In Vespa alla ricerca dei cinema italiani dimenticati

In Vespa alla ricerca dei cinema italiani dimenticati
  • di Alfonso Rago
Dalla provincia padovana fino all’estremo sud leccese: oltre 2.000 km con una Vespa 50 Special alla ricerca delle sale cinematografiche di paese oggi dismesse. Un’esperienza compiuta in solitaria, raccontata dal protagonista, Umberto Giupponi
  • di Alfonso Rago
15 gennaio 2015

Sulla nostalgia per il cinema di una volta, fatto di sale con sedili in legno, immagini a volte sfocate proiettate su una grande tela ed odore di pellicola, Giuseppe Tornatore ci ha fatto un capolavoro, “Nuovo Cinema Paradiso”, insignito di un Oscar.
Oggi siamo abituati a multisala, effetti 3D, surround ed altre piacevoli diavolerie: ma un tempo, neanche tanto lontano, il cinema era diverso. Ogni paese aveva la sua sala, impregnata degli odori forti del pubblico, visto che un tempo si poteva anche fumare ammirando il film. Un patrimonio oggi abbandonato, portato all’oblio o alla decadenza, quando non modificato in destinazione d’uso e trasformato in centro commerciale. Per non perdere quella che è anche una memoria storica collettiva, nasce il progetto “Old Cinema”, con l’obiettivo di costruire una mappa completa delle strutture presenti in Italia e fornirne una possibilità di recupero. Se per le grandi città si tratta di un censimento non troppo complesso, i problemi nascono per i piccoli centri e le strutture di periferia, dove quelle abbandonate abbondano.

Qui si inserisce la storia che andiamo a raccontare, quella di Umberto Giupponi e della sua Vespa 50 Special a tre marce del 1972: folgorato dal progetto, decide di partire da Codevigo, in provincia di Padova, e percorrere la dorsale adriatica fino a San Cataldo, vicino Lecce. In totale 2.300 km alla ricerca dei fantasmi dei cinema abbandonati, delle pizze delle pellicole rose dalla polvere, delle poltrone ormai sventrate dal tempo e dai tarli. Gli abbiamo chiesto di raccontarci la sua avventura,

 

 

Com'è nata l'idea di realizzare il viaggio proprio con una Vespa?
«Era un sogno che avevo fin da ragazzino. A 14 anni, appena acquistata e restaurata la Vespa, pianificavo un viaggio per l’estate, ma mi mancava la spinta, la motivazione giusta! Finalmente la primavera scorsa, a distanza di molti anni, mentre ero a Sydney per un periodo di studio all’estero, ho organizzato la mia estate in sella alla mia Vespa 50 Special bianca».

 

Avevi precedenti esperienze di guida su lunghi percorsi?
«Solo in macchina o in camper: su due ruote, assolutamente nessuna».

 

Come ti sei preparato al viaggio?
«E’ stato il momento forse più critico. La preparazione, si sa, non è mai sufficiente e al tempo stesso non dovrebbe essere mai troppo precisa e vincolante. E’ impossibile considerare tutte le variabili, bisogna per forza lasciare un margine all’imprevisto, è anche questo un aspetto da considerare in fase di preparazione. Ho iniziato leggendo qualche blog dedicato ai viaggi in moto, annotando consigli e suggerimenti e, soprattutto, ho scoperto fantastiche storie di viaggi e persone. Per i viaggi in Vespa consiglio, su tutti, le avventure di Giorgio Bettinelli e “Terra&asfalto” di Giorgio Serafino e Giuliana Foresi. Ho preso un pezzo di carta e ho appuntato ciò di cui avrei avuto bisogno: lista risolta in meno di una decina di voci. E’ inevitabile portare con sé solo l’indispensabile! Tenda, sacco a pelo, abbigliamento, macchina fotografica, ruota di scorta e pochi essenziali pezzi di ricambio. Ovviamente, prima della partenza, la Vespa, che purtroppo non utilizzavo da alcuni anni, ha subito un check-up meccanico approfondito, anche se, alla fine, gli interventi sono stati davvero minimi. Con la Vespa in salute, ho poi provveduto all’iscrizione al Vespa Club “VespePadane” di Montegrotto Terme, dove ho attinto moltissime informazioni e consigli utili dal presidente Bruno Mortandello e molti altri soci del club. Appurata la fattibilità del tour, ho iniziato una raccolta fondi attraverso crowdfunding sulla piattaforma www.trevolta.com per sostenere il viaggio che intanto era entrato a far parte del progetto legato alla ricerca di vecchi cinema abbandonati in collaborazione con la startup Oldcinema di Ambra Craighero».

 

Il Supercinema di Trani
Il Supercinema di Trani

Ci racconti qualche episodio curioso che ti è rimasto in mente?
«Ricordo l’arrivo a San Cataldo a Lecce dove ho svolto un workshop di Architettura con un gruppo di cento ragazzi. Non sapendo esattamente quale fosse il luogo di ritrovo, mi son fermato sul lungomare per chiedere indicazioni e senza neanche iniziare la domanda, una ragazza mi indica la meta e aggiunge “ti stanno aspettando tutti!”. Infatti, i ragazzi attraverso facebook avevano seguito il viaggio tappa dopo tappa! E’ stata davvero un’accoglienza inaspettata e una bella sorpresa per il raggiungimento della meta, anche se ero solo a metà del viaggio, visto che mi aspettava il ritorno a casa».

