Alex Puzar: "Arrivederci in pista"

Alex Puzar: "Arrivederci in pista"
Massimo Zanzani
Dopo il pauroso incidente di inizio aprile il due volte iridato piemontese è pronto per tornare nel paddock, ma solo come spettatore | M. Zanzani
5 maggio 2010


Il più brutto giorno della sua vita, un burlone come Alex Puzar non poteva averlo che il 1° aprile. Non è stata affatto uno scherzo però la caduta in allenamento in sella alla Aprilia con la quale doveva partecipare al mondiale Veterani che ha fatto temere per la sua vita. Anzi, è stato il peggiore incidente mai capitatogli nella sua lunga e gloriosa carriera di pilota, che lo ha portato a dire basta una volta per tutte. A distanza di un mese lo abbiamo raggiunto telefonicamente per sapere delle sue attuali condizioni fisiche.
 
Alex, come va?
«Meglio, ho ancora male ma sto recuperando. D'altronde mi sono fratturato nove costole, quattro vertebre e ho danneggiato il 20% della milza, che però mi hanno recuperato, oltre ad aver avuto una emorragia interna, i polmoni bucati, e mi hanno levato tre litri di sangue dallo stomaco».

Hai avuto più male o paura?
«Paura no, perché quando sono caduto non ho preso una facciata e quindi sono stato cosciente sempre. E’ andata bene perché quando mi sono rialzato ho iniziato a perdere sangue dalla bocca, ho capito subito che arrivava dallo stomaco e che avevo una emorragia interna. Fortunatamente non sono svenuto, perché ora che si accorgevano che avevo una emorragia interna sarebbe stato troppo tardi. Invece ho fatto chiamare subito il 118, dopo dieci minuti è arrivato l’elicottero e mi hanno portato subito in ospedale perché non respiravo più. E’ andato tutto tutto al pelo. Un pò di paura in effetti l’ho avuta appena sono caduto e ho visto uscire il sangue dalla bocca, perché anche se il resto lo muovevo tutto ho realizzato che poteva essere un’emorragia interna, ma è durata pochi secondi perché poi dovevo reagire e quindi non ho avuto tempo di pensare alla paura, al contrario del male che ho avuto tempo di sentirlo e anche tanto».

Quando mi ruppi sei costole ricordo che ogni respiro era una coltellata ai reni, non mi immagino quanto hai sofferto te con tutta ‘sta roba rotta...
«Avevo male alle costole, ma anche alla schiena perché le vertebre si sono rotte all’altezza delle scapole e lì passano tutti nervi. Poi mi si è strappato il muscolo. Ho avuto un dolore atroce per quindici giorni, tanto che a un certo punto non riuscivo più a sopportarlo e mi hanno iniziato a dare della morfina. Se io non l'avessi avuta sarei morto perché avevo davvero tanto male dappertutto».

Adesso quindi va meglio?
«Decisamente, adesso cammino e sono autosufficiente, ieri addirittura sono andato a fare delle commissioni in centro a Monaco sul mio T-Max. E pensare che i medici mi hanno detto che dovevo stare minimo tre mesi a letto. Ma ho  chiamato il dottor Claudio Costa e mi ha detto che dovevo fare quello che ti sentivo, ed ho seguito il suo consiglio come ho sempre fatto quando correvo».

Certo che stavolta hai preso proprio una brutto colpo.
«L’ho preso brutto perché la moto mi è venuta addosso. Mi era partita di colpo su una serie lunghissima di buche sulla sabbia, si è messa di traverso e sono andato a sbattere sulla salita della buca successiva, quindi ho subito una grande compressione e mi sono spaccato le costole. Il problema maggiore è stato che poi nel rotolare la moto mi ha colpito dietro, e mi è andata bene perché mi ha preso sulla scapola e sulle vertebre laterali, non quelle centrali dove passa il midollo. Così mi ha rotto solo i processi tra vertebra e vertebra».

Avevi la pettorina?
«Avevo quella leggera, che praticamente serve a poco, e sono stato fortunato perché se la moto ti prende bene ti può ammazzare».

