Nico Cereghini: “Al Sachs, per confermare”

Nico Cereghini: “Al Sachs, per confermare”
Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
Andrea Dovizioso ci arriva da leader con la Ducati, Valentino Rossi da fenomeno ritrovato, Danilo Petrucci da combattente. La pista è molto amica di Marquez, ma…
  • Nico Cereghini
  • di Nico Cereghini
29 giugno 2017

Neanche il tempo di festeggiare come si deve la giornata storica di Assen, con Valentino Rossi tornato alla vittoria dopo un anno e con Andrea Dovizioso e la Ducati balzati in testa al campionato, ed eccoci in terra di Germania per la nona prova della stagione, al Sachsenring. La pista non è speciale, soltanto 3.700 metri, la più corta del calendario, e poco più di 160 orari di media sulle tredici curve disegnate una dentro l’altra. Sui settecento metri del rettilineo la massima velocità di punta registrata è inferiore ai 300 orari: 2015, Ducati e Dovi. Eppure in genere piace, e c’è un pilota in particolare che non vede l’ora di cominciare: Marc Marquez, che da quando è al manubrio di una Honda MotoGP qui vince sempre e ha tutti i record.


Impossibile dimenticare come andò l’anno scorso: il via con la pioggia, poi il sole e il cambio della moto. Vi faccio la cronaca. Sul bagnato gli italiani sono davanti a tutti con Petrucci e il Dovi, le due Ducati in gran forma e poi un ottimo Rossi. E Marquez soffre. Ma poi smette di piovere e con la pista umida Marc anticipa tutti, entra per primo nei box, cambia moto e scopriamo che il team gli ha montato due slick! Strategia vincente: Petrucci è già fuori gara per caduta, Rossi e Dovizioso, da non credere, ignorano le segnalazioni del muretto e quando si fermano per il cambio moto è troppo tardi!


Davanti alla tivù vi sarete agitati un bel po’. Alla fine Andrea è stato bravo a ritrovare il ritmo e ha saputo portare la Ducati sul terzo gradino del podio; Rossi no, con le intermedie si è perso e ha chiuso soltanto ottavo con la Yamaha. Peggio di lui il compagno di squadra Lorenzo, quindicesimo al traguardo. Ma in quella gara Marc Marquez è stato veramente grandioso: due giri per prendere le misure alle slick sull’umido e poi via su ritmi incredibili e con un controllo assoluto. Quando vedi un pilota guidare la moto in quel modo, allora devi concordare: quella è semplicemente arte. E del resto l’anno prima, 2015, ultimo GP di Germania disputato in condizioni meteo perfette, Marc non ha avuto rivali mentre alle sue spalle si accendeva un duello serrato tra Pedrosa e Rossi, vinto dallo spagnolo. E Iannone con la Ducati chiudeva quinto, dietro a Lorenzo.


Un po’ di storia e di geografia. Questa è una regione -la Sassonia con capitale Dresda a un centinaio di chilometri dalla pista- famosa per i suoi castelli, il fiume Elba, Lipsia e le porcellane; dal 1949 al 1990 era territorio della Repubblica Democratica Tedesca, la Germania Est, ed ha una grandissima tradizione motoristica. L’impianto del Sachsenring è recente (è nato nel ’96 e ospita il GP dal 1998), ma in quelle zone si correva fin dagli anni Venti, e dovete sapere che dal ‘61 al ‘72 il Gran Premio della Germania Est fu un evento assolutamente unico. Per veder correre Hailwood ed Agostini accorrevano anche trecentomila spettatori, era l’evento più importante dell’anno e anche la gara più seguita del mondiale. La gente stava assiepata lungo le strade chiuse per l’occasione, con salite e discese, un tratto addirittura lastricato col pavè: quasi nove chilometri con case, marciapiedi, pali e tutto il corredo delle gare di una volta.


Era una festa e però, nella sorpresa generale, dopo il 1972 il Sachsenring chiuse al mondiale e ospitò soltanto gare “oltrecortina”, cioè riservate ai Paesi satelliti dell’Unione Sovietica. L’episodio che spinse il governo locale a sbarrare le porte è del 1971: quando il tedesco occidentale Dieter Braun (Yamaha) vinse la 250, migliaia di spettatori cantarono commossi il “suo” inno nazionale, quello della Germania Ovest. Perché la gente era stanca, non ne poteva più.


Questo è il passato, l’oggi è più luminoso e più spettacolare. L’equilibrio è assoluto, da molte stagioni non si vive un campionato così equilibrato con quattro piloti in undici punti, cinque vincitori diversi in otto gare, un italiano al vertice con una moto italiana: Dovizioso e la Ducati. Si può desiderare di più? Ah sì, c’è anche un’altra leggenda italiana che da ventuno anni è al vertice del motociclismo, che domenica scorsa ha vinto ancora ed è terzo in classifica.


Ultima considerazione personale. Alla vigilia di questo campionato 2017 si poteva anche pronosticare che a metà stagione la Ducati sarebbe stata ben piazzata. Per molti, anche per me, Jorge Lorenzo pareva destinato a partire col botto fin dal Qatar: lui fuoriclasse, la moto evoluta, Dall’Igna convinto, la pista amica delle rosse. Invece le cose sono andate diversamente, allo spagnolo serve ancora tempo, a sorpresa il pilota di riferimento è oggi Andrea Dovizioso ed è lui meritatamente in testa al mondiale con due vittorie come Maverick Vinales. Si può soltanto concludere che il motociclismo non è una scienza esatta e poi la moto, con il suo equilibrio così speciale, è una magia. La Ducati, il Dovi e il Dottore: sembra tutto vero, ma se è soltanto un sogno… non svegliateci!

 

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