Massimo Clarke: "I motori V2 trasversali, Guzzi e non solo"

Massimo Clarke: "I motori V2 trasversali, Guzzi e non solo"
Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
Da molti anni questo schema è sinonimo di Moto Guzzi, ma anche altri costruttori lo hanno adottato in passato. Ecco una panoramica che spazia dall'Europa al Giappone | M. Clarke
  • Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
11 dicembre 2014

I motori a V con due cilindri disposti trasversalmente rispetto al telaio della moto (e quindi con l’asse di rotazione dell’albero a gomiti longitudinale) hanno diversi punti di forza, a cominciare dalla eccellente possibilità di raffreddamento, se questo è ad aria. Le teste e i cilindri vengono infatti lambiti direttamente dal vento della corsa (ovvero dalla “corrente” d’aria generata dall’avanzamento del veicolo), senza che ci sia alcun elemento di disturbo davanti ad essi, come parti del telaio o il parafango e la ruota anteriore. Inoltre, con la V di 90° questi motori sono bene equilibrati. Risultano infatti perfettamente bilanciate tanto le forze del primo ordine quanto le coppie.

I bicilindrici con questa architettura hanno una notevole diffusione, ma da molti anni a questa parte vengono prodotti da una sola casa, la nostra Guzzi, per la quale sono ciò che i motori a V longitudinale di 45° sono per l’Harley-Davidson e la distribuzione desmodromica è per la Ducati. Questa architettura rende infatti inconfondibili le moto del costruttore di Mandello del Lario ed è essenziale per conferire loro una personalità assolutamente unica.

 

Moto Guzzi V7 700, 1967
Moto Guzzi V7 700, 1967

La V7 che fece sensazione

Quando è stata presentata, attorno alla metà degli anni Sessanta, la V7 ha fatto davvero sensazione. Non solo segnava l’ingresso della Guzzi nel settore delle bicilindriche di grossa cilindrata, ma proponeva anche uno schema costruttivo diverso da tutti gli altri. Non si deve pensare però che fosse inedito. Diversi anni prima c’erano stati infatti altri esempi di motori a V trasversale; alcune moto che li impiegavano erano rimaste allo stadio di prototipo mentre altre erano state prodotte in serie, anche se non in numeri particolarmente elevati. Non avevano lasciato un segno profondo, al punto che oramai ben pochi si ricordavano di loro.

Risale al 1923 la Finzi di 600 cm3, della quale si hanno notizie molto frammentarie. Costruita a Voghera, è stata realizzata in pochi esemplari e solo per un breve periodo. Il motore aveva un alesaggio di 69 mm e una corsa di 80 mm e la distribuzione con la valvola di scarico in testa e quella di aspirazione laterale, come su quasi tutte le Guzzi prodotte fino quasi alla metà degli anni Trenta (Normale, Sport 14, Sport 15…). L’angolo tra i cilindri era di soli 36° e la trasmissione finale era a catena. Nello stesso anno a Praga la Walter, che aveva ben altre dimensioni, ha messo in produzione una 750 con distribuzione ad aste e bilancieri realizzata con questo schema. Gli esemplari costruiti sono stati principalmente forniti all’esercito cecoslovacco. Da questa moto tre anni dopo è stata anche ricavata una versione da corsa di 996 cm3.

 

La bellissima Lambretta Gran Premio 250 ha fatto la sua comparsa nel 1951. Il motore era un V2 trasversale con distribuzione monoalbero comandata da alberelli e coppie coniche

Anche se non ha avuto una particolare diffusione ed è rimasta in listino solo per un paio di anni, la Panthette, costruita dalla Phelon & Moore nel 1926 su progetto del famoso tecnico Granville Bradshaw, è stata una realizzazione di sicuro interesse tecnico. Il motore aveva una cilindrata di 250 cm3; la V formata dai due cilindri era di 50° e la distribuzione era ad aste e bilancieri, con due valvole inclinate in ogni testa.

Nel 1930 è stata la AJS a pensare a una moto dotata di una architettura di questo genere, realizzando un prototipo di 500 cm3, con distribuzione a valvole laterali e V tra i due cilindri di 50°. L’interesse suscitato è stato notevole, ma la direzione della azienda non ha ritenuto opportuno passare a una produzione di serie; il progetto e le attrezzature già allestite sono così andati a finire in Russia.