Che mi ricordi io, questa è la tua caduta più brutta, perché anche quando ti sei rotto il ginocchio non era così grave.
«No, non è stato così grave, questa è stata decisamente la più grande legnata che ho dato nella mia vita. E ne ho date tante, con l’elicottero, con la moto, ma questa è veramente la più grande».

Hai riflettuto a cosa è stata dovuta la caduta?
«Secondo me ho preso con la ruota davanti un canale e con quella dietro un altro e in quel tratto veloce sulle buche la moto mi si è buttata di traverso. Tra l'altro mi hanno detto che nello stesso punto, addirittura nella stessa buca ,cadde anche Andrea Bartolini e si ruppe le vertebre. Quella di Sissa è una pista difficilissima, però giravo bene, non ero stanco, facevo due o tre giri un po’ veloci poi mi fermavo. Secondo me sono bastati quei tre centimetri che mi hanno fregato, ma non me ne sono accorto. Il problema è che è stato talmente improvviso che non sono riuscito a reagire».

Hai avuto molte telefonate dopo la caduta?
«Un casino, la prima giornata mia moglie Daniela ha detto che mi avevano cercato 650 persone. Il telefono lo gestiva lei perché io non capivo un tubo, ero immerso nella morfina e stavo bene lì. Sai che dicevo ai medici: datemene di più che quando esco vado da Muccioli a disintossicarmi. Scherzi a parte, ora basta , il gioco è finito».

Hai deciso di appendere il casco al chiodo una volta per tutte?
«Sì, ho troppo da perdere e devo lavorare. Questa botta mi ha fatto rendere conto che non è più ora di andare in moto. Quest’anno andavo molto bene, ma ho capito che la testa ti dice di andare forte perché sei abituato così, ma il fisico non ha più l’elasticità di quando avevi vent’anni e quindi anche quando cadi ti fai più male. Purtroppo io se vado in moto devo spalancare, non posso andare tranquillo, ma allora è un gioco pericoloso e devo rinunciare».

Beh, ci farà piacere vederti ugualmente nei paddock col tuo ruolo di racing service Progrip.
«Certo, continuo a fare le mie varie attività, vendere e mettere a posto appartamenti e soprattutto lavorare per la Progrip, di lavoro ce n’è da fare in in azienda e sulle piste. Sono stato fortunato a lavorare per loro, per me è la mia seconda famiglia. Un’altra azienda mi avrebbe detto che non avrei potuto permetterti di farmi male, di perdere il service alle gare, e invece i Franchi si sono comportati come dei fratelli. Ma ora non posso più permettermi di ritrovarmi in una situazione del genere, per rispetto loro e anche per la mia  vera famiglia».

Adesso hai delle terapie da fare?
«Innanzi tutto vorrei ringraziare i reparti rianimazione e chirurgia d’urgenza dell’Ospedale Maggiore di Parma che si sono comportati in modo davvero eccezionale. Per il resto ho finito di prendere tutti gli antinfiammatori e sto già facendo saune e ripulendo il sangue. Quando sono uscito dall’ospedale fisicamente però ero distrutto, tra morfina, antibiotici e antidolorifici non riuscivo più nemmeno a camminare. Ora devo cercare di non sforzarmi, miglioro giorno per giorno, e quando non avrò più dolori inizierò a fare lo stretching e un po’ di palestra. Anche perché sono arrivato a perdere nove chili, adesso sono a sei ma è dura ritornare in forma».

Comunque finché ci si può ridere sopra va bene.
«Se esci indenne da situazioni come queste sei portato a dare più valore a tante cose. Nella sfiga, queste esperienze che io non auguro a nessuno ti rendono più riflessivo, pensi e rispetti più certe determinate cose di cui prima te ne fregavi. Quindi ti servono perché vedi la vita in un’altra maniera. Anche per incazzarti meno, perché poi ti dici: perché mi devo incavolare e magari domani faccio un incidente e non ci sono più. La vita è talmente breve e bella,che bisogna viverla bene e sino in fondo».

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