Le valvole? Se serve mettiamole al contrario

Le valvole? Se serve mettiamole al contrario
Massimo Clarke
  • di Massimo Clarke
La fantasia dei tecnici si è sbizzarrita nei sistemi di distribuzione. Con risultati spesso significativi come sulla Fallert del Bol d'Or o su una Ducati sperimentale degli anni 70. Fino alla razionale BMW boxer del 1993
  • Massimo Clarke
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1 settembre 2015

Di schemi che prevedono una sola camma per muovere una valvola di aspirazione e una di scarico si è già parlato in un articolo di questa stessa serie. A questo link potete invece trovare l'ultimo nel quale si parla anche del sistema Unicam Honda.
In questa sede può essere opportuno ricordare una famiglia di motori a 12 cilindri a V con distribuzione monoalbero, nei quali l’unico albero a camme di ciascuna testa azionava le 24 valvole ivi alloggiate per mezzo di 12 eccentrici soltanto. Ognuno di questi ultimi agiva infatti su due bilancieri a dito muniti di rullo, che comandavano rispettivamente una valvola di aspirazione e una di scarico. Si tratta dei motori Daimler-Benz d’aviazione a V invertito (cioè con le teste rivolte verso il basso) della “serie 600” costruiti dal 1934 al termine della seconda guerra mondiale. Il DB 605, apparso nel 1941, è stato prodotto in oltre 42.000 esemplari. Aveva una cilindrata di 35,7 litri e erogava 1.475 cavalli a 2800 giri/min nelle due prime versioni, saliti in seguito a 1550 e infine a 1800.

Una realizzazione di grande interesse da parte di una azienda di piccole dimensioni, che si dedicava alla produzione di alcune parti speciali per BMW, ha visto la luce nel 1978. Si trattava di un bicilindrico costruito da Werner Fallert, che per il progetto si è rivolto a Ludwig Apfelbeck, il quale già negli anni Sessanta aveva collaborato con la casa di Monaco allo sviluppo di motori con distribuzioni innovative, destinati a motori di alte prestazioni. Diversi appassionati probabilmente ricorderanno i quadricilindrici in linea studiati per le monoposto di Formula Due, con basamento di serie e testa Apfelbeck con camere di combustione emisferiche, valvole diametrali e otto condotti (due di scarico e due di aspirazione, disposti verticalmente).


 

In ogni testa del bicilindrico Fallert c’era un solo albero a camme, dotato di un unico eccentrico che azionava tutte e quattro le valvole tramite bilancieri sdoppiati
In ogni testa del bicilindrico Fallert c’era un solo albero a camme, dotato di un unico eccentrico che azionava tutte e quattro le valvole tramite bilancieri sdoppiati

Per Fallert il progettista austriaco ha disegnato un bicilindrico “quasi” boxer, con una distribuzione a quattro valvole azionate da un sistema di comando davvero fuori degli schemi. Il motore aveva il basamento in lega di magnesio e i cilindri a 170°. In altre parole, ognuno di questi ultimi puntava verso l’alto di 5°, cosa che contribuiva a migliorare la possibilità di inclinazione della moto in curva. In ogni testa erano alloggiate quattro valvole, disposte su due piani inclinati tra loro di 62°, che venivano azionate da due bilancieri sdoppiati, a loro volta mossi da una sola camma. Dunque, un unico eccentrico comandava tutte e quattro le valvole!

Nella parte superiore del basamento vi era un corto albero ausiliario dotato di un ingranaggio conico che comandava due alberelli, i quali portavano il moto alle teste. In ciascuna di queste vi era un albero a camme munito di un solo eccentrico, azionato dal relativo alberello per mezzo di una coppia conica. Il sistema consentiva di realizzare teste a quattro valvole dotate di una notevole compattezza. Senza dubbio l’ing. Apfelbeck amava la bella meccanica e Werner Fallert aveva una straordinaria passione e sapeva effettuare anche le lavorazioni più complesse…

Il motore aveva una cilindrata di 1.000 cm3 ed erogava oltre 110 cavalli a un regime dell’ordine di 8000 giri al minuto. La versione da competizione, che si è imposta in varie corse in salita e ha dato una buona prova di sé anche in una edizione del Bol d’Or, disponeva di circa 122 cavalli. Questo bicilindrico, che è stato installato in una ciclistica appositamente realizzata, ha continuato ad essere sviluppato fino al 1981. La moto aveva una velocità di punta di circa 260 km/h.

Dalle camme ai dischi

In una categoria a se stante rientrano i sistemi di distribuzione che al posto degli usuali alberi a camme impiegano dischi con risalti frontali, ovvero camme “a tazza”. Dopo alcune proposte nel periodo pionieristico, negli anni Venti sono stati messi in produzione due interessanti motori che impiegavano questa soluzione. In Inghilterra la Chater-Lea ha costruito un certo numero di monocilindrici di 350 cm3 con una distribuzione che prevedeva un alberello verticale, parallelo al cilindro, alla cui estremità superiore erano montati, uno sopra l’altro, due dischi con camme frontali, ognuno dei quali azionava una valvola agendo su di un bilanciere a due bracci. Nello stesso 1926 in Germania ha fatto la sua comparsa il motore “K”, progettato dal grande tecnico Richard Kuchen, nel quale l’alberello aveva alla estremità superiore un unico disco dotato di due “piste” concentriche, ognuna delle quali munita di una camma frontale. Pure in questo caso l’azionamento delle due valvole era ottenuto per mezzo di bilancieri a due bracci. Un piccolo numero di questi motori sciolti è stato venduto anche in Italia.

