I Racconti di Moto.it: "Stelvio"

I Racconti di Moto.it: "Stelvio"
Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
Quattro colpi di pistola: "Mi dispiace, Elena. Comprendimi. Io ancora col tubone del nonno e tu con l’Harley. Era troppo..."
  • Antonio Privitera
  • di Antonio Privitera
31 luglio 2015

Quattro colpi di pistola silenziata e tutti giù per terra. Ronzii nell’aria satura di quell’ambulatorio piccolo come un bagno, poi una voce tremula:


«Mi dispiace, Elena. Comprendimi. Io ancora col tubone del nonno e tu con l’Harley. Era troppo».


Armando nel giugno del 2014 è un giovane avvocato. Proviene da una modesta famiglia di portinai che ha immolato sull’altare della laurea dell’unico figlio maschio l’istruzione della figlia femmina, sperando in grandi cambiamenti per tutto il nucleo familiare; Armando completa gli studi, si abilita a tempo di record ma i guadagni languono, la famiglia lo pressa giorno dopo giorno, lo sostiene ma adesso pretende che faccia il grande salto per consentire a tutti loro una vita migliore di quella di una provincia umida esplorata in sella ad un tubone 50 cc. degli anni ’80, un Malaguti senza miscelatore separato ereditato dal nonno. Armando si sente sempre in debito e, assalito da comprensibili sensi di colpa, fa quello che può per portarsi avanti in un mondo professionale che lo respinge e lo tratta come una cellula estranea e non riconosciuta dal un sistema teso a tutelare le posizioni acquisite. Farsi largo è dura, specie in una città dove Armando si è trasferito per avere il successo e la ricchezza che la provincia non può dargli. Riceve tutte le sere la telefonata di suo padre, un vecchio scorbutico cresciuto a pane e abbrutimento, che gli pone sempre la stessa domanda: “hai fatto il tuo dovere?”.
 

Sempre nel giugno del 2014 Vittorio cade con la sua motocicletta mentre è in vacanza in Trentino: soccorso e portato in ospedale, vi muore. La dinamica dell’incidente è oscura, i soccorsi vengono chiamati da una coppia di turisti tedeschi in camper che trovano Vittorio steso e senza conoscenza sul ciglio di quelle curve dello Stelvio. Il rottame della motocicletta non fornisce indicazioni sul come, sul perché, sul quando. Vittorio aveva 29 anni e amava viaggiare, soprattutto su quella moto comprata in contanti con una indispensabile mano da parte del papà. Il viaggio sullo Stelvio era uno dei tanti progetti che aveva; poi sarebbe stato il turno di Capo Nord e Santiago de Compostela, in un unico ambizioso tour che avrebbe compiuto come al solito in solitaria, come piaceva a lui.


Virgilio invece è un carrozziere di trentanove anni: quel pomeriggio di giugno nel quale Vittorio trova la morte è anche lui all’ospedale di Trieste. Assiste alla terribile scena dell’ingresso al pronto soccorso della barella con il corpo sanguinante, sente i commenti degli infermieri indifferenti e le bestemmie dei medici, ascolta i luoghi comuni enunciati a raffica sulla pericolosità delle motociclette, sulla spericolatezza dei centauri, sulla velocità assassina; quei commenti lasciati con presunzione e noncuranza da gente in codice verde, privi di una qualsiasi empatia verso il povero Vittorio e con quel puzzolente tocco di conformismo che in una sala d’aspetto di pronto soccorso aiuta. In queste circostanze non si lascia mai per strada l’occasione di dire una cazzata gratuita e perbenista, ovviamente a fin di bene.
 

Virgilio è un ragazzone intraprendente e l’officina gli sta stretta, non è la sua attività principale o quantomeno non è quella più remunerativa; da molti anni raccoglie veri o presunti infortunati per istruire pratiche di danni fisici e materiali da presentare alle assicurazioni lucrandoci discrete sommette, generalmente il 50% dell’assegno che l’assicurazione versa al danneggiato. Truffe alle assicurazioni, per essere chiari. Virgilio il carrozziere ha contatti ovunque, soprattutto negli ospedali dove staziona spesso in attesa di qualche sfortunato con una costola rotta cadendo dalle scale e che poi si ritrova invece a dichiarare di essere vittima di un incidente stradale. Gli incidenti, se non sono accaduti, lui li costruisce dal nulla: l’importante è il danneggiato, la sua cartella clinica da creare, arricchire e manipolare, poi di come montarci su una credibile dinamica stradale se ne occuperà lui con la collaborazione di avvocati che non vogliono sapere, medici che non fanno domande, periti compiacenti, testimoni prezzolati, singole mele marce delle forze dell’ordine. L’organizzazione messa in piedi da Virgilio è una macchina perfettamente oliata: mai oltre le righe, sempre compatta, oltre cento sinistri falsi all’anno per un giro vorticoso e gigantesco di denaro estorto alle assicurazioni sonnecchianti, sottratti alle parcelle degli avvocati partecipanti alle truffe, ai risarcimenti dei danneggiati collaboranti. Ma se ci pensiamo bene, non è nemmeno un’estorsione: l’estorsione prevede che ci sia una vittima, invece qui ci guadagnano tutti.


