Il resto sono chiacchiere, specialmente quando altri invece sono stati “beccati” in un modo o nell’altro. Va poi considerata una cosa, e cioè che da quando Baker ha iniziato a lavorare nel Supercross con Carmichael, il trainer Sudafricano non ha MAI perso un titolo in cui il suo pilota ha portato a termine il campionato. Game, set, match.

Adesso torniamo a Dungey. Il pilota del Minnesota quest’anno ha fatto il pieno, ma… c’è un ma. Per quanto, lo ripeto, io sia un fan di Ryan, questi suoi due titoli, ancora una volta passeranno alla storia per avere un piccolo asterisco di fianco all’anno di riferimento. Se è infatti vero che “per arrivare primo devi prima arrivare” resta palese il fatto che Eli Tomac quest’anno ne aveva un bel po’ di più di RD5 nell’Outdoor. Il minuto e mezzo di distacco (90 secondi, provate a contarli ad alta voce!) che ha rifilato al neocampione ad Hangtown la dicono lunga. A inizio stagione Dungey davvero non sembrava avere nulla con cui rispondere al rivale della Honda, se non lasciarlo andare e sperare in una delle sue solite “tavanate”. Cosa che si è regolarmente verificata a Thunder Valley, in Colorado, a casa di Tomac. E con Roczen che correva con una microfrattura alla colonna vertebrale, Canard fratturato e Barcia che si è svegliato solo a fine stagione nel fango di Budds Creek, il lavoro di Dungey è stato semplificato di molto.
 

Lo so, la mia logica fa acqua e con i “se” e i “ma” si va poco lontano… Dopotutto propio io poche righe sopra ho detto che sono i fatti a contare, non le chiacchiere. Ma allora perché continuiamo a dire che i due titoli SX di Reed (2004 e 2008) hanno anche loro l’asterisco?
 
Foto: Redbull.com

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