Nico Cereghini: “Il primo casco non si dimentica mai”

Nico Cereghini: “Il primo casco non si dimentica mai”
Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Anche se nel mio caso valeva poco ed è durato ancora meno, non mi dispiacerebbe averlo conservato come fanno i piloti veri. E voi, il primo lo ricordate? | N. Cereghini
  • Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
19 luglio 2011

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Il primo casco è come il primo bacio, non si scorda mai. Eppure, per il casco, il mio era forse meglio dimenticarlo: valeva poco, era bruttino, l’avevo preso per necessità; perché un casco ci voleva, anche se l’obbligo sarebbe arrivato tanti anni dopo, però di soldi in tasca ne avevo pochissimi e un bel casco costava parecchio.

 

Il mio caschetto era una scodellina di plastica, così brutto da stringere il cuore e così pericoloso che, se fossi caduto, probabilmente avrebbe fatto il servizio di un berretto

 Beati voi che come primo casco potete ricordare un bell’integrale, magari un Doohan Replica o un Cadalora Replica, o siete così giovani da aver cominciato da un Valentino Rossi Replica con il sole e con la luna. Il mio caschetto era una scodellina di plastica, così brutto da stringere il cuore e così pericoloso che, se fossi caduto, probabilmente avrebbe fatto il servizio di un berretto. Le omologazioni degli anni Sessanta, se c’erano, erano una barzelletta, benché già si vedessero in giro i caschi in vetroresina e i primi caschi jet. La marca era Everest, produzione italiana, colore della calotta grigio metallizzato tendente all’azzurro; interni, paraorecchie e sottogola in similpelle, chiusura con una normale fibbia di metallo. Per la crociera interna c’erano due corde da tapparella incrociate. Gli occhiali li comprai tempo dopo, usati.

Avrei preferito un casco Cromwell come i motociclisti più evoluti. Anche quello era a scodella, certo, però era sulla testa dei migliori piloti, Agostini compreso; era fatto in Inghilterra, che era la mecca della moto, lì lo definivano “a budino” e rispetto al mio Everest pesava almeno il doppio; dunque, ad occhio, doveva essere ben più sicuro. Aveva interni e sottogola in pelle, e la chiusura era già a doppio anello come si usa oggi.

Un casco ci voleva: per farmi vedere dalle ragazze, ma anche per sentirmi più sicuro quando andavo a fare i salti alla montagnetta di S. Siro, a Milano, con la mia Gilera Giubileo trasformata regolarità. Una 98 usata che avevo portato via, al doppio del suo valore, da un concessionario famoso. Quanto ero ingenuo: otto mesi di duro lavoro nel negozio di uno zio per una moto che pareva bella ma era già allo stremo. La Gilera sarebbe durata una sola stagione.

E anche il casco Everest, del resto. Pochi mesi e già si staccava la guarnizione di plastica incollata sul bordo della calotta, mentre le parti in similpelle si crepavano allegramente qua e là. Per fortuna, mi dico oggi, non picchiai mai la testa sull’asfalto. Chi più spende, meno spende. Così dice il detto popolare, ma i poveri non lo possono seguire. E voi? Com’era il vostro primo casco? Era già bello oppure avete dovuto accontentarvi? E lo avete conservato come fanno i piloti professionisti?