Il passaggio della barella con sopra Vittorio agonizzante stimola l’appetito rapace di Virgilio che capisce all’istante che la torta da spartire può essere molto grande, la più grande mai capitata tra le sue mani; in ospedale non è presente nessun parente, quel ragazzo è solo, l’occasione è irripetibile e lui non ha scrupoli: non ci pensa due volte ed entra nella sala operatoria del pronto soccorso dove è conosciuto pure dai defibrillatori, figuriamoci dal personale cui tante volte ha arrotondato lo stipendio, e si avvicina al medico di turno che ha appena preso servizio bisbigliandogli qualcosa all’orecchio. Il Dottor Paolo Ranno si blocca, controlla il referto del 118, poi annuisce e gli intima di sparire, sottovoce.
 

Purtroppo dopo poche ore Vittorio getta la spugna. Un laconico referto medico ne attesta la morte alle ore 22:34. La madre Aurelia e il padre Stefano Legu arrivano dalla Sardegna durante una notte inaspettatamente afosa, con l’animo di chi spera l’irragionevole e si sforza di restare lucido, pronti a baciare le mani di chiunque dica loro che quello non è loro figlio, che si sono sbagliati, oppure che per Vittorio c’è ancora una speranza e che si farà tutto il possibile, pure un miracolo se necessario ma, disperati e senza più lacrime, dopo un breve e faticoso conciliabolo con il Dottor Ranno rendono le armi alla verità.
 

Pochi minuti dopo vengono avvicinati da Virgilio che si propone di curare per loro le pratiche per il ritorno della salma in Sardegna e di iniziare l’azione per il risarcimento assicurativo. Ranno raccomanda Virgilio ai signori Legu, presentandolo come un efficiente intermediario, un ottimo riferimento sul luogo dell’incidente per tenere i contatti con la polizia per scoprire se è stato un incidente autonomo o se magari qualcuno lo ha causato scappando successivamente, come sospettano; ma Virgilio, spiega il Dott. Ranno, sarà utile anche per ottenere i documenti dall’ospedale e per incaricare un avvocato del posto che seguirà la pratica. I due genitori sfiniti e vinti firmano i fogli di carta sottoposti loro da Virgilio seduta stante senza nemmeno guardarli e tornano a piegarsi in lacrime.
 

Ora serve un avvocato che presenti la pratica all’assicurazione. Virgilio sa che i rischi, come la posta in gioco, sono altissimi e decide di puntare su un avvocato molto ambizioso e alla ricerca del guadagno rapido. Chiama istantaneamente l’avvocato Armando Minardi che conosce già il carrozziere e comprende tutto al volo; dovrà lasciare sul campo, come sempre, il 50% della sua parcella professionale ma accetta comunque. Unica regola, gli dice Virgilio minacciosamente al telefono, “tu ti fidi solo di me: domani stesso ti faccio portare in studio un faldone con referti medici, fotografie, dichiarazioni testimoniali, preventivi, perizie di parte e una denuncia di sinistro. I miei ragazzi sono già all’opera. Sarà come la verità, Armando. Sarà meglio della verità”.
 

Armando fa due calcoli mentalmente, il risarcimento potrebbe superare il milione di euro. E’ la volta buona, i suoi genitori saranno contenti e lui potrà abbandonare il vecchio tubone al suo destino, comprarsi uno scooter di quelli grandi e grossi, uscire da quel buco di studio di diciotto metri quadrati. Dice a Virgilio che tra poco arriverà in ospedale e di evitare di parlare al telefono.
 

