Nico Cereghini: “Reggiani e il suo gruppo”

Nico Cereghini: “Reggiani e il suo gruppo”
Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Trent’anni dopo il primo successo mondiale dell’Aprilia a Misano, la FMI ha radunato i protagonisti di quella giornata storica. E salta fuori lo spirito di allora
  • Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
12 settembre 2017

Punti chiave

Ciao a tutti! Di Misano mi porto dietro il superMarquez che ci ricorda di che pasta è fatto questo talento molto difficile da arginare anche per la superDucati. Riguardo alle qualità dell’uomo lasciamo stare, e capisco il significato di quei fischi sotto il podio. Ma soprattutto, certo più belle, mi porto via le immagini di un incontro del venerdì mattina.


L’antefatto: la Federazione ha voluto opportunamente celebrare il trentesimo anniversario della prima vittoria mondiale dell’Aprilia, nell’agosto 1987, con la 250 di Loris Reggiani che vinse qui il GP di San Marino. Il presidente Copioli ha consegnato una targa speciale a Romano Albesiano in quanto responsabile di Aprilia Racing oggi. E ho avuto l’opportunità di rivedere, oltre a Loris, anche la sua squadra di allora: Loris Montanari detto Ciutur, Orlando Petracci e Leandro Rambelli. Mancava Michele Verrini, e mancava Benito Savoia scomparso anni fa. Ebbene, cerimonia, discorsi, fotografie e poi spazio ai ricordi. Il pilota ha ricordato lì per lì (proprio lo aveva dimenticato) che il motore buono aveva sbiellato due volte nel week end, nelle prove e poi anche nel warm up di domenica mattina. Tanto che si dovette usare il motore senza la valvola allo scarico, quello destinato alle piste più veloci. E la differenza si sentiva? “Mica tanto” ha confessato Reggiani. Il direttore tecnico era Dolph Van der Woude, un lungo spilungone tedesco che avrebbe in seguito progettato il bicilindrico Aprilia a V dei tanti titoli; l’ingegner Gaetano Coco aveva disegnato il telaio ’87, grazie al quale la AF1 tricolore era la più guidabile e precisa del lotto. Loris, terzo sulla griglia, andò in testa dopo poche curve e staccò tutti. E la cosa che il forlivese ricorda meglio è l’urlo di liberazione dopo la bandiera a scacchi: finire la gara senza rotture non era scontato.


Ciutur, che significa “tappo” in romagnolo, era un massiccio trasportatore di mobili che seguiva Loris per affetto. In che ruolo? “quello di Uccio oggi- dice Reggio- il primo di tutti gli Ucci del mondo”. Adesso Montanari fa il nonno, mentre Petracci, lo storico meccanico, ha un ettaro di campagna, gli alberi da frutto e litiga con i malanni del verde. Sono tutti della classe 1948, tutti della stessa terra e legati al loro pilota oggi come allora. E mi è venuto da pensare che l’impresa di quel giorno (e le altre che sarebbero seguite) sia stata, più che il risultato della tecnica, quello dell’affetto che legava il gruppo. Perché anche allora bisognava avere il mestiere in mano, naturalmente, non c’erano meccanici improvvisati o piloti dilettanti nel campionato mondiale; ma la tecnica era piuttosto rudimentale. Quello che a quei tempi faceva la differenza era soprattutto la condizione in cui maturava la gara: se il pilota era motivato e convinto, se poteva fidarsi ciecamente dei suoi meccanici, se aveva riposato bene la notte e poi aveva potuto gustarsi una buona spaghettata all’ora giusta. Loris aveva intorno un gruppo che gli voleva proprio bene, che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui. E giovedì scorso lo ha anche detto: “Mi accorgo che ho sempre previlegiato i rapporti personali. Forse avrei vinto qualcosa in più, guardandomi in giro e cercando il meglio. Ma non rimpiango niente: siamo stati proprio un bel gruppetto”

Nico - Reggiani