Dainese. Dalle competizioni la sicurezza per i motociclisti. Seconda parte

Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
Proseguiamo il nostro viaggio all’interno della Casa vicentina. Là dove vengono ideate, progettate, sviluppate, ma anche curate dopo la vendita, tutte le soluzioni protettive per i motociclisti che hanno creato la fama di Dainese
  • Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
23 luglio 2014


Proseguiamo il nostro viaggio all’interno della Casa vicentina, in cui vi portiamo dove vengono ideate, progettate, sviluppate ma anche curate dopo la vendita tutte le soluzioni protettive che in quarant’anni hanno contribuito a creare la fama di Dainese. Dopo la prima parte, in cui vi abbiamo parlato delle origini e del processo di crescita della Casa del diavoletto, passiamo a parlare del presente e soprattutto del futuro della protezione Made in Italy.

Ridiamo dunque la parola ai protagonisti di questa evoluzione, partendo un’altra volta dal Marketing Manager Fabio Muner che illustra il percorso compiuto dal primo D-Air racing per arrivare all’attuale D-Air Street.

«La prima evoluzione della piattaforma D-Air è stata evidentemente il D-Air Street, che a qualche anno di distanza dal Racing declina gli stessi concetti nell’uso stradale. Il D-Air Street richiede il montaggio del cosiddetto M-kit, sistema di sensori posizionati sugli steli forcella e sotto la sella che dialogano con quelli presenti sul capo d’abbigliamento – gilet o giacca in gore-tex. Il sistema è ovviamente certificato TUV, cosa che ci ha imposto la ridondanza dei sensori e diverse altre misure di sicurezza per essere certi che in caso di incidente il sistema funzioni correttamente. Il D-Air street può essere acquistato e montato su qualsiasi moto, rivolgendosi ad uno degli installatori certificati Dainese, ma da poco è disponibile anche sulla Ducati Multistrada, che ha creato specificamente il modello “D-Air” – un passo molto importante per la nostra azienda, che si vede riconosciuta da una Casa costruttrice a tal punto da offrire un nostro prodotto come primo equipaggiamento cambiando il nome del modello»

Vittorio Cafaggi
Vittorio Cafaggi

Un processo che nasce ovviamente dall’esperienza maturata in pista, nella fattispecie grazie al patrimonio informativo consolidato nell’archivio Dainese della sede di Molvena. Un vero e proprio paradiso per gli appassionati in cui ci guida Vittorio Cafaggi, Strategic Development Manager, dove vengono custodite gelosamente tutte le tute protagoniste di cadute o incidenti vari.

«Qui c’è un pezzo di storia del motociclismo: troviamo tute a partire dagli anni 70 fino ad oggi, di piloti, campioni, protagonisti di cadute. Non è un banale archivio statico, ma una collezione viva, che ogni anno si arricchisce di nuove entrate che rappresentano per noi una grande fonte di informazioni su come possiamo lavorare per migliorare continuamente la sicurezza delle tute, e dei capi indossati dai motociclisti sulle strade e piste di tutto il mondo, studiando dove e come si sono danneggiate. Curiosità, c’è anche una tuta con cui sono caduto io al Mugello, qualche anno fa, ma non credo che da quella ci sia molto da imparare, meglio fidarsi dei dati che raccogliamo dai piloti che tutte le domeniche corrono nei campionati nazionali e mondiali»

Proviamo a quantificare, per portarvi con noi dentro questo sancta sanctorum normalmente del tutto precluso ai visitatori: cosa troviamo in archivio?
«Qualche numero: la prima tuta è di Dieter Braun del 1975, l’ultima… non lo so, dipende dal prossimo Gran Premio. Ma in totale stiamo parlando di circa un migliaio di tute» spiega Vittorio, ben conscio del tesoro di esperienza racchiuso in questa specie di scrigno delle meraviglie per qualunque appassionato di velocità motociclistica. «Da questo archivio attingiamo quasi settimanalmente, quando c’è la necessità di mettere a punto qualche nuova protezione per una parte del corpo specifica, oppure rispondere alle necessità di un particolare incidente: è importante poter recuperare le tute che hanno subito qualche danneggiamento nella parte che si vuole studiare per capire ancora una volta come intervenire in maniera efficace per proteggere il pilota nel migliore dei modi. E’ così, per esempio, che sono nate le protezioni in metallo su spalle, gomiti e ginocchia che, per fare un esempio, servono ad evitare che il pilota abbia troppo attrito nell’attimo del contatto con il terreno, fattore che potrebbe innescare qualche torsione o rotolamento indesiderato»

 