Negli anni Trenta l’attività delle case motociclistiche tedesche è stata molto intensa e si è concretizzata nella realizzazione di molti nuovi modelli. Uno di essi, costruito dalla Ardie su progetto di Richard Kuchen attorno alla metà del decennio era dotato di due cilindri a V trasversale di 60°. La cilindrata era di 600 cm3 e la distribuzione era ad aste e bilancieri. Pure in questo caso però non si è usciti dallo stadio di prototipo.

 

La versione americana. E la Lambretta

Su richiesta dell’esercito americano, nel 1941 la Indian ha prodotto un migliaio di esemplari del modello militare 841, azionato da un bicilindrico a V trasversale di 737 cm3, con distribuzione a valvole laterali e trasmissione finale ad albero. La potenza era di 25 cavalli.

La bellissima Lambretta da Gran Premio di 250 cm3, progettata dall’ing. Pier Luigi Torre, ha fatto la sua comparsa nel 1951. Il motore era un bicilindrico a V trasversale con distribuzione monoalbero comandata da alberelli e coppie coniche. Le misure caratteristiche erano perfettamente quadre (54 x 54 mm) e la potenza veniva indicata in 29 cavalli a 9500 giri/min, valore elevatissimo per l’epoca. Purtroppo questa moto non ha potuto essere messa a punto e venire quindi impiegata nelle competizioni come avrebbe meritato (è stata schierata solo in una gara d’assaggio, nella quale si è comportata molto bene); la Innocenti era talmente presa con la produzione di serie che a un certo punto ha cancellato qualunque programma agonistico. È stato un vero peccato perché la 250 era una moto dagli elevati contenuti tecnici e dal disegno molto raffinato.

 

Victoria Bergmeister, 1952
Victoria Bergmeister, 1952

Nel 1952 la Victoria, grande casa di Norimberga, ha presentato la Bergmeister, azionata da un bicilindrico a V trasversale di 64°, che è stata prodotta fino al 1957 ottenendo una discreta diffusione. Il motore, progettato dal grande Richard Kuchen, aveva un alesaggio di 64 mm e una corsa di 54 mm, la distribuzione ad aste e bilancieri ed erogava 21 cavalli a 6300 giri/min.
Tra le particolarità di maggiore interesse vanno segnalate la straordinaria pulizia estetica, con il carburatore carenato e i condotti di ammissione incorporati nelle fusioni non solo delle teste ma anche dei cilindri (OK per il look, ma mica tanto per le prestazioni…). Era inoltre interessante l’adozione di catene per collegare i due alberi del cambio (al posto degli usuali ingranaggi).

 

Marusho Lilac LS-18, 1959
Marusho Lilac LS-18, 1959

Giappone la Marusho-Lilac

In Giappone negli anni Cinquanta erano molte le aziende che si dedicavano alla fabbricazione di mezzi a due ruote, ispirandosi in molto casi alle moto tedesche (anzi, talvolta le copiavano direttamente…). La Marusho era entrata nel settore nel 1950 e ben presto aveva ampliato la sua gamma, introducendo dal 1959 anche alcuni modelli con motore a V trasversale di 66° e trasmissione finale ad albero, che commercializzava con il marchio Lilac. I pezzi forti della sua produzione avevano una cilindrata di 250 cm3, ma questa casa, che aveva sede a Hamamatsu (dove si trovava anche la Honda), ha realizzato anche alcune moto di 125 cm3 aventi questa stessa architettura e ha estrapolato dai 250 anche una versione di 300 cm3. Proprio all’inizio degli anni Sessanta ha anche realizzato un paio di modelli nei quali la V tra i due cilindri era di 90°. La produzione totale delle bicilindriche Lilac, che sono state anche esportate negli USA, è stata dell’ordine di 10.000 unità. Le ultime sono state vendute nel 1966-67, ma la fabbricazione era ormai ridotta a pochi esemplari annui già da diverso tempo.