Elena si guadagna da vivere come commessa in un negozio di intimo. Trentasette anni, bella come un’alba sulle dolomiti. Ha da più di un anno una relazione con un uomo sposato molto generoso, una di quelle storie da chiedersi “perché?” cui segue sempre la stessa risposta: “Perché no?”. Identica storia quando le chiesero perché avesse comprato una motocicletta, una di quelle grosse, di quelle che fanno rumore anche da spente. Gli inverni sono pretesti per organizzare un viaggio da fare l’estate ed Elena trascorre le sere al computer a progettare il suo primo tour in motocicletta informandosi sui migliori itinerari, frequentando le comunità e i social network per leggere le esperienze di chi potrebbe insegnarle qualcosa. Sceglie di andare allo Stelvio e di lì toccare la Slovenia e l’Austria; dopo mesi di frequentazione virtuale e qualche telefonata ha appuntamento per incontrarsi proprio sul passo dello Stelvio con uno dei più appassionati motociclisti conosciuti sul web. Lui verrà apposta per conoscerla con il suo bicilindrico austriaco, lei arriverà sulla sua piccola americana, da sola. Del resto Elena, nonostante la sua relazione con Paolo, non si è mai fatta troppi scrupoli; il fatto che lui sia sposato la legittima a non sentirsi legata ad un uomo che non ha mai parlato di separarsi dalla moglie e che, porco can, odia le motociclette e i motociclisti.
 

Così, sempre in quel giugno del 2014, Elena parte in motocicletta abbandonando Paolo nel pantano del suo lavoro di medico e di sua moglie, non senza qualche sardonica battuta. Paolo è furente per tutta una serie di ragioni: sua moglie Vera, chiamata dalle amiche “la tecnologica” per la sua ossessione per gli smartphone e i computer, ha come impostazioni di default lo stato “running” dell’applicazione “supponenza 4.1” e sta scaricando da mesi un corposo aggiornamento a “prepotenza 5.3.1”, bloccando contemporaneamente tutte le attività di sistema e rendendo di fatto impossibile qualsiasi forma di interazione che non vada oltre il trasferimento di danaro verso di lei (processo che sembra avere priorità su ogni altro), il lancio di insulti verso il marito e lo stand by prima di andare a dormire. E soprattutto Paolo odia le motociclette e chi le guida, forse perché è facile sentirsi liberi quando ne hai una sotto il sedere e lui, una moto, non avrebbe nemmeno il coraggio di farla vedere a Vera e di confessare che finalmente a cinquant’anni sente il diritto di averne una tutta sua. La crisi di mezz’età strazia gli ormoni più che i tredici anni.
 

Così Elena legge sospirando il messaggio che un Paolo geloso e invidioso le invia il giorno della partenza: “ Buon viaggio, divertiti. Troverò il modo di fartela pagare.”; puntuale, la risposta è un “Ciao Paolo, goditi la vita.” seguono faccine contente; è un colpo basso. Lo stesso giorno, siamo sempre nel giugno del 2014, Elena incontra il suo amico conosciuto sul web, lo riconosce dalle fotografie e soprattutto dalla bellissima motocicletta arancione. Insieme decidono di salire sullo Stelvio e poi, chissà.


Ad una distanza adeguata a passare inosservato Paolo li segue con la propria automobile, un fuoristrada inglese vissuto e molto radical chic. Le moto vanno molto più rapide di una vettura e Paolo li perde di vista; ma lui è caparbio nella follia della gelosia e della rabbia dell’abbandono e scalando il passo sulla bellissima strada che porta in cima vede i due amabilmente seduti a bordo strada a guardare il panorama e a farsi dei ridicoli selfie. Carico di odio represso lancia il suo fuoristrada verso Elena e il suo amico travolgendo le motociclette assieme ai due centauri terrorizzati. Subito dopo l’urto, senza nemmeno degnare di uno sguardo la scena, mette la retro e scappa. E’ in questo preciso momento che, sulla stessa strada ma alcuni chilometri più in alto, Vittorio esagera con la piega, scivola e si schianta contro un muretto facendosi molto male.
 

Ricominciamo daccapo: Vittorio arriva in ospedale dopo che i due crucchi in camper hanno chiamato il 118, entra in sala operatoria d’urgenza sotto i ferri del Dott. Paolo Ranno che prima di iniziare ad operare viene avvicinato da Virgilio che gli dice che questo paziente è solo, se muore non ci sarà nessuno a recriminare e lui potrà inventarci sopra una finta pratica di omicidio stradale, con i suoi metodi. Sono un sacco di soldi. Paolo vede il referto del 118 e vedendo “motociclista” “Stelvio”, “incidente stradale” perde la lucidità e pensa che quello sotto i suoi ferri sia l’amichetto motociclista di Elena e vede l’occasione di completare il lavoretto che ha iniziato investendolo e se Elena è nella sala accanto, tanto meglio; durante l’operazione che potrebbe salvare la vita a Vittorio qualcosa va storto e alle 21:34 il paziente muore. Il referto medico parlerà di esito mortale prevedibile.