 

Il motore tedesco “K” utilizzava un unico disco, nel quale erano ricavate due piste concentriche con relative camme frontali, per azionare le due valvole mediante bilancieri a due bracci
Il motore tedesco “K” utilizzava un unico disco, nel quale erano ricavate due piste concentriche con relative camme frontali, per azionare le due valvole mediante bilancieri a due bracci

Il sistema con alberello e disco con camme frontali consente di ottenere, con un costo relativamente contenuto e una apprezzabile semplicità complessiva, risultati abbastanza vicini a quelli conseguibili con un singolo albero a camme in testa. Il disco ruota e a un certo punto la camma frontale (un risalto avente una conformazione accuratamente studiata) incontra il pattino del bilanciere e lo solleva, determinando così l’apertura della valvola. Una distribuzione monoalbero però è più adatta al conseguimento di prestazioni più elevate sia per la maggior libertà a livello di profilo delle camme (tra l’altro più agevolmente lavorabili) che per il fatto di consentire l’impiego di bilancieri più leggeri.

Dopo il termine della seconda guerra mondiale la fabbrica di Arco di Trento del gruppo Caproni, in precedenza impegnata in campo aeronautico, si è dedicata al settore motociclistico (tra l’altro è stata anche fornitrice della Ducati all’epoca del Cucciolo). Dalle sue strutture produttive è uscito il famoso Capriolo, un monocilindrico di 75 cm3 che avuto un grande successo e che era caratterizzato dalla distribuzione con camma a tazza. In questo caso veniva impiegato un unico disco con due “piste” concentriche (una per ciascun bilanciere). La robusta e brillante motoleggera, apparsa nel 1951, aveva il telaio in lamiera stampata e il cambio a sinistra, soluzioni tipiche della scuola teutonica. Non è fuori luogo quindi pensare che il progetto originale (relativo a una versione di 50 cm3) sia stato tracciato in Germania. O forse che su di esso ad Arco abbiano lavorato uno o più tecnici tedeschi. Tra l’altro pare che sui primi esemplari le posizioni di apertura e di chiusura del rubinetto del serbatoio fossero indicate rispettivamente dalle scritte “offen” e “zu”. Personalmente ho una mezza idea che ci possa essere stato lo zampino dell’ufficio tecnico Kuchen.

 

Nei motori con cilindri orizzontali contrapposti e albero a gomiti con asse di rotazione longitudinale, per consentire una adeguata possibilità di inclinazione della moto in curva è importante che le teste abbiano un ingombro contenuto. Per questa ragione, quando si è trattato di sviluppare nuovi modelli a quattro valvole per cilindro, per i suoi boxer all’inizio degli anni Novanta la BMW ha sviluppato una distribuzione di tipo particolare. Lo schema adottato prevedeva un albero a camme con due eccentrici posto nella parte inferiore di ogni testa, che azionava le valvole per mezzo di punterie a bicchiere, aste talmente corte da ridursi a semplici puntalini e bilancieri sdoppiati (cioè a tre bracci). Questa soluzione molto razionale, del tipo CIH (cam in head), ha consentito di realizzare teste molto compatte, che sono state impiegate con grande successo su tutti i motori boxer a quattro valvole per cilindro della casa bavarese fino al 2007, quando ha fatto la sua comparsa la prima versione della distribuzione bialbero, sulla HP 2 Sport.

 

Una chicca firmata Ducati

La foto mostra una testa sperimentale a quattro valvole realizzata all’interno della Ducati nei primissimi anni Settanta con uno schema che prevede due alberi a camme, piuttosto ravvicinati, che agiscono su bilancieri a due bracci
La foto mostra una testa sperimentale a quattro valvole realizzata all’interno della Ducati nei primissimi anni Settanta con uno schema che prevede due alberi a camme, piuttosto ravvicinati, che agiscono su bilancieri a due bracci

Dei motori che hanno adottato uno schema del tipo “monoalbero sdoppiato” si è già parlato, nel primo servizio dedicato ai sistemi di distribuzione inconsueti. Qui però vorrei solo accennare a una “chicca”, realizzata in unico esemplare dalla Ducati nei primissimi anni Settanta, quando stava valutando l’eventuale possibilità di dotare di teste a quattro valvole i suoi motori. È stata provata su di un monocilindrico e la distribuzione è comandata da un alberello con coppie coniche alle due estremità, come su tutti i motori della casa bolognese dell’epoca. In Ducati esistono alcuni disegni di questa testa. Io ho avuto a suo tempo l’occasione di fotografarla, ma non ricordo né dove né quando…

Come si può notare nell’immagine qui sopra, la coppia conica è collegata ai due alberi a camme, estremamente ravvicinati, da una terna di ingranaggi cilindrici. Le valvole vengono azionate da quattro bilancieri a due bracci (i cui perni vengono inseriti in fori ciechi dal lato opposto a quello ove si trovano gli ingranaggi). Lo schema è quindi analogo a quello delle teste monoalbero dell’epoca, solo che in questo caso ci sono due alberi a camme. Non si tratta pertanto di una distribuzione bialbero vera e propria ma in effetti di una del tipo detto “monoalbero sdoppiato”, anche se i due alberi a camme sono vicini ma non proprio affiancati.

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