La Suzuki GSX-R nelle gare

La Suzuki GSX-R nelle gare
Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
Dalla prima 750 alla nuova 1000, ripercorriamo la carriera della Suzuki quadricilindrica nelle competizioni iridate e nazionali
  • Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
19 ottobre 2016

Dici GSX-R e pensi istantaneamente alle competizioni, soprattutto se si è già entrati negli “anta”, perché sono state proprio le corse a fare la fortuna della stirpe supersportiva più longeva della storia del motociclismo. Pare strano dirlo, perché quando arrivò la prima 750 – al Salone di Colonia, nel Settembre del 1984 – le competizioni riservate alle "quattro tempi" non erano esattamente di primissimo piano: con la Superbike ancora da importare dagli USA, per loro c’erano solo il Mondiale Endurance e l’ormai vetusto mondiale TT-F1, seguito di fatto praticamente solo in Gran Bretagna.

Curiosità: proprio dalla formula tecnica che regolava quei campionati nacque la fortuna della cilindrata sette-e-mezzo di Hamamatsu, perché fino al 1983 il regolamento imponeva i 1.000cc come limite massimo per la cubatura. Suzuki produsse quindi una GSX-R750 quando forse, scartabellando fra i progetti degli uffici tecnici di Hamamatsu (o di Ryuyo) si sarebbe potuto trovare qualche eventuale progetto abortito di una GSX-R1000, che avrebbe anticipato di una quindicina d’anni la nascita della prima, leggendaria, K1.

Il DNA racing era comunque quello, perché le radici della capostipite GSX-R 750 affondano senza dubbio in quella GS1000R che fra TT/F1 ed Endurance ha collezionato vittorie come figurine. Allo stesso modo, la GSX-R nasceva con una filosofia minimalista pensata soprattutto per avere successo nelle competizioni. Leggerissimo telaio in alluminio, motore raffreddato ad aria e olio, target quasi impossibili (all’epoca) per il rapporto peso/potenza, cerchi da 18” come nell’Endurance per facilitare i cambi gomma, doppio faro anteriore: tutte soluzioni imposte dal responsabile del progetto, l'ingegner Etsuo Yokouchi, che ha pensato ad una moto efficace nelle gare prima ancora che sul mercato. Risultato: una moto che pesava 25 kg meno della più leggera delle rivali, con una potenza pari o superiore.

Kevin Schwantz in sella alla Suzuki GSX-R 750 nel campionato AMA
Kevin Schwantz in sella alla Suzuki GSX-R 750 nel campionato AMA

Tutti i piloti ne furono immediatamente affascinati. Rob Phillis la fece vincere al debutto nell’Endurance, Mick Grant si aggiudicò la Production al TT del 1985 e il nazionale Stock, e Kevin Schwantz costruì la sua fortuna di pilota ad inizio carriera (sull’asfalto) correndoci grazie al team Yoshimura (affiancandolo a Satoshi Tsujimoto, nell'Endurance), negli USA e nel Transatlantic Trophy britannico: una serie di gare combattutissime nate per allungare il calendario del Motomondiale, che schieravano i migliori piloti statunitensi contro i rappresentanti della scuola europea - Nell’edizione del 1985, Kevin Schwantz si fece notare nientemeno che da Barry Sheene (leggenda vuole che nel vederlo correre con il suo stile peculiare, il tre volte iridato britannico abbia esclamato “Madre di dio!”), che fece pressione sulla Casa madre affinché portasse il giovane texano al Mondiale, dove corse le prime gare l’anno successivo.

La GSX-R in Superbike

Protagonista di una serie di evoluzioni, la GSX-R non fece faville a livello mondiale nella cilindrata 750, quando nacque il Mondiale Superbike. Pur competitiva nelle serie nazionali – soprattutto in Germania – nella versione estrema GSX-R750RR (che nasceva anno dopo anno in strettissima collaborazione con Yoshimura, e costava il doppio di uno stipendio annuo medio…) nel Mondiale non combinò granché fino al cambio di cilindrata – anche l’arrivo della versione WT, cambiamento tecnico radicale della versione di serie, non portò i risultati attesi anche per la scelta dei piloti: un Doug Polen, ex-ducatista iridato ormai sul viale del tramonto, e il tanto osannato Mike Hale, che in Europa non tenne mai fede alle promesse statunitensi. Un po’ meglio fece in Superstock, dove l'inglese Karl Harris (scomparso al TT nel 2014) vinse all’esordio nell’europeo (poi mondiale), nel 1999.

Nei campionati nazionali la faccenda andò diversamente, con anche un’affermazione nella serie italiana in quel periodo in cui bicilindriche e quattro cilindri corsero con classifiche separate per calmare le polemiche relative alla superiorità della Ducati 916. La Suzuki ha collezionato diverse affermazioni in Germania, nel campionato All-Japan (1987 e 1989 con Oshima e Polen) e in quello AMA statunitense, con il già citato Kevin Schwantz ma anche con Jamie James, che vinse il titolo nel 1989.

Tutt’altra storia, invece, per la GSX-R1000. Arrivata nel 2001, ha dominato le formule Superstock a livello iridato per tre anni con Ellison, Iannuzzo e Fabrizio dal 2001 al 2003, tornando alla vittoria nel 2006 con Polita. L’iride in Superbike arriva solo nel 2005, con Troy Corser in sella alla micidiale K5 del team Alstare-Corona (foto in apertura), con un affermazione mai ripetuta dalla Casa di Hamamatsu anche se ci arriverà vicino con Leon Haslam nel 2010, tenendo aperto il discorso titolo fino alle ultime gare contro Max Biaggi.

