Origini pittoresche di marchi motociclistici

Origini pittoresche di marchi motociclistici
Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
La nascita di alcune Case motociclistiche presenta aspetti davvero coloriti e a volte impensabili
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
15 settembre 2017

Come abbiamo visto in questo precedente articolo, alcuni marchi famosi hanno fatto la loro comparsa in maniera tutto sommato spiegabile, e forse addirittura prevedibile.
Per altri però la storia è stata diversa…Che un'industria specializzata in costruzioni meccaniche e in lavorazioni di alta precisione a un certo punto e in determinate situazioni decida di entrare nel settore delle "due ruote" può avere una sua logica.

Un importante esempio in questo senso è fornito dalla Demm. Questa sigla nasce dalla unione delle iniziali dei due fondatori, Daldi e Matteucci, proprietari di una ben avviata azienda che produceva ingranaggi, componenti per trasmissioni, macchine utensili e strumenti di misura, le cui origini risalivano al 1919.
Gli uffici commerciali e la direzione generale erano a Milano (a pochi passi dal centralissimo corso Buenos Aires), e lo stabilimento a Porretta Terme, in provincia di Bologna. All’inizio degli anni Cinquanta la richiesta di mezzi di trasporto semplici ed economici era altissima, e questo ha portato i vertici aziendali alla decisione di entrare con decisione nel settore motociclistico, con modelli di piccola cilindrata destinati a una grande diffusione. È stato così che nel 1951-52 hanno fatto la loro comparsa le prime motoleggere e i primi ciclomotori Demm.

Si trattava di prodotti di ottima qualità, progettati e costruiti internamente, a cominciare dal motore. In seguito la produzione si è articolata su tre linee principali, costituite da ciclomotori a due e a quattro tempi (particolarmente famosi sono rimasti i modelli Dick-Dick e Supersport) e da moto di 125 e 175 cm3. Queste ultime erano realizzazioni di grande raffinatezza tecnica, nelle quali spiccava la distribuzione monoalbero comandata da un alberello e due coppie coniche.
La Demm si è impegnata per qualche anno anche in campo sportivo, ottenendo alcuni record mondiali e realizzando dei monocilindrici bialbero destinati alle corse in salita che erano degli autentici capolavori di meccanica. Dopo avere fortemente ridotto la sua attività nel nostro settore durante gli anni Settanta, l’azienda è uscita definitivamente dalla scena motociclistica nel 1982. Nel suo logo, attorno alla scritta Demm c’è un ingranaggio…

La Demm 175 è stata una moto di notevole raffinatezza tecnica. La distribuzione monoalbero era comandata da un alberello (leggermente inclinato rispetto all’asse del cilindro) alle cui estremità si trovavano due coppie coniche
La Demm 175 è stata una moto di notevole raffinatezza tecnica. La distribuzione monoalbero era comandata da un alberello (leggermente inclinato rispetto all’asse del cilindro) alle cui estremità si trovavano due coppie coniche

 

Anche le Officine Meccaniche Fausto Alberti effettuavano lavorazioni di precisione. Fondata nel 1922, questa azienda ha esteso il suo campo di attività alle moto proprio all’inizio degli anni Trenta, ottenendo rapidamente una notevole diffusione per l’eccellente qualità delle proprie realizzazioni, che venivano commercializzate col marchio Sertum. Sul finire del decennio, questa industria milanese era diventata una realtà molto importante nel settore delle due ruote.
I suoi prodotti erano robusti e affidabili, e alcuni di essi sono stati largamente impiegati anche dalle forze armate. Dopo la guerra le cose sono però cambiate; occorrevano modelli di nuova concezione, semplici, di modesta cilindrata e soprattutto economici. La Sertum invece ha puntato principalmente su quelli prebellici, con pessimi risultati commerciali. Quando si è cercato di porre rimedio alla situazione, ormai fortemente compromessa, era troppo tardi. L’azienda è così uscita di scena all’inizio degli anni Cinquanta

 

I motori motociclistici, come pure i mozzi e varie parti delle sospensioni, sono costruiti facendo largo ricorso a parti ottenute per fusione. Che alcune fonderie abbiano esteso la loro attività al settore delle moto non deve dunque sorprendere

I motori motociclistici, come pure i mozzi e varie parti delle sospensioni, sono costruiti facendo largo ricorso a parti ottenute per fusione. Che alcune fonderie abbiano esteso la loro attività al settore delle moto non deve dunque sorprendere.
Un esempio importante è quello della Rumi, azienda bergamasca che dopo il termine della seconda guerra mondiale decise di allargare il suo campo di attività al mondo delle due ruote, realizzando una bicilindrica a due tempi destinata a lasciare un segno importante nella storia della moto.


 

Il Formichino in una foto del 1954
Il Formichino in una foto del 1954

In precedenza questa industria aveva lavorato in larga misura per il settore militare, producendo eliche, ancore e periscopi; si trovava quindi nella necessità di riconvertire le sue strutture. Nel 1949 ha fatto così la sua comparsa una bella motoleggera bicilindrica costruita con schemi innovativi e dalle caratteristiche molto avanzate, disegnata da Piero Vassena. Il motore a due tempi di 125 cm3 aveva i cilindri disposti orizzontalmente. Spiccavano la disposizione della frizione all'estremità destra dell’albero a gomiti e il basamento costituito da due semicarter in lega di alluminio, che si univano secondo un piano orizzontale e non verticale come prevedeva la classica scuola motociclistica. Questo brillante bicilindrico, che si è saputo distinguere anche nelle competizioni per le moto derivate dalla serie, ha equipaggiato modelli sia turistici che sportivi, ed è stato anche utilizzato su due scooter.
Di questi ultimi particolarmente famoso è rimasto il Formichino, dallo styling quasi avveniristico, che è stato costruito anche all’estero su licenza. Il collasso del mercato italiano, avvenuto alla fine degli anni Cinquanta, e il mancato pagamento di grossi lotti di moto già spediti in Argentina (dove si erano verificati drammatici cambiamenti politici) ha portato l’azienda a una crisi dalla quale non è più stata in grado di risollevarsi.

 

In questo esemplare di Perugina 175 fotografato in un recente mercatino si possono tra l’altro notare il bel telaio a doppia culla continua e la bobina di accensione alloggiata nella parte inferiore del serbatoio del carburante
In questo esemplare di Perugina 175 fotografato in un recente mercatino si possono tra l’altro notare il bel telaio a doppia culla continua e la bobina di accensione alloggiata nella parte inferiore del serbatoio del carburante

Un’altra fonderia italiana ha dato origine a una casa motociclistica che ha saputo acquisire una discreta notorietà nel corso degli anni Cinquanta. Si tratta della FOM (Fonderie Officine Menicucci) di Castel del Piano, alle porte di Perugia, e le moto si chiamavano giustamente Perugina.
In questo caso, la molla principale che ha portato a iniziare l’attività nel campo delle due ruote è stata la passione del proprietario dell’azienda. La produzione è iniziata nel 1952 e rapidamente la gamma dei modelli si è ampliata. Quattro anni dopo erano in listino due 125 (a due e a quattro tempi), due 175 e una 250, che è stata costruita in una manciata di esemplari soltanto.

La punta di diamante era la 175 Sport, che diversi piloti hanno anche impiegato nelle massacranti maratone stradali dell’epoca (Milano-Taranto e Motogiro). Sul finire degli anni Cinquanta alcuni esemplari di queste moto sono stati anche impiegati in alcune corse in salita e in qualche circuito cittadino ove correvano piloti juniores. La Perugina è uscita dalla scena motociclistica nel 1962.  

 

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