 

Improvvisamente una lampadina del faro si fulmina e nel giro di pochi minuti anche l’altra lampadina anteriore e quella posteriore mi abbandonano. Nel mezzo della Strada Provinciale 22, ovvero in mezzo al nulla. Ho guidato con la luce della Luna

Ed al contrario, ci sono stati momenti di difficoltà o addirittura di pericolo?
«Tra Taranto e Altamura, a causa di un errore di valutazione delle distanze, mi sono ritrovato per la prima volta dopo tre settimane a dover percorrere un tratto di strada dopo il tramonto, che fino ad allora avevo sempre evitato. Nessun problema, se non che improvvisamente una lampadina del faro si fulmina e nel giro di pochi minuti anche l’altra lampadina anteriore e quella posteriore, inevitabilmente, mi abbandonano. Nel mezzo della Strada Provinciale 22, ovvero in mezzo al nulla. Batteria del cellulare e caricatore del computer portatile scarichi, buio e nessuno nei paraggi: anche se qualcuno fosse passato di sicuro non mi avrebbe visto e tantomeno si sarebbe fermato, giustamente! Percorrere circa venti chilometri nel buio, guidato dal pallore della luna piena, senza conoscere il luogo e sapere cosa ti circonda sono un’esperienza incredibile, ma che non auguro a nessuno».

 

Problemi meccanici?
«La sera prima della partenza, finito di caricare i bagagli e data l’ultima lucidata allo scudo, ho provato ad accendere la Vespa e… silenzio, motore muto! Uno, due, tre, quattro tentativi e niente, non va in moto. Faccio finta di nulla, come se non fosse mai successo! La mattina seguente, ancora mezzo addormentato, ho fatto un tentativo per accenderla: è partita al primo colpo! Scaramanzia a parte, ho pensato di lasciarla accesa fino alla partenza, mezz’ora dopo. Il problema in accensione si è poi ripresentato durante la mattinata, rallentando la tabella di marcia e abbattendo il morale. Arrivato a Copparo, nella campagna ferrarese, ho dovuto affidare Bianca (così si chiama la Vespa, ndr) alle mani esperte di un meccanico che ha individuato velocemente un problema alla testa della candela. Eppure era nuova! Eccetto questa piccola parentesi, la mia 50 Special non ha dato nessun problema durante tutti i 2.300 km del percorso».

 

La Vespa è stata una buona compagna di avventura?
«Inossidabile. Una sicurezza costante. Pioggia, caldo torrido, salite e discese, rettilinei e tornanti, sempre perfetta. Certo, va trattata come una principessa e in salita non bisogna avere nessuna pretesa!».

 

La ridotta cilindrata è stata un handicap?
«I rettilinei di decine e decine di chilometri fatti a 45 orari sono tremendi, ma per fortuna spesso evitabili con strade secondarie decisamente più divertenti, a costo di allungare un po’. Alle vibrazioni e alla sella monoposto ci si abitua velocemente. Direi di no, la piccola cilindrata non è stato un problema».

 

Come ti è sembrata l'Italia percorrendola a velocità moderata, su strade secondarie?
«E’ una possibilità che capita di rado quella di viaggiare lentamente e lungo strade poco trafficate. Lo sguardo si abitua alla bassa velocità e si riesce ad osservare più a fondo ciò che ti circonda. I colori della terra e del mare, la vegetazione così come i dialetti, la cucina, gli stili architettonici, cambiano lentamente chilometro dopo chilometro. Da nord a sud vi sono territori unici, così diversi eppure in continuità tra loro. Ho percorso strade sconosciute e deserte tra le campagne emiliane, le colline delle Marche, l’entroterra pugliese e tutte con panorami splendidi. L'accoglienza lungo il percorso da parte di amici, persone incuriosite o semplicemente stupite dall'impresa è stata una costante che mi ha accompagnato di regione in regione».

 

C'è un luogo, un paese, un borgo che non conoscevi e dove vuoi tornare?
«Moltissimi, in particolare dove ho incontrato persone che mi hanno accolto e aiutato. In primis, Morro d’Alba, piccolissimo borgo tra Senigallia e Jesi, un posto in cui sicuramente ritornerò. Le strade per raggiungere Morro sono un saliscendi continuo immerso tra campi di girasoli ed è uno spettacolo da percorrere su due ruote. Altra strada stupenda, tutta curve, panorama e qualche bella buca, è la discesa da Casacalenda al lago di Guardialfiera in Molise, la Strada Provinciale 73b. Infine, un piccolo gioiello, probabilmente più conosciuto, che consiglio di visitare è Atri in Abruzzo».

 

Come verrà condivisa la tua esperienza, anche nell'ambito del progetto “Old Cinema”?
«Il viaggio è stato raccontato attraverso la pagina facebook “Old Cinema on Vespa”, aggiornata di giorno in giorno. Inoltre, al termine del viaggio, è stata realizzata una mostra fotografica in occasione del Detour Film Festival a Padova, lo scorso ottobre. Grazie ad Ambra Craighero, il progetto “Old Cinema” continua oggi in collaborazione con il Politecnico di Milano con il quale ha organizzato un corso formativo per il recupero dei vecchi cinema nei centri abitati. Da questa ricerca itinerante è emerso un immenso patrimonio, a oggi sommerso e troppo spesso dimenticato dalle istituzioni, dai privati in difficoltà e dai giovani. Luoghi da riscoprire e riqualificare e che per molte ragioni, banalmente la loro locazione centrale all'interno dei centri abitati, hanno potenzialità uniche di creare socialità divenendo, nuovamente, zone di incontro e confronto, di cui oggi sempre più spesso si sente la mancanza».

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