Intervista. Cyril Despres: "La mia quarta vittoria alla Dakar"

Intervista. Cyril Despres: "La mia quarta vittoria alla Dakar"
Suo il poker di vittorie che lo proietta tra i grandi dei rally. Cyril ci racconta il suo incidente nella trappola di fango (guarda il video), la sua vita privata e l'eterna sfida col rivale Coma. E ci spiega il segreto della sua forza
31 gennaio 2012

Le interviste ai protagonisti della Dakar

Apriamo il ciclo di interviste ai protagonisti della Dakar appena conclusa con Cyril Despres, il vincitore. Il pilota francese, in sella alla sua KTM 450 Rally, ha conquistato il quarto successo (prima aveva vinto nel 2005, 2007 e 2010). Cyril rappresenta il pilota professionista, un vero specialista dei rally che vive e si allena con l’obiettivo di vincere la Dakar. E quest’anno ha centrato ancora il bersaglio. Oltre a lui daremo voce a un’altra leggenda di questa gara, Franco Picco, che ha corso la sua 19esima Dakar nella categoria Marathon, sfiorando il successo nonostante una doppia frattura a piede e costola. Un vero mastino, che a 56 anni incarna alla perfezione lo spirito di questa competizione, e che rappresenta la nutrita schiera di piloti semi-professionisti in gara. Ascolteremo poi il racconto di due esordienti. Il primo, Alessandro Botturi, ha fatto tesoro dell’esperienza maturata in tanti mondiali di enduro ed è stato il rookie of the year (miglior esordiente al debutto), ottavo al traguardo con l’italianissimo team Bordone Ferrari. Il secondo, Manuel Lucchese, si è dovuto ritirare per noie meccaniche, ma ha delle incredibili avventure da raccontarci. Notti trascorse nel deserto, perso tra le dune e con la moto in panne: cose che solo alla Dakar possono accadere.

Cyril, dove ci eravamo lasciati?

Il campione parigino ha 38 anni (è nato il 24 gennaio del 1974 a Fontainbleu) e può vantare in bacheca la bellezza di quattro vittorie e un serie infinita di podi alla Dakar (cinque volte secondo, due volte terzo).
Cyril ha corso 12 edizioni, vincendone 4. Una media impressionante che fa di lui un autentico fuoriclasse dei rally. Ricordiamo ai lettori di Moto.it che in passato Despres ha vinto tanto nei rally quanto nell’enduro estremo: primo nell’Erzbergrodeo del 2002 e 2003, vincitore del Romaniacs nel 2004 e nel 2005, negli stessi anni è sua l’Holeshot sul velocissimo tracciato del Touquet, nel 2007 rivince il durissimo Romaniacs, nel 2008 e nel 2009 vince il Rally di Sardegna. Domina la scena rallistica internazionale ed è spesso tra i primi anche negli enduro indoor europei (clicca qui per scoprire il suo palmares).
 
Cyril in sella alla sua prima moto, una Fantic da trial esposta nel soggiorno di casa
Cyril in sella alla sua prima moto, una Fantic da trial esposta nel soggiorno di casa

Era come se fossi finito in un barattolo gigante di Nutella! Pensavo di poter incappare nelle classiche pozze di fango tipiche di un temporale, ma non in un lago vero e proprio...

Ovviamente quando gli organizzatori hanno visto che tutti i piloti finivano bloccati nel fango, non hanno avuto altra scelta e hanno deviato la speciale. Altrimenti avrebbero dovuto interrompere la gara anche per ragioni di sicurezza. E, una volta cambiata la tappa, i commissari della FIM non hanno potuto fare altro che restituire il tempo perso ai piloti che erano stati penalizzati dal cambio di percorso. Per me non si tratta di dire se i commissari hanno lavorato correttamente o meno, semplicemente hanno fatto quello che dovevano fare. Non c’era altra scelta».

Dall’esterno è sembrata una Dakar molto dura rispetto alle passate edizioni. Ce lo confermi?
«E’ vero che da quando la Dakar si è spostata in Sud America, da quando David Castera fa il road book e da quando siamo passati alle 450, il tracciato è diventato molto più tecnico. Le distanze si possono essere accorciate un po’, ma le giornate non sono affatto più corte! Ovviamente tutto ciò rende le giornate belle toste, ma la Dakar è sempre stata la gara più dura al mondo e tutti noi lo sappiamo prima dello start. Sono un pilota professionista che parte per vincere, per questo mi alleno davvero tanto prima della gara. Non tanto in moto, quanto piuttosto in palestra, in bici e in piscina. Questo non rende più facile la Dakar, ma fortifica il fisico, che sopporta meglio la mancanza di riposo, la fatica, il dolore. Poi quando tutto è finito, l’adrenalina cala e di colpo senti tutta la stanchezza accumulata!».

Tu e Marc fate il vuoto alle vostre spalle. Senza di voi, verrebbe meno l’interesse per questa gara, le sue sfide. Cosa vi distingue dagli altri?
«Bella domanda, un sacco di piloti vorrebberlo scoprirlo! Chiaramente si tratta di una combinazione di tante cose. Come ti ho appena detto, mi alleno tantissimo prima della gara e so per certo che Marc fa lo stesso. Siamo fortunati ad essere dei piloti professionisti, che si possono concentrare tutto l’anno solo su questa gara. Già questo vuol dire tanto. Poi abbiamo una moto fantastica e possiamo svilupparla col solo obiettivo di vincere la Dakar. La KTM Rally non è una moto da enduro adattata, ma una moto costruita da zero per gareggiare nei rally-raid. E siamo supportati da un team di grandissima esperienza. 
 

