Nico Cereghini racconta gli anni Ottanta. Quinta puntata

Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Anni Ottanta, che decennio! Oggi mi occupo di quattro categorie, i Tuboni 50 e gli scooter automatici, le Custom e le GT di lusso. I contrasti sono da record, negli Ottanta, e il grande successo dei cinquantini si specchia nelle enormi moto di lusso | N. Cereghini
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17 luglio 2014

Anni Ottanta, quinta puntata! E viene ancora da dire: che decennio! Oggi mi occupo di quattro categorie, i Tuboni 50 e gli scooter automatici, le Custom e le GT di lusso. I contrasti sono da record, negli Ottanta, e il grande successo dei cinquantini si specchia nelle nuove, enormi, motorone di lusso.

I Tuboni 50, un fenomeno

Oggi i tuboni sono spariti completamente, ma ricordate quanti sogni facevano i ragazzini su questi strani mezzi? Quel telaio così forte faceva pensare all'avventura quasi come le grosse enduro-tourer di oggi. Il Fifty della Malaguti, il Califfone di Rizzato, il CBA e il CB1 della Gilera, il Ciclone della lombarda Garelli, azienda che godeva della passione di Daniele Agrati e vinceva i campionati mondiali della 125 con Nieto, Gresini e Cadalora. Ogni costruttore, anche il più piccolo che montava i ciclomotori in cantina, aveva il suo Tubone in catalogo. Perché era di moda, era facile produrlo e il motore era subito disponibile, bastava andare a Bologna, a prenderlo, dove c’erano le due grandi fabbriche: la Franco Morini, e la Minarelli che dalla fine degli anni Settanta era così forte da avere il suo reparto corse e disputare i GP nelle classi 50 e 125 e vincere titoli con Eugenio Lazzarini e ancora con Angel Nieto.

 

H-D Heritage Softail, 1986
H-D Heritage Softail, 1986

E poi, salendo con la cilindrata, un altro grande fenomeno di quell’epoca furono le Custom. Sembrava che il futuro della moto fosse qui, ogni marchio mise in produzione una Custom per inseguire la moda, apparvero anche molte 125 come la Aprilia Red Rose o la Cagiva Low Rider che poi divenne Blues. E se l’Harley-Davidson come la Moto Guzzi ha costruito proprio allora le basi per serie di grande e duraturo successo, altri modelli sono stati quasi dimenticati. Penso alle Ducati Indiana nelle cilindrate 350, 650 e anche 750, mentre maggiore diffusione ebbero le Morini Excalibur 350 e 501, la Honda con la CX Custom dell’81 e più avanti la bella Shadow 750 (poi sostituita dalla diffusa 600)o la Rebel 450, poi la Suzuki VS 750 Intruder dell’86, affiancata dalla 1.400, la Kawasaki Vulcan 750 che a fine decennio crebbe fino a 1.500. Tanta roba! Attiva la Yamaha: prima con le due XV 500 e 1000, poi con la riuscita 535 Virago apprezzata anche dalle ragazze. E categoria a sé fece nell’85 la strepitosa V-Max 1200, la riuscitissima Cruiser da sprint, 11” netti sui 400 metri da fermo e l’esuberanza dei suoi 145 cavalli. Pochi anni dopo depotenziata a 100 tranne che per gli USA.

Della Guzzi, che provò a customizzare molti dei suoi modelli fin dalla V 35, va detto che già dall’82 proponeva la sua ammiraglia California 1000, e nell’87, quando arrivò questa bella California III, fu un successo vero: portata poi a 1064 cc e dotata dell’iniezione, questa moto è praticamente la base della 1400 attuale.

Dell’Harley mi piace ricordare Carlo Talamo, che è scomparso nel 2002 e proprio nell’84 fondò la Numero Uno rilevando l’importazione delle Harley dai fratelli Castiglioni. Il primo anno furono dieci moto, nel '90 era già arrivato a 900 vendite e quasi subito raddoppiava. Proprio in quell’84, con l’introduzione della Softail Custom dotata di ammortizzatori ben occultati per imitare la linea della rigida Hydra Glide, la casa americana tornava leader oltre i 750 cc. Merito anche del nuovo motore Evo 1.340, ben più avanti in termini di affidabilità e prestazioni. E allora anche da noi si videro circolare sempre più numerose le bicilindriche americane che Talamo seppe descrivere in modo molto originale con le sue famose pubblicità: mi riferisco alle Heritage Softail, alle Electra Glyde; e l’accesso fu facilitato dalla nuova Sportster dell’86, nella cilindrata 883 e poi anche 1.098 per una guida più sportiva. Distribuzione, raffreddamento ad aria e lubrificazione migliorati, trasmissione finale dalla catena alla cinghia in kevlar. Nell’88 arrivò anche per la Sportster l’attuale cilindrata 1.200.