Venendo a tempi più recenti, si nota come tutte le tute degli ultimi anni siano dotate del sistema D-Air
«Certo: questa è una tuta di Valentino di quest’anno, che oltre a tutte le soluzioni di cui abbiamo già parlato è dotata del D-Air racing – si nota sulla manica la spia del funzionamento. E’ dal 2009 che forniamo ai nostri piloti questo tipo di tuta, con i risultati di cui abbiamo già parlato – l’azzeramento delle fratture alla spalla»

 

Non è però spesso facile superare le “barriere dei piloti”, psicologicamente spesso restii ad adottare soluzioni tanto innovative
« Spesso i piloti, per istinto, non sono particolarmente propensi ad adottare nuove protezioni, sia perché costituiscono un impedimento in più, per minimo che sia – ricordo, per esempio, come Kenny Roberts padre non abbia mai utilizzato il paraschiena – o per il peso ma anche il disagio psicologico di avere addosso qualcosa di cui non si conosce nel dettaglio l’influenza. La cosa impone una progettazione ancora più accurata della protezione dal punto di vista dell’equilibrio già citato fra protezione, ergonomia e comfort, con la certezza che si arriverà al consumatore finale con un prodotto che ha dovuto superare esami molto difficili. Bisogna però dire che i piloti, una volta fatta l’abitudine ad una protezione o magari purtroppo verificatane l’efficacia, arriva a soffrire di una specie di dipendenza da quest’ultima – lo stiamo vedendo anche con il D-Air Racing: i piloti che l’hanno adottato non ne farebbero più a meno, specie se ne ha testato l’efficacia»

«E’ naturalmente molto importante poter dare anche parametri di riferimento: come misuriamo l’efficacia di una protezione? Posso dire, citando il Dottor Costa e altre fonti, che dall’introduzione del paraschiena non abbiamo più registrato shock – non parliamo di compressioni e torsioni, perché su quel punto possiamo fare ancora poco, come nel caso di Rainey – e con il successivo arrivo del D-Air abbiamo visto un altro evidente miglioramento. Qui cito una statistica non fatta da noi, ma da Studio Dromo, nella persona di Jarno Zaffelli, la persona che ha disegnato il circuito di Termas de Rio Hondo: dal 2009, data d’introduzione del D-Air, a fine 2013 nessun pilota Dainese dotato di D-Air Racing ha riportato fratture a spalle o clavicole. Nello stesso periodo, fra i piloti non dotati dello stesso sistema si sono registrate 29 fratture alla clavicola e 23 alla spalla – direi che la statistica parli da sola. Per completezza, diciamo che durante i test invernali il “nostro” Espargaro ha riportato una frattura alla clavicola. Ma anche così siamo 29 a 1, e vale la pena di ricordare che campioni come Carl Fogarty e Mick Doohan si sono dovuti ritirare per infortuni alla spalla»

 

Sarebbe quasi da pensare di rivedere i regolamenti
«Esatto: queste considerazioni aprono una finestra sui regolamenti: si è fatto tanto per la sicurezza dei circuiti e delle moto, dotate di controllo di trazione per evitare cadute dei piloti, ma restano ancora molti casi in cui è necessario proteggere maggiormente il pilota – diversi incidenti degli ultimi tempi sono lì a testimoniarlo. Credo che sia giunto il momento di lavorare sull’abbigliamento a livello regolamentare, visto che negli ultimi anni si sono fatti passi avanti significativi perché non integrarli nei regolamenti con introduzioni graduali di obbligatorietà?»

 

Ma torniamo a noi: lo sviluppo tecnologico porta al già citato travaso delle informazioni dalla pista alla strada. Un percorso che offre diversi benefici anche nel servizio post-vendita, da sempre fiore all’occhiello della Casa vicentina. Ce ne parla Maria Grazia Rutter, After-sales Service Manager.
«Il nostro servizio di assistenza tecnica raccoglie fondamentalmente le esigenze dei nostri clienti, ovvero ripristinare il proprio capo. I clienti utilizzano la tuta in pelle, i giubbini, su strada o in pista. Nel momento in cui c’è qualunque tipo di danneggiamento vogliono avere la possibilità di ripristinarlo»

Maria Grazia Rutter
Maria Grazia Rutter

Un servizio per cui diventa quindi fondamentale il supporto dato ai piloti, su cui per primi abbiamo dovuto valutare in che modo ripristinare le tute di pelle impiegate in gara
«Il nostro concetto di riparazione parte proprio da lì: non si tratta di un semplice ricondizionamento di un capo, ma si tratta – e ci teniamo a precisarlo – di una vera e propria rimessa in sicurezza del capo. Parliamo dei nostri piloti ma anche dei nostri clienti: fondamentalmente, ogni volta che uno di questi desidera riparare il capo presso la struttura tecnica Dainese noi proponiamo una rimessa in sicurezza del capo. Il che significa che quel capo deve tornare ad avere le caratteristiche tecniche originali per essere utilizzato in piena sicurezza»

