MotoGP. Dovizioso: "Li ho cucinati uno ad uno"

MotoGP. Dovizioso: "Li ho cucinati uno ad uno"
Giovanni Zamagni
Andrea in trionfo dopo sette anni: “E’ stato un periodo lunghissimo, difficile da gestire”. Sulla gara: “Sembrava che io controllassi, ma non è stato così. Ho tenuto lo stesso ritmo dall’inizio alla fine, gli altri no". Sull’ultimo giro: “Incredibile: ho pianto dalla prima curva fino al traguardo”
30 ottobre 2016

SEPANG – Non vinceva da sette anni, dal 2009, GP di Gran Bretagna. Una vita fa. Se si aggiunge che in questa stagione così particolare, oltre ai soliti Marc Márquez, Valentino Rossi, Jorge Lorenzo e Dani Pedrosa, sono riusciti a trionfare Cal Crutchlow, Jack Miller, Andrea Iannone e Maverick Viñales, ecco che le prestazioni di Andrea Dovizioso sembravano particolarmente negative. Anche per questo, molti lo considerano (lo consideravano?) un perdente: e giù giudizi negativi, anche quando, in realtà, ha corso alla grande, come in Giappone (2°), ma anche in Australia (4°), considerando quella pista così ostica per lui. Non deve essere stato facile per il Dovi sopportare tutto questo, sentirsi ripetere: “Allora, quando vinci?”, venire continuamente punzecchiato, criticato, accusato di non essere un combattente. Adesso, finalmente, il successo è arrivato: meritato, indipendente dagli errori altrui. A Sepang è stato semplicemente il migliore di tutti. Punto e basta.


«E’ difficile descrivere cosa sto provando, sono passati così tanti anni dalla mia ultima vittoria. Da allora, c’è stata tanta sofferenza, anche dei risultati buoni, ma mai la vittoria, quello per cui uno corre veramente. Adesso è arrivata: è bellissimo sia a livello sportivo sia personale. Dall’esterno avevo tanta pressione, era diventata un’ossessione, più per gli altri che per me: ogni volta che non riuscivo a vincere sembrava una grande sconfitta. Ma non è che io abbia fallito 17 volte: non ho avuto sempre questa possibilità, quest’anno. L’ultimo giro è stato qualcosa di incredibile: quando sono arrivato alla prima curva, ho visto la mia ragazza (Alessandra, NDA) e i miei amici impietriti che piangevano. Ho cominciato a singiozzare anch’io: è stato un giro incredibile, il più bello della mia vita, qui a Sepang, sulla mia pista preferita, dove però non avevo mai vinto, in nessuna categoria. Non è facile guidare una MotoGP mentre piangi. Quest’anno in tanti avevano vinto, io non ci ero ancora riuscito: non sarebbe stato bello. Ducati ha piena fiducia in me, mi ha rinnovato il contratto per altri due anni, ma è sempre importante vincere: porto a casa la coppa con il numero uno, mia figlia Sara, finalmente, sarà contenta».


Quanto hai sofferto in questo periodo?

«Tantissimo: è pesante non riuscire a vincere. Questo mondo, giustamente, ti schiaccia, a livello personale è complicato gestire queste situazioni, è bello essere arrivato fin qui con la Ducati: è una grande soddisfazione personale. Sette anni senza salire sul gradino più alto del podio sono moltissimi: la MotoGP ha senso solo se vinci, altrimenti non ti diverti. Ho passato momenti durissimi, specie i primi con la Ducati: questo successo è uno sfogo, una grande soddisfazione».


Provocazione: dovranno passare altri sette anni prima che tu vinca di nuovo?

«Spero di no! Anche perché io non sono come Valentino, che andrà avanti a correre fino a 48 anni… Il mio obiettivo è arrivare a giocarsi il titolo, essere costantemente davanti: non ha senso vincere un GP e poi fare sesto o settimo in quello successivo. Voglio il campionato: la soddisfazione è che, nonostante gli alti e bassi di questa stagione, oggi sarei molto più avanti in classifica senza i tre zero di inizio stagione, arrivati non per colpa mia».


Come è stata la gara?

«Difficile. Magari da fuori sembrava che stessi controllando, ma non era così. All’inizio, Iannone e Rossi erano velocissimi, sono stato bravo a non arrendermi, a rimanere lì attaccato in tutti i modi: di questo sono felice, non ho fatto errori quando ero al limite. Io ho mantenuto la stessa velocità dall’inizio alla fine, mentre gli altri sono calati, avevo una buona trazione in percorrenza, migliore di quella di Rossi. Lui ha fatto un errore (alla prima curva del 15esimo giro, NDA), ma non credevo di perderlo: lui è un “cane randagio” (detto, naturalmente, in senso positivo, NDA), non molla mai, ma quando sono passato sul traguardo ho visto +1”7 sulla lavagna, ho pensato che avevo l’occasione per vincere».


Gli ultimi giri come sono stati?

«Pensavo che non dovevo sbagliare, poi c’è stato l’ultimo giro, davvero incredibile».


La sfida Iannone/Rossi ti ha agevolato in qualche modo?

«E’ una delle solite battaglie di Iannone, anche Rossi non era troppo contento… Ma lui fa così: è vero, in un certo senso mi ha agevolato, lo devo ringraziare. Comunque era veramente molto veloce nei primi giri».


Che vittoria è stata?

«Di forza, non perché hanno sbagliato gli altri. Quando Rossi ha passato Iannone, temevo potesse scappare, invece ho tenuto il suo ritmo. Avevo pensato di provare a passarlo proprio nel giro nel quale lui ha commesso l’errore, e quando sono andato al comando ho spinto, prendendo anche dei rischi, per provare ad allungare. Ma, veramente, non pensavo di riuscirci: diciamo che ho cucinato tutti gli avversari».


E’ un successo che ti ripaga dalla delusione del GP d’Austria?

«Sì e no. La mia opinione è che lì io abbia perso per aver sbagliato la scelta della gomma: a Zeltweg mi sentivo forte, lo sentivo mio, senza nulla togliere a Iannone che è stato bravissimo».


Ma è un sollievo sapere che Iannone non sarà più il tuo compagno di squadra?

«Sollievo non è la parola giusta. Sicuramente non è un compagno di squadra rilassante per come è fatto lui, per chi gli sta attorno: non è che si debba per forza essere amici, ma potrebbe essere meglio per tutti. Forse con Lorenzo sarà un po’ più facile, ma non è che mi interessi che lui sia più o meno bravo: l’importante è che ci sia rispetto».


E’ il miglior momento della tua carriera?

«Forse sì. Al di là della vittoria, è bello come io e la Ducati siamo cresciuti, siamo diventati competitivi. Quattro anni fa la nostra situazione era piuttosto critica, ma in questo periodo siamo cresciuti: non ci possiamo ancora giocare il titolo, ma siamo vicini. Ho 30 anni: per come sono fatto, per il mio stile, per il mio carattere, ci metto un po’ di tempo a raggiungere certi risultati.


A chi la dedichi, questa vittoria?

«A tutta la Ducati, naturalmente, ma anche a mia mamma (Anna, NDA), a mia figlia, al mio babbo (Antonio,NDA): è fatto a modo suo, ma senza di lui non sarei arrivato fin qui».