Le moto divennero sempre più monumentali, negli anni Ottanta

E il simbolo di questa crescita dimensionale è una enorme GT, la Honda Gold Wing. Un primo modello, la GL 1000, era già in produzione dal ’76, a dire la verità; però era una quattro cilindri piuttosto spartana che piaceva poco. Invece nel 1980 arriva questa moto prodotta negli stabilimenti Honda dell’Ohio: 1.100 cc con una carenatura iperprotettiva e molto curata, il set di borse, il grande comfort. Da lì il successo che portò poi alla logica evoluzione: 1.200 quattro anni dopo, con lo stereo di serie, e con tutti gli accessori poteva pesare oltre la mezza tonnellata ; nell’88, infine, ecco la GL 1500 con l’inedito sei cilindri.

Honda Gold Wing 1500, 1988
Honda Gold Wing 1500, 1988

La moto pronta-viaggio esisteva dal ’79, da quando la BMW aveva presentato la sua prima RT sulla base del bicilindrico 1000 boxer; più avanti arrivò la RT motorizzata K 100 a quattro cilindri a sogliola e i macina-chilometri europei avevano molta scelta: Suzuki (GS 1100 GK e altre), Kawasaki 1000 GTR, Yamaha Venture 1200, le nostre Guzzi (dalla I-Convert alle varie SP 1000) e Laverda RGS 1000, quasi tutti avevamo in listino una motorona carenata e con le borse.

Le grosse GT come la Gold Wing erano pensate per il mercato americano e fecero da allora categoria a se. Alla Honda (e alla Harley Electra Glide) va affiancata la BMW K 1100 LT arrivata nell’86 con il quattro della RT da 90 cavalli; ha le manopole termiche, l’autoradio e il cuscino per il passeggero fissato al grande bauletto posteriore, sfiora i 215 all’ora. E tra le giapponesi più esagerate di quell’epoca, spesso già arricchite con il controllo delle sospensioni e il cavalletto elettrico, bisogna elencare anche la Kawasaki Voyager 1300, l’unica orientale a sei cilindri, e poi la Suzuki 1400 Cavalcade con la selleria gonfiabile elettricamente e la Yamaha Royal 1200. Tutti modelli molto venduti negli States e poco qui da noi.

E infine gli scooter automatici

Il primo lanciato nell’82, l’apripista, fu il Metropolis della Peugeot, ST 50 e SC 80L; era di derivazione Honda, che era appena entrata al 25 per cento nella proprietà della fabbrica francese: cambio automatico a variatore continuo e la carrozzeria in plastica, fu un bel successo anche da noi prima di diventare ST Rapido nell’85 e infine SV nel ’90. Alla Piaggio non capirono subito che il mondo stava cambiando: la scocca in lamiera e il comando del cambio rotante al manubrio erano diventati di colpo obsoleti e fummo in tanti a scriverlo sui giornali specializzati. «Ma voi non capite niente – ci assicuravano- la Vespa ha superato crisi anche peggiori senza mai cambiare la sua filosofia. Passerà anche questa!». E così, quasi si suicidarono.

Poi arriva l’SH 50 della Honda ispirato al precedente Cub, un riferimento. Nasce nell’84, è motorizzato a due tempi, non consuma troppo, ha l’avviamento elettrico e il miscelatore, e con la sua linea spigolosa conquista i ragazzi. Seguito prima dal modello E, bianco oppure rosso, e poi dall’SH 50H, quello di maggiore diffusione, costruito nello stabilimento di Barcellona: blu o rosso con la pedana grigia.

Allora la Piaggio dovette correre ai ripari e lo fece con la PK 50 dell’82, alla quale due anni dopo seguì la 125 Automatica dotata di frizione centrifuga e variatore idraulico, un sistema complesso che poi venne abbandonato in favore del variatore normale su PK 50 e 125 Plurimatic. Le PK automatiche erano anche dotate di “folle” inseribile con la manopola sinistra; e a sinistra sul manubrio c’era anche la leva del freno posteriore

La crisi di metà anni Ottanta colpì duro e fu allora che la dirigenza perse la testa e uscì con la famosa Cosa dell’88 in tre cilindrate: 125, 150 e 200. Dagli anni Novanta inizierà la vera rivoluzione degli scooterini con il proliferare di tanti modelli italiani, Aprilia in testa, e stranieri. E anche la Piaggio si metterà in riga presentando la Sfera nel 1990.

E chiudiamo con il lungo CN 250 dell’87, monocilindrico quattro tempi raffreddato a liquido, 156 chili e la seduta bassissima: il capostipite dei maxi scooter attuali. Era l’uovo di colombo: la Ducati già nel ’52 proponeva il Cruiser 175, cambio automatico e avviamento elettrico. Ma non ebbe successo, era troppo in anticipo sui tempi...

Alla Prossima!

Guarda la quarta puntata dedicata agli anni Ottanta: le "Dakariane"
Guarda la terza puntata dedeicata agli anni Ottanta: le super sportive
Guarda la seconda puntata dedicata agli anni Ottanta: Le 125 sportive
Guarda la prima puntata sugli anni Ottanta: Un decennio fantastico