 

Un’attività decisamente più complessa di una semplice riparazione, che richiede doti di esperienza e competenza consolidate nel tempo
«Qui entrano in gioco le competenze del nostro personale, quasi tutto in forza a Dainese da più di trent’anni, che conosce perfettamente la costruzione dei capi, sa come sono realizzati e quindi come intervenire per ripristinare le parti danneggiate mantenendo un perfetto equilibrio fra la struttura del capo, fra parti vecchie e nuove da sostituire, cercando di ripristinare il tutto secondo canoni non solo di sicurezza ma anche estetici. Il valore aggiunto è unire il valore della sicurezza – in primis – all’aspetto estetico. Il giusto equilibrio fra il saper riparare il capo ma anche il gusto per scegliere il sistema che offre i risultati migliori a livello estetico e riportare così il capo in condizioni estetiche quasi perfette»

 

Il capo torna quindi praticamente nuovo
«Si, spesso i clienti ci ringraziano perché si ritrovano una tuta, o un giubbotto, praticamente nuovi. Sostituiamo infatti tutti i pezzi danneggiati, senza lasciare traccia dell’incidente o dell’usura. Il capo ritorna fondamentalmente nuovo. E’ il servizio che offre, in azienda, il miglior valore aggiunto, su cui investiamo tantissimo perché sappiamo che fa la differenza. I capi arrivano in condizioni devastate, noi riusciamo a ripristinarle in condizioni in cui il capo sembra tornare a nuova vita»

 

Viene spontaneo chiedere quindi quanto possa durare un capo se ben tenuto
«Possiamo serenamente affermare che non c’è scadenza – vediamo arrivare capi con oltre vent’anni di uso sulle spalle. Qui entra in gioco un discorso affettivo di chi non riesce di abbandonare un capo storico e sceglie, inviandocelo, di adottare delle soluzioni nuove rispetto a quelle disponibili alla nascita di quel capo. La cosa bella è vedere come, prendendo in mano un capo di dieci, quindici anni fa, si riesca a ridargli nuova vita, un nuovo splendore, adottando tecnologie maturate durante il corso del tempo. Allo stesso modo ci sono clienti che ci mandano la tuta nuovissima che si è danneggiata in una scivolata – non possiamo dare una scadenza, il nostro servizio lavora veramente su ogni tipo di capo Dainese. Diciamo che lavoriamo spesso su capi di una certa età – i nostri clienti sono motociclisti, per cui il capo rappresenta una serie di esperienze maturate, dalle quali ovviamente fanno fatica a separarsi per questioni affettive»

 

Motociclisti, strana gente. Tanto strana che spesso alcune richieste sono davvero curiose
«Una volta ci sono rientrati un paio di guanti da parte di un cliente giapponese che a seguito di un incidente ha perso un dito. Ci ha chiesto di riadattarli in qualche modo. Ci siamo fatti inviare le foto delle mani, abbiamo analizzato il tutto e gli abbiamo ripristinato i guanti tagliando la parte di dito che non era più utilizzabile e ricucendola in modo da poterli riutilizzare in piena sicurezza. Un’altra richiesta curiosa ci è arrivata dalla Germania, dove un altro cliente Dainese di vecchissima data, da sempre acquirente di capi realizzati su misura – altro servizio che offriamo – in seguito ad infortunio, aveva una posizione del braccio sinistro praticamente obbligata quando era in sella. Un nostro tecnico andò dal cliente, riprese tutte le misure e fece si che quando arrivavano i suoi capi in manutenzione avessimo già tutti i riferimenti della posizione del braccio che lui riusciva a mantenere. Riusciamo ancora oggi – perché è ancora un nostro affezionatissimo cliente – a realizzargli capi su misura o a ripristinarli con l’identica posizione del braccio»

Fabio Muner
Fabio Muner

Questo, dunque, lo stato dell’arte. Ma è il momento di parlare del futuro. Ripassiamo la parola a Fabio Muner, soprattutto per capire quanto in futuro peserà la protezione di tipo pneumatico rispetto a quella tradizionale.

