Le moto oltre il Muro di Berlino

Maurizio Gissi
  • di Maurizio Gissi
Il 9 novembre del 1989 cadeva il Muro di Berlino, era il primo passo verso la riunificazione della Germania dopo la divisione seguita alla seconda guerra mondiale. Tutti oggi conoscono la tradizione storica, la capacità tecnica e la qualità della moto BMW, ma in passato ci furono altre marche estremamente importanti. Alcune che finirono nella Germania Orientale
  • Maurizio Gissi
  • di Maurizio Gissi
10 novembre 2014


Il 9 novembre del 1989 cadeva il Muro di Berlino, era il primo grande passo verso la riunificazione della Germania che fu divisa in Est e Ovest nel 1945 alla fine della seconda guerra mondiale. Sono passati 25 anni da quel momento e la Germania è tornata a essere il Paese trainante d'Europa.

Per quanto riguarda l'industria tedesca della moto, tutti oggi conoscono la forza storica e tecnica di BMW, ma in passato ci furono altre marche estremamente importanti. Alcune delle quali nate in quella parte del suolo tedesco che sarebbe poi diventata la Germania Orientale, cambiamento che ne determinò il destino decadente. Si tratta di marche capaci di vincere molte volte nelle principali competizioni in pista e nel fuoristrada. Grazie a una tradizione basata sulle competenze dell’industria metallurgica e bellica, sulla formazione di ottimi progettisti ma, prima ancora, sulla forza trainante dell’industria motociclistica tedesca capace di influenzare l’intera Europa centrale.

La storia della moto deve molto alla Germania, tedesco era Daimler che nel 1885 costruì la prima moto, tedeschi erano Hildebrand e Wolfmuller che realizzarono la prima moto di serie. La Germania, con 668 marchi a cui ha dato la luce, segue a ruota la Gran Bretagna e anticipa l’Italia

La storia della moto deve molto alla Germania, tedesco era Daimler che nel 1885 costruì la prima moto con motore a combustione interna, tedeschi erano Hildebrand e Wolfmuller che nel 1894 realizzarono la prima moto di serie.
La Germania, con l'impressionante quantità di 668 marchi a cui ha dato la luce, segue infatti a ruota la Gran Bretagna e anticipa l’Italia in un’ipotetica classifica assoluta delle nazioni motociclistiche di sempre basata sulla quantità di industrie grandi e piccole che sono sorte dagli albori del Novecento.

Anche in Germania, come nel resto del mondo, tutto iniziò montando piccoli motori su telai da bicicletta, poi si passò alla costruzione di veicoli specifici come seppero fare molto bene NSU e BMW. Nel primo dopoguerra gli Alleati penalizzarono l’industria bellica degli sconfitti. La BMW, ad esempio, aveva costruito motori d’aereo e la Zundapp cannoni, entrambe - così come molte altre industrie dell'epoca - si convertirono alla mobilità su due ruote, quella meno costosa e più richiesta negli anni della prima ricostruzione. La crisi economica di fine anni Venti obbligò molte fabbriche alla chiusura, non la DKW che nasceva pochi anni prima in Sassonia (futura Germania Est) e che nel volgere di un decennio diventò il primo costruttore al mondo per quantità di moto costruite. Il regime nazista appoggiò le competizioni in genere per dare impulso all’industria, fra le moto ne beneficiarono NSU, BMW e DKW che svilupparono schemi motoristici innovativi, la sovralimentazione compresa, e raccolsero numerosi successi nelle competizioni di velocità.

 

La costruzione del muro

Il secondo dopoguerra fu doppiamente duro per la Germania perché alla ricostruzione si sommò la divisione in due del Paese. A ovest resistettero NSU, BMW, Zundapp e pochissime altre, a est - in Sassonia, a Zschopau - rimase la fabbrica DKW. Molti dei suoi tecnici fuggirono però all’ovest portando con sé il marchio. A est la fabbrica si chiamò inizialmente IFA e poi MZ (acronimo di Motorradwerke Zschopau), nei primi tempi le moto che uscivano da quello stabilimento erano del tutto simili alle DKW.
Le MZ di serie erano molto spartane, all’opposto le moto da corsa che seppero distinguersi sul finire degli anni Cinquanta introducendo prima l’alimentazione a disco rotante nei due tempi da gran premio e sviluppando poi gli scarichi a espansione.

 

MZ RE125, 1965
MZ RE125, 1965

Fuga dall'Est

E fu proprio passando i progetti MZ alla Suzuki che il pilota-ingegnere Ernst Degner, fuggito con la famiglia in Giappone nel 1961, diede alla marca nipponica le basi tecniche per costruire delle moto da gran premio vincenti, come la 50 cc che lui stesso portò al titolo iridato già nel 1962.
La MZ troverà nuova ispirazione nel fuoristrada, imponendosi per sei volte alla Sei Giorni di Enduro negli anni Sessanta e continuando a farsi notare nel decennio successivo, e nella produzione di serie sviluppando il motore Wankel.

La caduta del Muro di Berlino del 1989 metterà in ginocchio la MZ. Verrà quindi rilevata da un imprenditore tedesco che tenterà di rilanciarla utilizzando motori Rotax e Yamaha, poi nel 1996 sarà salvata dalla nuova crisi finanziaria da un gruppo malese. Ma le MZ di produzione, anche una bicilindrica 1.000 sportiva, non furono mai competitive con gli stessi modelli europei e l’operazione salvataggio finì a dicembre 2008. Successivamente gli ex piloti Ralf Waldmann e Martin Wimmer rilevarono il marchio MZ, i primi progetti riguardarono scooter elettrici e moto 125, ma una causa legale fermò tutto nel 2013.

Simson è un altro marchio nato nella Germania orientale, come molti altri dalle ceneri di un’industria bellica che aveva già costruito delle moto alla fine degli anni Trenta con il marcio BSW (ovvero fabbrica d’armi di Berlino e Suhl). Le prime Simson erano copie della BMW 250, monociclindrica d’anteguerra, poi vennero modesti modelli di piccola cilindrata, ma nelle competizioni degli anni Cinquanta la Simson sperimentò la distribuzione bialbero comandata da ingranaggi e persino la distribuzione desmodromica, che Mercedes aveva sviluppato per le sue auto da corsa, prima della Ducati.

Come accadeva per tutte le marche dell’Europa orientale, c’era all'epoca una grande differenza qualitativa fra le moto da gara ufficiali e quelle vendute ai piloti privati e, ancora di più, fra queste e la produzione di serie. Dopo il 1989 anche la Simson cercò di adeguarsi alla domanda occidentale ma i modelli proposti, l’ultimo uno scooter a ruote alte, uscivano da stabilimenti e tecnologie superati, che non potevano reggere il confronto con la concorrenza dei mercati liberi. E fu così' che anche la Simson chiuse nel 2002.

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