Moteros. Storie di motociclisti colombiani

Moteros. Storie di motociclisti colombiani
Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
La Feria de las dos ruedas è stata l'occasione per conoscere una realtà motociclistica diversa dalla nostra. Ma legata dalla stessa passione
  • Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
17 giugno 2016

La pendenza media sarà del venti per cento, forse pure del trenta in alcuni tratti che mi restano sullo stomaco: rinchiuso in un taxi il cui conducente si diverte lungo questa strada tortuosa che dall'aeroporto scende fino alla città di Medellin; ho già il mal di mare e non so dire se per la rabbia di non essere in moto o per le curve e le frenate.

Incrociamo decine di motociclette con suoni raccapriccianti da scarico sfondato e gas a fondo corsa, un profondo rumore d'aspirazione, come una gola asmatica e avida d'aria, rende tutto un po' più epico nell'ideale per un motore endotermico, clima notturno della città dell'eterna primavera: 20 gradi, l'umidità che scende rispetto al giorno e la polizia meno intransigente.

Chi dai primi metri percorsi in terra colombiana si aspettava un malfamato rifugio di moteros a cavallo di accrocchi improbabili, viene invece travolto da un'accoglienza emozionante: decine e decine di veri motociclisti nottambuli sono fermi ai lati della strada, nelle aree di servizio o nelle piazzole dalle quali di giorno le Ande danno spettacolo.

Sono in Colombia da venti minuti e ho già fatto amicizia con il tassista, si chiama Hector, ha la mia stessa età (45) e quando gli chiedo di fermarsi accanto ad uno di quei capannelli motociclistici a lato della strada, dice “it's at your own risk” ma sorride. Così il taxi si ferma lungo la strada appena oltre un gruppo di una decina di motociclisti: per raggiungerli attraverso a piedi la strada, perché loro sono fermi nella carreggiata ascendente. C'è caldo, un caldo buono, di quelli che non ti assalgono alla gola, ma l'accoglienza è in linea con l'orario e diffidente, mi viene un po' di fifa. Nessuno di loro parla inglese, tutti hanno una bottiglia di birra in mano e dall'odore forse qualcuno sta fumando qualche additivo proibito.

Un po' di spagnolo lo conosco, con l'inglese me la cavo ma è col siciliano che riesco a fare breccia e accattivarmi la loro benevolenza; la fortuna aiuta i sinceri illudendo gli audaci, e dopo un interessato sguardo alle loro AKT 200 mi viene offerta una birra: ma è smezzata e declino, sembra che qui mangiare e bere le cose lasciate dagli altri sia un'apprezzata consuetudine sociale; mi viene generosamente offerto qualcos'altro: grazie, la prossima volta.

Quando qualcuno sale sulla propria moto e lascia la compagnia lasciandomi il dubbio che vada a chiamare rinforzi, la mia ansia sale un po', e cerco con lo sguardo Hector venti metri più in là, che sorride. Allora la dico tutta e confesso di essere un appassionato motociclista appena arrivato in Colombia per vedere la Feria de las 2 Ruedas: lì partono rumorosi commenti e finalmente qualcuno vuota il sacco sorridendo. La mia prima domanda è “com'è essere motociclisti in Colombia?”. Non ne farò altre perché di lì in poi i motociclisti di strada saranno inarrestabili.

Il numero di targa replicato sul casco, obbligatorio per la legge colombiana
Il numero di targa replicato sul casco, obbligatorio per la legge colombiana

La Colombia cerca con grande determinazione di scrollarsi di dosso l'ingombrante, e a mio avviso immeritata, immagine di paese pericoloso e poco democratico, ma qualcosa di strano in effetti c'è e sta nella parte posteriore dei caschi di tutti i motociclisti: il numero di targa della motocicletta che stanno cavalcando; inoltre fino a poco tempo fa era vietato trasportare un passeggero di sesso maschile e, in alcune zone, un qualsiasi passeggero. Tutto questo perché gli omicidi da parte di commando criminali a bordo di rapide motociclette erano all'ordine del giorno (il giudice Lodono che indagava sul narcotraffico fu ucciso nel 1986 da sicari di Escobar a bordo di una motocicletta, per esempio).

Essere motociclisti a Medellin fino a poco tempo fa significava fare i conti con una regolamentazione severa, a tratti ossessiva e sopratutto, mi raccontano i moteros, misurarsi contro le angherie della Policia National; in città viaggiano 650.000 mezzi a due ruote, circa uno ogni quattro abitanti, che rappresentavano principalmente un problema di ordine pubblico perché spesso usati dai criminali per delinquere; questo giustificava una repressione a volte brutale, condita da soprusi e corruzione. Non era semplice essere moteros ma non era nemmeno possibile fare diversamente. Era un circolo vizioso: i moteros sfuggivano ai controlli per paura di essere vittime di abusi di potere, la Policia National diventava sempre più intransigente e aggressiva. Fino a quando, mi raccontano, con gli ultimi due presidenti, Uribe e Santos, si cerca di voltare pagina.

