Ma chi è il vero fighetto?

Ma chi è il vero fighetto?
Alberto Capra
L'autore risponde alle perplessità dei nostri lettori. Perché, in questo momento storico, il fighetto che si rispetti è quello qui descritto
2 luglio 2015

È passato qualche mese da quando questa rubrica ha mosso i primi passi su moto.it. In queste settimane, molti dei vostri commenti si sono incentrati su due questioni: primo, i veri fighetti sono ben altri da quelli di cui parlate; secondo, ma che vi hanno fatto quelli con le special?

Partiamo dalla prima delle due osservazioni. Alcuni di voi ritengono che l’identikit del perfetto fighetto corrisponda a un’immagine del tutto diversa da quella che spesso scherzosamente rappresentiamo. Si tratta di gente con un sacco di soldi, che compra moto costosissime pur non essendo mai stata appassionata e per cui la moto altro non è se non l’ennesimo degli status symbol.

Fino a non molto tempo fa, in effetti, questa descrizione era in grado di rappresentare piuttosto accuratamente una certa tipologia di motociclista. Le cose, tuttavia, sono cambiate non poco. Che vi piaccia o no, i più grandi raduni nati negli ultimi anni non hanno ad oggetto le supersportive e nemmeno le grandi cruiser americane o le maxi “suv” che stanno in cima alle vendite.

Le più grandi manifestazioni, quelle che ricevono l’attenzione della stampa, quelle in cui la gente va per mettersi in mostra, sono quelle in cui a ritrovarsi sono gli amanti delle café racer, delle scrambler, dei bobber e di tutta quell’infinità di sottocategorie nelle quali sono variamente suddivise le moto, per lo più d’annata, reinterpretate e customizzate secondo il gusto moderno. È qualcosa che probabilmente ha a che fare col vintage e con l’impatto che la diffusione di questo tipo di immaginario ha avuto sull’estetica di un’infinità di prodotti.

È agli amanti di queste moto che si rivolgono le nuove linee realizzate dalle più importanti case di abbigliamento tecnico, così come i concept store nati nelle città più attente all’evolversi delle nuove tendenze. Sappiamo bene che tra gli amanti di questo tipo di moto c’è anche chi è mosso da un’autentica passione. Ciò non toglie che quel mondo, quel settore, sia oggi al centro di una particolare attenzione, con buona pace di chi, per questo, si sente in qualche maniera defraudato della sua di passione.

Il fighetto con “il” GS è un po’ demodé, tutto qui. Vive e lotta in mezzo a noi ma si è in qualche maniera normalizzato, ammansito. Il figlio di papà con la supersportiva da quarantamila Euro passa soltanto per mona (come si dice dalle mie parti), non serve infierire.

E qui si arriva al punto numero due. Nessuno ce l’ha con le special, con chi le costruisce o con chi le ama semplicemente. Quello che a noi interessa è poter scherzare sulla nauseante retorica che si è creata attorno ad un mondo che, oggi, gode – banalmente – di troppa attenzione. C’è troppa vanità, troppa presunzione, troppa incapacità di prendersi un po’ più alla leggera, nel motociclismo in generale e attorno a questa nicchia in particolare.

Potremmo scherzare sugli amanti delle moto sportive, con le loro tute ultra professionali, in coda sul lungolago, o sui bikers nostrani, a bordo di chopper pensati per le highway americane e costretti sull’Appennino emiliano, o sui professionisti con le borse per la Parigi-Dakar, per andare fino al lavoro, ma questa rubrica non riguarda loro. Magari lo farà in futuro e fin da adesso preghiamo chiunque passi da qui di non sentirsi offeso.

L’abbiamo detto nella prima puntata. La nostra, in fondo, in fondo, è tutta invidia. Come l’amico bello che si presenta in compagnia dopo aver passato due ore allo specchio: un paio di sberle sul collo se le merita sempre. Perché si può scherzare su tutto e su tutti. Anche sui nostri amici fighetti.