Nico Cereghini: "Quando la moto passa di mano"

Nico Cereghini: "Quando la moto passa di mano"
Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Sapete come funziona: se presti la moto a un amico, ti torna indietro diversa. E non parliamo delle moto da corsa che sono ancora più sensibili. Oggi Sky maneggia la MotoGP con qualche difficoltà, ma poi prenderà le misure
  • Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
25 marzo 2014

Punti chiave

Ciao a tutti! Quando ero un tester di prima linea, e mettevo il sedere su tutte le novità, avevo l’occasione di provare anche le più belle moto da corsa. Era il sogno della mia vita fin da quando, ragazzino agitato, consumavo le pagine di Motociclismo e imparavo a memoria le misure di alesaggio e corsa di ogni 125 prodotta sul pianeta; più tardi ero stato un pilota delle 500 nei GP e delle 1000 nell’Endurance, pensavo insomma di avere tutte le carte in regola. E invece no, in quelle giornate passate in pista con le moto degli altri non sono mai stato a mio agio.

Metti il caso della Suzuki RG 500 campione del mondo con Uncini nell’82, oppure la NS tre cilindri di Spencer o la Yamaha di Rainey o più avanti la Cagiva di Lawson. La prassi era standard, facevo quei cinque o sei giri di pista normalmente concessi ai giornalisti-tester tanto perché si facciano un’idea, e poi buttavo giù le mie note tentando di trasmettere le emozioni che passa una prova di questo tipo. Ma la sensazione più forte la tenevo per me e con una certa vergogna, perché non era quella della strapotenza del motore o della superguida concessa dalla ciclistica racing, ma era piuttosto la scomoda consapevolezza di avere rotto una sacralità, di avere sporcato un mito.

Ogni moto da corsa è strettamente legata al casco e alla tuta del suo pilota; senza quella specifica grafica dell’integrale dentro il cupolino, senza quei colori della tuta in pelle che tutti conoscono bene, la moto non è più lei, l’incanto è spezzato


Sì, perché ogni moto da corsa è strettamente legata al casco e alla tuta del suo pilota; senza quella specifica grafica dell’integrale dentro il cupolino, senza quei colori della tuta in pelle che tutti conoscono bene, la moto non è più lei, l’incanto è spezzato. E il colpevole di quel misfatto ero proprio io, peraltro condannato alla fotografia di una piega modesta, quella del primo approccio.

Domenica, guardando le gare in televisione, ho riprovato una cosa del genere. Senza la voce di Guido Meda, senza i commenti vivaci di Beltramo-dai-box, la MotoGP pareva una cosa diversa da quella che amiamo. E vedo che è capitato anche a molti di voi. E’ troppo presto per dare giudizi, la squadra di Sky deve ancora prendere le misure all’evento e di sicuro migliorerà, perché nessuno nasce “imparato”. Anche Meda e Reggiani, all’esordio, erano un po’ impacciati, soltanto il mio amico Paolone era già perfetto. Però resta il fatto che domenica abbiamo sentito in tanti qualcosa di amaro in fondo al cuore.

Noi motociclisti abbiamo la tendenza a considerare la moto una parte di noi, una nostra creatura; non la condividiamo volentieri, e se per qualche necessità dobbiamo affidarla a un amico già sappiamo che purtroppo, alla riconsegna, troveremo una moto diversa da quella che gli abbiamo consegnato. Il cambio sarà meno preciso, e le sospensioni scoordinate faranno ballare, chissà perché, la nostra cavalcatura che prima era così perfetta. Anche la MotoGP televisiva è passata di mano, e le nuove mani sembrano meno esperte di quelle vecchie. Ma sono mani molto fortunate: la prima gara è stata un grande show. E di questo passo, dopo quattro o cinque domeniche, vedrete che tutti ci abitueremo alle novità.

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