Il punto di svolta è stata la costruzione della funicolare, che in soli venti minuti porta gli abitanti delle colline fino in centro: credo che sorvolare le variopinte baracche che ospitano buona parte dei due milioni e mezzo di abitanti, e fermarsi per un po' a livello strada, sia un buon modo per capire qualcosa della gente di Medellin; ad ogni modo, i ragazzi scommettevano che non sarebbe durata più di sei mesi, che i vandali l'avrebbero distrutta e resa inutilizzabile.

Invece è stata forse l'opera più importante per agganciare la coesione tra i vari strati della popolazione cittadina, perché prima della costruzione della metro cable per raggiungere il posto di lavoro gli abitanti della popolare periferia impiegavano due ore e mezzo; con la funicolare a superare un Rio Medellin che puzza come una fogna, la vita diventa più semplice, le sirene della criminalità meno ammalianti, il senso di avere un governo che pensa anche ai più poveri, a quelli che comprano le moto più piccole ed economiche, è più forte e la rabbia si calma.

La "Metro Cable" di Medellìn
La "Metro Cable" di Medellìn

Dall'altro lato della barricata viene intrapresa una riforma della polizia: i poliziotti iniziano a ricevere stipendi adeguati ai rischi che corrono, e di colpo il tasso di corruzione si abbassa drasticamente, ancora qualche anno e l'obbligo di portare un passeggero maschio viene abolito in molte zone del paese, e se giri in motocicletta non sei più, agli occhi della gente, un teppista o un criminale. Ora puoi tranquillamente andare la notte a vivere la tua passione per la moto sulla strada, senza che la polizia ti faccia troppo male; principalmente, ormai, l'unico problema sono i radar, ma anche qui la situazione è fluida: anche se una multa per eccesso di velocità è di circa 100 dollari (quando lo stipendio medio non arriva a 400), sembra che sia possibile contrattare e ottenere uno sconto anche del 50%.

Passata l'una e trenta di notte, io ho sulle spalle un giorno e mezzo di voli aerei e la mia lucidità vacilla. Così delle ultime cose che i moteros mi raccontano non è che mi fidi tanto, sostengono che la leva militare non sia una passeggiata, e mi chiedo cosa c'entri con le moto: obbligatoria per 18 mesi, senza di essa non è possibile trovare un posto nel mondo del lavoro, poiché il congedo dal servizio di leva è un requisito necessario per poter essere assunti; purtroppo l'esercito sbatte i ragazzi in prima linea a combattere la guerra quarantennale contro le Farc e il narcotraffico, e alcuni tornano a casa in un cassa, a diciannove o vent'anni. Anche se nel corso degli ultimi mandati presidenziali si è fatto molto per raggiungere una pace interna, il problema rimane vivo.

Ho la testa in un vortice, forse sarà anche l'aspirare passivamente il fumo di quelle erbe, o il lungo viaggio fino a qui, o ancora l'ora tarda assieme alle gambe delle ragazze colombiane, ma mi manca un po' il fiato. Penso che possa bastare. Foto non gradite, nemmeno col cellulare: rispondono che se voglio fotografare motociclisti basta venire qui il sabato o la domenica mattina, quando Harley-Davidson e BMW e i loro motociclisti che partono per un week-end o per un giro la fanno da padrone, ma stanotte è il momento delle AKT, delle Pulsar, delle Honda 180 truccate.

Torno in macchina da Hector, cui chiedo scusa e mi offro di pagare il tempo perso ma lui niente. Improvvisamente si mette a parlare:

«Anche io andavo in moto quando ero giovane, eravamo incoscienti, usavamo le moto per fare colpo sulle ragazze e dicevamo che le moto erano come le mucche: entrambe have a pussy on their back. Ma era troppo pericoloso, perché potevi essere scambiato per un criminale. Due cose erano molto pericolose in Colombia, quando io ero un ragazzo: le moto e il calcio, tutti e due i mondi avevano a che fare con la criminalità organizzata. Così ho smesso sia di giocare a calcio che di andare in moto. Ora la Colombia è molto cambiata, e io ho un figlio di vent'anni che ho mandato a studiare negli Stati Uniti».

Avevi paura che iniziasse ad andare in moto o che si mettesse nel giro del calcio?

«No, avevo paura che partisse per fare il militare».

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