Mat Mladin e Ben Spies, accoppiata vincentissima nell'AMA Superbike degli anni duemila
Mat Mladin e Ben Spies, accoppiata vincentissima nell'AMA Superbike degli anni duemila

Nella sua versione 1000, la GSX-R ha spadroneggiato anche nelle serie nazionali. Nell’AMA Superbike ha dominato dal 1999 al 2009 (fatto salvo per l’affermazione di Nicky Hayden con la Honda nel 2002) con Mat Mladin e Ben Spies; nell’All-Japan ha vinto le edizioni 2001 (Ryo), 2002 (Watanabe), 2003 (Kitagawa) e 2007 (di nuovo Watanabe).

La GSX-R nell’Endurance

La stirpe GSX-R ha letteralmente dominato l’Endurance, serie in cui spesso più che la prestazione pura contano l’affidabilità e la sfruttabilità della moto – quest’ultima caratteristica, in particolare, è quella che determina la capacità di tenere il ritmo nelle lunghe 24 ore, e non a caso è uno degli obiettivi principali dei tecnici che creano e sviluppano le Suzuki. E l’impegno viene ripagato con ben quindici titoli iridati, l’ultimo dei quali festeggiato proprio quest’anno, grazie al fortissimo Team SERT fondato e diretto dal mitico Dominique Mèliand.

Nel Mondiale, la GSX-R inizia a vincere praticamente subito, con Moineau, Crine e LeBihan nel 1987 e 1988. Segue un lungo digiuno fino al 1997, quando però prende il via una serie positiva con tre vittorie in quattro anni (1997: Goddard/Polen; 1999: Rymer/D'Orgeix; 2000: Linden/Nowland) con le quali la 750 saluta le gare passando il testimone alla nuova GSX-R1000. Che vince nel 2002 con il team cinese Zongshen, poi replica con la K5 nel 2005 e l’anno dopo inizia la striscia di vittorie di Vincent Philippe,che conquista nove titoli lasciando agli avversari solo 2009 e 2014, ovviamente affiancato da validissimi compagni di squadra

Il team SERT vincitore del quindicesimo titolo iridato Suzuki in Endurance
Il team SERT vincitore del quindicesimo titolo iridato Suzuki in Endurance

Da registrare anche le vittorie alla 8 ore di Suzuka, gara importantissima per i costruttori giapponesi, alla quale partecipano regolarmente squadre ufficiali che non prendono poi parte al resto del campionato. Nel 2007 la GSX-R1000 con Kagayama ed Akiyoshi, replicando due anni dopo con Sakai, Tokudome e Aoki. Al Bol d’Or, la prima affermazione di una GSX-R risale al 1993 con Sarron, Bonhuil e Deletang. Nel 1998 poi inizia un dominio lungo quattordici anni (autore, come già detto, il team SERT) interrotto solo nel 2000 e 2007 dalla Yamaha. Al digiuno di quattro anni per colpa delle micidiali Kawasaki Ninja segue però la riscossa di quest’anno, in attesa di vedere cosa saprà fare il prossimo anno il SERT se dovesse ricevere la nuova GSX-R1000 prima della fine del Mondiale (l'arrivo dai concessionari è previsto nel 2018).

La GSX-R al Tourist Trophy

Anche al TT la Suzuki GSX-R ha vinto molto – del resto, partendo dalla Formula TT/F1 come missione, sarebbe stato strano il contrario. Mick Grant, come già detto, vince al debutto con la prima GSX-R 750 del 1985 la categoria Production 750. L’anno dopo la 750 e la 1100 spopolano, vincendo le due categorie a loro riservate sempre all’interno della Production. Negli anni successivi però i successi si interrompono, perché Case e team rivali arrivano con modelli ed impegno superiori.

Suzuki torna al successo negli anni 2000, dove arriva l’accoppiata micidiale fra le GSX-R 1000 migliori di sempre (K1 e K5 nello specifico) e grandi piloti come lo sfortunato David Jefferies, Adrian Archibald e Bruce Anstey. La vittoria al debutto non arriva solo perché l’edizione 2001 del Tourist Trophy non si corre a causa dell’allarme per l’encefalopatia spongiforme bovina (il famigerato morbo della mucca pazza), ma l’anno dopo “DJ” fa piazza pulita, vincendo sia la F1/Superbike che la Senior e la Production, prima di restare ucciso in un assurdo incidente durante le prove nella stagione successiva.

Nel 2003 è il turno di Adrian Archibald, che con la 1000 domina Senior e F1, e di Harris (Production). Un successo che si ripete nel 2004, con Archibald vincitore della Senior ed Anstey in Superstock. Il neozelandese non si ferma praticamente più, perché torna a vincere nel 2005, 2006 e 2007. Nel 2008, la GSX-R 1000 monopolizza il podio della Superbike, con Donald, Anstey ed Archibald. Donald vince anche la Superstock, mentre la vittoria nella Senior gli sfugge per pochissimo. Anstey vince invece la gara in una delle due frazioni della Supersport.

Guy Martin
Guy Martin

Da allora Suzuki è a digiuno, nonostante i generosi sforzi di un fuoriclasse come Guy Martin, che per quattro anni (dal 2011 al 2014) ha più volte sfiorato la vittoria nelle tre gare riservate alle maxi prima che il team TAS, storicamente legato alla Casa di Hamamatsu, non decidesse di abbandonare la casa della “S”. Chissà che l’arrivo della nuova GSX-R1000 non faccia venire strani pensieri a qualche team di primo piano...

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C.so Fratelli Kennedy, 12
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Categoria
Super Sportive
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Pneumatico anteriore
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Inizio Fine produzione
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