Sidecar da corsa: gli anni d’oro dei due tempi

Sidecar da corsa: gli anni d’oro dei due tempi
Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
La comparsa di strutture e di soluzioni costruttive inedite ha segnato l’inizio di una nuova era. Dai König ai vincenti Yamaha TZ, fino alla monoscocca della svizzera LCR
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
12 luglio 2016

Nella seconda metà degli anni Settanta, dopo un lungo periodo di grande immobilismo, la tecnica dei sidecar da competizione ha subito un profondo rinnovamento. Come visto nel precedente servizio di questa serie, una autentica rivoluzione si è avuta con la definitiva consacrazione dei motori a due tempi che, grazie alla loro eccezionale potenza, abbinata a una grande compattezza e a un peso molto ridotto, hanno fatto rapidamente scomparire dalla scena i 4T. Inizialmente si trattava di unità motrici “prelevate” dal settore della nautica da competizione e debitamente adattate (Konig e Crescent). In seguito però, come era inevitabile, si sono affermati i quadricilindrici delle moto da corsa dotati della struttura più adatta ad impiego sidecarristico, ovvero gli Yamaha con architettura in linea trasversale (che erano anche reperibili senza difficoltà, vista la notevole diffusione delle TZ 750 e delle 500).

 

Questa sezione del motore Yamaha TZ 750 a quattro cilindri (largamente impiegato dai nostri piloti di punta) consente di osservare chiaramente le principali caratteristiche costruttive come i due alberi a gomiti di tipo composito in presa con l’ingranaggio dell’albero ausiliario, collocato centralmente, e gli otto cuscinetti di banco
Questa sezione del motore Yamaha TZ 750 a quattro cilindri (largamente impiegato dai nostri piloti di punta) consente di osservare chiaramente le principali caratteristiche costruttive come i due alberi a gomiti di tipo composito in presa con l’ingranaggio dell’albero ausiliario, collocato centralmente, e gli otto cuscinetti di banco

Ciascuno di questi motori poteva essere considerato il risultato dell’unione di due bicilindrici e infatti era dotato di due alberi a gomiti, ciascuno dei quali era costituito da sei pezzi uniti per forzamento e poggiava su due cuscinetti di banco a sfere e due a rulli. Alla estremità di ognuno di questi due alberi, che giravano all’indietro (ossia in senso opposto rispetto alle ruote), vi era una ruota dentata; quest’ultima era in presa, unitamente a quella dell’altro albero a gomiti, con un unico ingranaggio centrale, montato su di un albero ausiliario che provvedeva a inviare il moto alla frizione per mezzo di due ingranaggi collocati sul lato destro. Nel motore di maggiore cilindrata, che aveva un alesaggio di 66 mm e una corsa di 54 mm, venivano impiegati due “blocchi” di due cilindri ciascuno; lo stesso avveniva per le teste, che erano due soltanto ma “servivano” quattro cilindri. Negli ultimi 500 (che avevano un alesaggio di 56 mm e una corsa di 50,5 mm e che erano del resto gli unici disponibili) si impiegavano invece teste e cilindri singoli.

 

Pedrini, Donati e Zini sono stati grandi protagonisti della scena nazionale, tanto in circuito quanto in salita, tra il 1978 e i primi anni Ottanta

I quadricilindrici Yamaha hanno conquistato il primo mondiale nel 1977 con O’Dell, dopodiché le loro vittorie si sono susseguite al punto da dare luogo per lungo tempo a un dominio assoluto. Da noi la maggior parte dei sidecarristi è passata rapidamente a questi motori giapponesi, non appena sono diventati disponibili. Spiccano i nomi di Pedrini e di Donati, mentre Zini per qualche anno ancora ha continuato ad impiegare il Konig, del quale è stato l’ultimo paladino, prima di passare anche lui al quadricilindrico Yamaha. Questi tre piloti sono stati grandi protagonisti della scena nazionale, tanto in circuito quanto in salita, tra il 1978 e i primi anni Ottanta.

 

La monoscocca grazie a LCR

Nel frattempo la struttura dei sidecar da competizione stava cambiando notevolmente. Questa evoluzione è avvenuta in larga misura grazie alla svizzera LCR, che ha fatto il suo ingresso nel settore nel 1976, con un sidecar di aspetto ancora tradizionale ma già dotato di una struttura monoscocca, e ha vinto il suo primo Gran Premio nel 1978. La strada era indicata e rapidamente i telai in tubi hanno ceduto il passo a quelli in lamiera scatolata, che prevedevano un grosso elemento principale a sezione quadra, disposto lateralmente al motore, che collegava l’avantreno al retrotreno.

Nel 1979 ormai c’era un notevole numero di sidecar con una struttura nettamente diversa da quella tradizionale, nei quali il passeggero in pratica non si muoveva. La FIM ha quindi diviso il campionato in due categorie, una per i side dotati di struttura convenzionale e l’altro per i “prototipi”. Poi è tornata sui suoi passi. Alla fine si è stabilito che per gareggiare nei Gran Premi i sidecar dovevano essere realizzati in modo tale che in gara il passeggero non avesse un ruolo semplicemente passivo, ma partecipasse attivamente.

 

In questa foto di un tipico sidecar dei primi anni Ottanta si possono notare gli elementi in lamiera scatolata, uniti per chiodatura, che formano la scocca e il pianale, e le varia maniglie per il passeggero (che si sporge ora posteriormente alla terza ruota)
In questa foto di un tipico sidecar dei primi anni Ottanta si possono notare gli elementi in lamiera scatolata, uniti per chiodatura, che formano la scocca e il pianale, e le varia maniglie per il passeggero (che si sporge ora posteriormente alla terza ruota)

Ormai la scena era dominata dagli svizzeri LCR, che per diverso tempo hanno impiegato motori Yamaha. Poi, nella seconda metà degli anni Ottanta, sono apparsi i quadricilindrici Krauser, che si sono rapidamente rivelati vincenti. I più famosi piloti che hanno impiegato i sidecar LCR sono stati dapprima Biland e in seguito Webster, che hanno conquistato titoli mondiali a ripetizione e fra tutti e due hanno vinto oltre 100 Gran Premi.

In Italia diversi piloti hanno utilizzato gli LCR, ma hanno ottenuto ottimi risultati pure i sidecar da competizione realizzati da Franco Donati (noti anche come “Donaska”).
In quanto ai motori, quelli a due tempi hanno continuato ad essere impiegati a lungo, e si sono viste anche nuove interessanti realizzazioni come il V4 della Swissauto. Ma ormai erano arrivati gli anni Novanta e stavano per tornare i quattro tempi.