L'allenamento di Cyril è davvero impegnativo
L'allenamento di Cyril è davvero impegnativo

Tutti i componenti delle nostre squadre hanno corso tante Dakar e sanno esattamente cosa devono fare. In più possiamo godere dell’appoggio di piloti che corrono la Dakar per aiutarci a vincere: non hanno ambizioni di classifica e sono pagati dalla KTM per fornirci il loro supporto, e fanno un ottimo lavoro. Anche l’esperienza è un fattore cruciale. Ho fatto la mia prima Dakar nel 2000 e da allora ho corso circa 90 rally. In questi giorni ho compiuto 38 anni, quindi non sono il pilota più giovane al bivacco, ma il mio stato di forma e la mia esperienza – così come quelle di Marc – fanno sì che non sia facile batterci! Non voglio sembrarti presuntuoso, ma credo sia corretto dire che solo Marc e io iniziamo la gara credendo di poterla vincere. E se non parti credendo di vincere, hai davvero poche chance di poterla vincere davvero!».

Ora correte con le 450. Ti manca l’esuberanza del vecchio 690? Ti diverti ancora come una volta o sei troppo concentrato a salvaguardare la meccanica del motore “piccolo”?
«Non nego che mi piaceva davvero tanto la guida del 690, era una moto potentissima che regala tanto divertimento. Comunque il 450 è molto più leggero e questo, unito al cambiamento subito dal tracciato negli ultimi anni, aiuta molto noi piloti. Certo, devi guidare la moto rispettandone la meccanica, senza inutili eccessi. Fortunatamente il mio background, sia di meccanico che di trialista, mi porta a non maltrattare mai il motore. Non mi devo sforzare molto per preservare il propulsore, mi viene naturale».

La Dakar africana era durissima. Ora invece il bivacco è accogliente, con tanto di camper e furgoni. Com’è la vita del pilota ufficiale? Si è perso lo spirito delle prime edizioni?
«Ho tanta nostalgia della Dakar corsa in Africa, aveva un’atmosfera speciale, davvero unica. Vado ancora spesso in Africa perché sono coinvolto nella Fondazione Fabrizio Meoni. Ma a parte questo, tutto cambia nella vita e ci dobbiamo adeguare. Bisogna ricordarsi che la gara è fatta al 90% da piloti privati che corrono per il piacere di farlo e, anche se vogliono una gara impegnativa, chiedono anche un minimo comfort, cibo decente e una bella doccia la sera. Credo che pochi di loro sarebbero disposti ad accettare le condizioni di 10 anni fa! Questo significa che la Dakar è più comoda anche per noi ufficiali e ora per la prima volta sono ammessi i camper al bivacco: questo allontana ancora di più la Dakar dall’Africa. Ma più comfort non significa necessariamente che la gara sia più facile. Dormire bene ci permette di essere ancora più veloci il giorno dopo in corsa. Il fatto di non dover preparare il road book all’aperto, sotto una tempesta di sabbia, mi consente di prestare più attenzione a quello che sto facendo, ma questo non vale solo per me! In un certo senso, il fatto che ci sia più comfort fa meno differenza a noi ufficiali rispetto ai piloti privati. Loro possono godersi un po’ di riposo in più, mentre noi dobbiamo sfruttare ogni minimo miglioramento nelle condizioni di vita per essere ancora più competitivi».

Nel 2006 sono stato a casa tua ad Andorra, ho visto quanto sia duro l’allenamento in moto, in palestra e in piscina. Tutto è finalizzato alla vittoria nella Dakar. È cambiato qualcosa nel tuo approccio alla gara in questi 6 anni?
«Bene, mi alleno ancora così duramente. Anzi, perfino più di quanto facessi quando sei venuto a trovarmi. È cambiato l’approccio, che oggi è un po’ più scientifico. Trascorro molto tempo in un centro di allenamento specialistico, a Perpignan, si chiama Presport. E una volta all’anno mi reco nel centro sportivo della Red Bull in Austria, è davvero hi-tech. E sembra che funzioni, dato che durante il mio ultimo controllo nel centro Red Bull, appena prima di partire per la Dakar, mi hanno trovato in condizioni fisiche eccellenti, come mai prima d’ora».

Ora ti puoi godere il successo. Andrai in vacanza o ti godrai la famiglia?
«Un po’ tutte e due. Quando vinci la Dakar, un sacco di persone ti vuole incontrare e così vivi un periodo in cui sei davvero impegnato. Ora potrò riposarmi un po’, cercherò di stare un po’ a casa con la mia fidanzata e mia figlia. Poi andremo in vacanza».

Nel tempo libero, lontano dagli impegni della moto, cosa ti piace fare?
«Tempo libero… che cos’è?! Non ne ho davvero in questi giorni! I miei hobby sono andare in bici, fare trial, sciare e così via… ed è un bene perché sono attività perfette per la preparazione atletica. A parte questo, mi piace moltissimo stare a casa con la mia famiglia, cosa che per me è davvero un lusso. Sogno di poter andare a prendere la mia bambina all’asilo. Cose semplici, come tutti».

Quando sei un professionista, inizi a preparare la Dakar successiva nel giorno in cui ha concluso quella corrente

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