 

La Guzzi, dopo anni di magra causati dalle disastrate condizioni del mercato motociclistico, è tornata prepotentemente alla ribalta con la V7, presentata nel 1965 ed entrata in commercio quasi due anni dopo. Il bicilindrico a V di 90° che la azionava aveva una cilindrata di 703 cm3, ottenuta abbinando un alesaggio di 80 mm con una corsa di 70 mm, ed erogava 40 cv a 5000 giri/min. Questo motore, nato da un progetto del mitico ing. Giulio Cesare Carcano, era straordinario per la razionalità e per la robustezza ed è stato il capostipite di una grande famiglia di bicilindrici; i suoi discendenti sono tuttora in produzione ed equipaggiano modelli di notevole successo. Tra le caratteristiche salienti spiccavano il basamento a tunnel, i cilindri con canna cromata, l’albero a gomito monolitico che lavorava interamente su bronzine e le camere di combustione emisferiche (l’angolo tra le due valvole alloggiate in ogni testa era di 70°). La distribuzione era ad aste e bilancieri, con albero a camme collocato nella parte superiore del basamento e azionato da una coppia di ingranaggi disposta anteriormente.

Guzzi California Audace, 2014
Guzzi California Audace, 2014

Nel corso della sua evoluzione questo motore ha visto la sua cilindrata aumentare più volte (è arrivata addirittura a superare i 1000 cm3, e non di poco…) grazie a incrementi tanto dell’alesaggio quanto della corsa e la sua potenza crescere fino a risultare più che raddoppiata rispetto all’originale. Tra le modifiche più significative apportate allo schema originale nel corso del processo evolutivo, va segnalato il passaggio a una catena per il comando dell’albero a camme, avvenuto nel 1973. Per quanto riguarda i cilindri, nel 1975 sono apparsi quelli con la canna in ghisa e all’inizio degli anni Ottanta quelli con canna integrale munita di riporto al nichel-carburo di silicio. In seguito sono comparse versioni a quattro valvole per cilindro di questi motori e distribuzioni con albero a camme in testa.

 

Nel disegno del Guzzi V50 sono visibili il basamento diviso in due parti e le due valvole parallele alloggiate in ogni testa
Nel disegno del Guzzi V50 sono visibili il basamento diviso in due parti e le due valvole parallele alloggiate in ogni testa

La serie "piccola" di Moto Guzzi

Con le V 35 e V 50 (in produzione dall’autunno del 1977) è entrata in scena una nuova famiglia di bicilindrici Guzzi a V trasversale di 90°, la cui progettazione è dovuta a Lino Tonti. Tra le differenze più significative, rispetto ai motori di maggiore cilindrata, vanno segnalate la disposizione delle valvole, parallele e non più inclinate, l’adozione di camere di combustione tipo Heron, interamente ricavate nel cielo dei pistoni, e il passaggio a un basamento in due parti, con piano di unione orizzontale. Con il passare degli anni anche questi motori hanno subito una notevole evoluzione, che ha portato non solo al raggiungimento di cilindrate sempre più elevate, ma anche alla realizzazione di nuove teste con camere di combustione emisferiche e alla adozione di quattro valvole per cilindro. Varie versioni sviluppate partendo dal progetto originale di Tonti sono tuttora in produzione e vengono impiegate con piena soddisfazione da migliaia di appassionati.

 

 

Le CX di Honda, anche Turbo

Honda CX 650 Turbo, 1982
Honda CX 650 Turbo, 1982

Tra il 1978 e il 1986 anche la Honda ha prodotto un motore con due cilindri a V trasversale, di notevole livello tecnologico, in due diverse cilindrate e in versioni sia aspirata che turbo. La prima moto che lo ha impiegato, nella variante base di 500 cm3 (ottenuti abbinando un alesaggio di 78 mm con una corsa di 52 mm) è stata la CX 500. Tra le caratteristiche più interessanti di questo bicilindrico vi sono la V di 80°, il raffreddamento ad acqua e la distribuzione a quattro valvole per cilindro, azionate da aste e bilancieri (con l’albero a camme collocato nella parte superiore del basamento e mosso da una catena). La frizione era piazzata anteriormente e il cambio era collocato nella parte inferiore del basamento. La potenza veniva indicata in 50 cavalli a 9000 giri/min. La versione di maggiore cilindrata, denominata CX 650, aveva un alesaggio di 82,5 mm e una corsa di 63 mm. Presentata nel 1982, è entrata in produzione l’anno successivo, con una potenza di 65 CV a 8000 giri/min. Di entrambi questi motori è stata realizzata una variante sovralimentata mediante turbocompressore, con potenze rispettivamente di 76 e di 100 cavalli.