Nicky Hayden. Le parole di un campione

Nicky Hayden. Le parole di un campione
In ricordo di Hayden, il sito ufficiale della MotoGP ha pubblicato una sua recente intervista del 2016, raccolta a Laguna Seca quando già vestiva i colori della scuderia ufficiale Honda in WorldSBK
23 maggio 2017

In ricordo di Hayden, il sito ufficiale della MotoGP (MotoGP.com) ha pubblicato una sua recente intervista del 2016, raccolta a Laguna Seca quando già vestiva i colori della scuderia ufficiale Honda in WorldSBK.


Il tuo primo ricordo su una moto?

“Molte volte mi fanno questa domanda e non ricordo quando per la prima volta ho guidato una moto. Sono cresciuto circondato dalle due ruote, mio padre correva e mia madre anche e così mio fratello maggiore; la mia terra, il Kentucky, è famosa per le corse di cavalli e la velocità. Non potevo starne fuori”.

 

Il mondo delle corse…

“Le moto da corsa sono solo un modo per vivere, è quello che so fare, quello che ho sempre fatto e lo ha fatto anche la mia famiglia, così come i miei amici. È un lavoro, una passione. Tutto questo mi fa vivere, è il mio stile di vita”.

 

Raccontaci degli inizi del dirt track

“Si, ho cominciata sullo sterrato. Questo è quello che faceva mio padre e anch'io sono partito da li. Ma in America non c’erano molte opportunità. L’eroe di mio padre è sempre stato Kenny Roberts, uno che dalla pista di terra è arrivato sull’asfalto. Vedendo il suo percorso abbiamo pensato che avrei potuto provare. Amo il dirt track, ma mi sono subito innamorato della velocità su asfalto dove le gare avevano molte più variabili. Mi sono piaciute da subito”.

 

Parlaci della tua infanzia

“Da bambino avevo un grande desiderio: non ho mai detto di voler diventare astronauta o presidente della repubblica, volevo essere un pilota di moto. La gente a volte dice a mio padre, ‘Avresti dovuto farlo allenare più duramente’, e lui risponde, ‘No, dovevo insegnargli altre cose e fargli fare i compiti, non guidare una moto’.


Il segreto della velocità?

“Non so se esista davvero un segreto per essere veloci. Naturalmente ci vuole talento e la mentalità giusta per spingere al limite. Poi, crescendo come pilota, ho capito che si tratta di un insieme di cose, le doti del pilota, una scuderia vincente, la moto giusta e molto altro”.


Il pilota e la moto diventano una cosa sola: cosa ne pensi?

“Credo sia vero. È come ballare insieme alla tua moto, seguirla e muoverti con lei. Bisogna essere naturali, essere guidati dall’istinto e dai riflessi, non hai molto tempo per pensare. Se a quelle velocità ti fermi a riflettere è già troppo tardi”.


Poi sei arrivato in MotoGP: cosa ci dici?

“Un salto enorme, tutto per me è cambiato. Dalla mia casa, dal Kentucky e dalla famiglia, al campionato del mondo. Sapevo solo che avevo molto da imparare, non solo per quanto concerne la pista, ma anche a livello culturale e mentale, non è stato facile all’inizio. Fortunatamente ho vinto il titolo di Rookie of the Year nel 2003. Diciamo che ho dovuto imparare a nuotare velocemente”.

 

Com'è l'essere un pilota americano?

“Non voglio dire che essere americano sia più difficile, ma ho capito che molte cose non aiutano. Gli americani e gli australiani sono diversi, hanno la famiglia più distanti e c’è tanto di più da imparare. Inoltre ci sono molti circuiti con uno stile diverso da quello delle nostre piste”.

 

La tua prima vittoria in MotoGP?

“Laguna 2005, come un sogno. Tutto alla perfezione. Naturalmente nel fine settimana non sempre le cose vanno bene, e si lavora tanto magari, senza trovare il cerchio. Ma in quel GP ogni cosa era a posto. Ricordo che la mia mente era focalizzata sull’obiettivo, ero rilassato e volevo solo sapere chi fosse il secondo. Avevo la pole, il giro più veloce, e potevo vincere; poi sono arrivati il podio, l’inno nazionale e il festeggiamento con mio padre: quel giorno mi sono sentito imbattibile”.

 

L'anno del tuo titolo iridato…

“In quella stagione la gara a Laguna Seca è stata l’opposto. Tutto il fine settimana è stato difficile, come molte altre volte. Un’immagine nitida che ho di quel 2006 è l’ultima curva a Valencia, dove ho realizzato che sarei stato il nuovo campione del mondo: un altro sogno realizzato”.

 

Hai battuto Valentino Rossi: questo ha aggiunto qualche cosa di più al tuo titolo?

“Assolutamente si. Ho un grande rispetto per Valentino Rossi. Lui è uno che ha fatto tantissimo in MotoGP. Essere il suo principale avversario e poi far meglio di lui rende tutto più grande”.

 

Come hai preparato Valencia 2006?

“Solo a fine della gara, in Portogallo, ho iniziato a pensare a Valencia. Ho guardato la classifica e ho capito che avevo delle possibilità. Conoscevo la pista, sapevo che in molti lì andavano veloce, e che forse non era la pista ideale per Valentino. In pochi pensavano che io avessi la possibilità di vincere, e per questo tutto è stato più bello. È stato il miglior momento della mia vita. Ho sentito la mia famiglia vicina, è come se avessimo vinto il titolo tutti insieme”.