«Il nostro obiettivo è di evolvere sempre di più la protezione del corpo umano attraverso l’aria – vogliamo proteggere le zone più esposte a traumi negli incidenti in gara e per strada. Il torace è un passo che stiamo già affrontando e che vedrete presto nelle competizioni con tutti i piloti sponsorizzati Dainese; il prossimo step non toccherà le anche – avevamo già lavorato su quella zona in passato, ma la casistica di incidenti che le coinvolgono è molto bassa – quanto piuttosto le estremità del corpo, che sono le zone più esposte e allo stesso tempo più fragili. Per arrivarci ci sarà da fare un lungo lavoro sull’ergonomia, sulla canalizzazione dell’aria per raggiungere queste estremità e soprattutto ovviamente sulla velocità di gonfiaggio non solo del sacco più vicino ai gas generator quanto soprattutto di quelli periferici»

«La protezione rigida è ancora attuale, è qualcosa che deve lavorare in combinazione con la protezione pneumatica. Facciamo un esempio: il paraschiena è ancora presente nelle tute D-Air Racing, e lavora in combinazione con il sacco. Allo stesso modo, la protezione torace rigida è integrata con il sistema Thorax che stanno sviluppando i nostri piloti. La stessa cosa avverrà per le protezioni dei fianchi piuttosto che di gambe o braccia»

Un lavoro che parte quindi sempre dalle competizioni per arrivare alla produzione di serie, come tiene a ribadire Muner
«Il lavoro con i nostri piloti per migliorare il nostro prodotto è imprescindibile: il rapporto migliore è quello con i piloti che vengono in Dainese perché credono nel know-how dell’azienda e nella sua leadership per quel che riguarda la protezione nel mondo delle due ruote, ed è il primo a mettersi in gioco e a darci quei feedback tecnici puntuali per migliorarci e fare si che lui possa raggiungere le prestazioni che si aspetta»

«Abbiamo avuto collaborazioni con tanti piloti; alcune sono state molto lunghe, altre si sono interrotte anche perché noi non cerchiamo di trattenere piloti che non siano in grado di darci feedback puntuali, ma soprattutto che non ci vedono come partner tecnologici che li possano aiutare a proseguire la stagione senza infortuni, limitandosi a considerarci interlocutori economici. Questi piloti per noi hanno valenze davvero di poco conto: la bacheca di Dainese è fortunatamente ricca di trofei, la differenza la vogliamo fare con quei piloti che sanno fare la stessa analisi, che mettono lo stesso impegno nella definizione dell’assetto della moto anche nello sviluppo del loro abbigliamento. In questo Valentino Rossi, ma anche Max Biaggi, sono piloti tanto puntigliosi con la moto quanto con quello che portano addosso – sono queste le sponsorizzazioni che ci permettono di occupare quella posizione di leadership di cui abbiamo parlato»

 

E il futuro meno prossimo? Passa per altre specialità a volte facilmente correlabili ma anche per altri impieghi che a volte non si immaginerebbero strettamente legati al motociclismo, come ci spiega Vittorio Cafaggi.

«Siamo presenti nella Mountain Bike Downhill, nello sci Dainese è stata ancora una volta la prima ad introdurre il paraschiena – adesso introdurremo le nostre tecnologie più evolute, sotto forma del D-Air, su diverse applicazioni. Fra tutte ricordo quella in collaborazione con Iveco – abbiamo due progetti sia con Iveco che con Iveco Defence, per proteggere i conduttori sui veicoli commerciali e i soldati all’interno di quelli militari. Avremo anche a breve un incontro con personale del MIT, il Massachusetts institute of Technology, che sta lavorando a protezioni da offrire agli astronauti sulla base della tecnologia D-Air. Un’altra prospettiva sul futuro passa per la protezione degli anziani, esposti a traumi potenzialmente letali – non tanto per la loro entità quanto per le conseguenze – a seguito di banali cadute. Un aspetto in cui possiamo fare molto grazie alla nostra tecnologia»

 

Programmi attualmente allo stato prototipale, che però prima o poi prevedono sbocchi sulla serie. Per curiosità chiediamo di vedere un esempio di qualche soluzione che invece non ha avuto seguito nella storia Dainese. E si torna in archivio, dove Cafaggi recupera una tuta con una soluzione testata da Valentino Rossi qualche tempo fa…
«Valentino rappresenta un campione straordinario nel mondo del motociclismo, che ha dato molto allo sport ma anche alla ricerca e sviluppo delle protezioni – qui vediamo un prototipo di sistema di raffreddamento. Quando si corre in Malesia, temperature ed umidità molto elevati portano a forti perdite di liquidi per il pilota: qui abbiamo un prototipo testato da Valentino durante dei test, che ha dimostrato di funzionare egregiamente ma ancora troppo pesante. E’ un progetto che deve essere ulteriormente sviluppato per poter procedere. Ma qui possiamo vedere le protezioni in titanio su gomiti, spalle e ginocchia, che evitano quell’aderenza eccessiva di cui parlavamo prima e sono posizionate nell’area precisa in cui avviene il primo impatto in caso di caduta: un perfetto esempio di quanto sia importante studiare la dinamica e i punti di impatto di tutte le cadute»