Qualche minuto dopo il decesso di Vittorio arrivano nello stesso ospedale Elena e il suo amico, Enea. Stanno più o meno bene tutti e due, malconci più nell’animo che nel fisico, e raccontano che un folle li ha investiti mentre erano fermi. Nessuno ha visto la targa della macchina che li ha travolti da dietro e che poi è subito scappata. Ma non importa, tutto sommato sono salvi; poteva andare molto peggio. Erano tornati a casa di Elena ma forse Enea ha un braccio rotto, ci vuole una radiografia e hanno seguito il suggerimento del fratello di Elena, Armando, di andare subito in ospedale a farsi refertare; del resto pure lui sta andando lì per un’altra questione.


E’ la moglie di Paolo a fare il passo falso, o meglio, a generare quel battito d’ali di farfalla capace di scatenare una tempesta molto lontano.


Vera passa dall’ospedale per controllare Paolo; visita a sorpresa sul posto di lavoro: non aspetta altro che beccarlo con le mani nella marmellata – ovvero con un'altra donna – per poi chiedere la separazione con addebito e sbarazzarsi definitivamente di quel marito inutile. Sospetta da tempo della sua relazione con Elena ma non ha le prove e quando la trova seduta in sala d’attesa al pronto soccorso assieme ad Enea le si chiude la vena e scoppia il putiferio. Paolo viene avvertito dagli infermieri che in sala d’attesa c’è un problema e quel problema è sua moglie che sta sfasciando pure gli arredi urlando in aramaico inni di guerra e terrore: giunge in sala d’attesa e trascina subito la moglie, Elena ed Enea in una stanza riservata, una specie di ambulatorio in allestimento, nello stesso istante piomba lì Virgilio allarmato dal trambusto, seguito da Armando che lo stava braccando per concordare meglio i dettagli della truffa all’assicurazione e che trova inspiegabilmente la sorella in questa eterogenea compagnia sbraitante.


Poche parole e Paolo capisce di avere ucciso la persona sbagliata.


Vera ha la certezza di essere stata tradita, ed è felice.


Elena si carica d’odio verso se stessa e il livore la porta a rinfacciare a Paolo le confidenze sull’organizzazione che truffa le assicurazioni che le sono state incautamente fatte durante i momenti più intimi, anzi appena dopo. Minaccia di rovinarlo per sempre. A Vera questa cosa non piace tanto, teme di perdere la gallina dalle uova d’oro e colpisce alla testa con una bottiglia di soluzione fisiologica Elena, stendendola sul colpo.


Armando comprende che la situazione sta sfuggendo di mano, soprattutto ora che Paolo ha dato la stura alla sua rabbia e colpisce con uno schiaffo carico di liberazione il volto di Vera.


Virgilio ragiona rapidamente e teme che vada tutto in fumo, alza la voce e minaccia.


Enea pensa di essere finito su un reality.


Armando non ci pensa troppo su, e spara quattro colpi con la pistola a matricola abrasa che suo padre gli ha dato per difendersi in quella città ostile. Con sua sorella Elena ancora a terra priva di conoscenza, prende l’arma, la mette nella mano di Enea e esplode un ultimo colpo pigiando le dita del motociclista.


«Mi dispiace, Elena. Comprendimi. Io ancora col tubone del nonno e tu con l’Harley. Era troppo».


All’arrivo della polizia Armando dichiara che una lite nata dalla gelosia è degenerata e che il signore conosciuto per caso su Internet da sua sorella ha iniziato a sparare. Lui è riuscito a levargli la pistola dalle mani e ucciderlo a sua volta.


L’indomani i “ragazzi” di Virgilio portano il faldone della pratica “morte di Vittorio Legu/sinistro stradale” in studio da Armando che trova la procura in bianco già firmata dai signori Legu; ci vuole poco. Solo qualche altro sforzo e riuscirà a farsi assegnare un risarcimento milionario, con conseguente parcella stratosferica.


Il balzo sociale è compiuto, lo scooter da 12.000 euro lo aspetta dal concessionario, i suoi genitori sono contenti e sua sorella non sarà mai costretta a mentire perché non ha visto niente. Per l’ultima volta si chiude la porta dello studio da diciotto metri quadrati alle spalle, da domani ha deciso ne affitterà uno molto più grande, e torna al monovano nel quale abita in sella al tubone che lascia sotto casa, senza nemmeno mettere il bloccasterzo.


Si mette comodo sul letto, ordina una pizza capricciosa e attende la puntuale telefonata di suo padre.


Pronto, Armando… - segue un colpo di tosse.


Papà…


Hai fatto il tuo dovere?