MotoGP 2016: ma la Moto2 serve o no?

MotoGP 2016: ma la Moto2 serve o no?
Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
Analizziamo un po’ in ottica di mercato piloti la classe cadetta del Motomondiale. Se ne può davvero fare a meno?
  • Edoardo Licciardello
  • di Edoardo Licciardello
31 marzo 2016

Ammettiamolo, la Moto2 non è stata l’invenzione più riuscita delle menti che governano il Motomondiale. Era nata per rivitalizzare una categoria che aveva completamente perso l’appeal delle Case giapponesi e divenuta di fatto un monomarca Aprilia, al netto della beffa dell’ultimo titolo, quello del 2009, vinto dal giapponese Aoyama sulla Honda RS 250 privata gestita dal Team Scot. Ovvero da una moto della Casa che più di ogni altra ha spinto per mandare in archivio la categoria, che infatti invece di festeggiare il titolo mostrò nel paddock una bella parata di facce imbarazzate.

La Moto2 è nata un po’ così, con la volontà di ridurre i costi e far partecipare più i Team che non le Case, nel tentativo di seguire il modello della F1 svincolandosi da una presenza sempre più politicamente ingombrante dei costruttori di moto di serie. Una direzione che ha portato alla scelta di adottare un motore libero derivato dalla serie, per poi innestare la retromarcia con rumorosa grattata (diversi team avevano già iniziato ad allestire moto con motore Yamaha e Kawasaki sul modello usato nel CEV, dove si correva a motore libero) ed indirizzarsi verso il monomotore Honda al fine di evitare una guerra termonucleare legale con Infront e Flammini. Nessun problema – si disse all’epoca – la categoria sarà una bellissima palestra per telaisti.

Ottimi propositi durati poco più di due stagioni. Al fervore iniziale, con tanti costruttori e soluzioni più o meno sensate e stravaganti, ha fatto da contraltare l’inevitabile appiattimento tecnico legato alla formula monogomma che ha portato al dualismo Kalex – Suter e all’attuale monomarca de facto per il telaista tedesco che fornisce 23 delle 29 ciclistiche in griglia. Se osservate l’ordine d’arrivo del Gran Premio del Qatar, le prime 18 moto all’arrivo sono Kalex, con la (notevole) eccezione della Speed Up del nostro Simone Corsi, che però – dicono i maligni – non è poi tanto diversa dalla Kalex. E permetteteci un po’ di legittimo campanilismo: aveva in sella un signor pilota.

Insomma, una classe che non serve a nulla? Le moto sono relativamente poco potenti (perché i motori Honda CBR 600RR, preparati e mantenuti da un’azienda esterna, tirano fuori se va bene 140 cavalli) e sono del tutto prive di elettronica, interrompendo così la crescita del pilota in questo campo nel passaggio verso la MotoGP. L’evidenza empirica sembrerebbe però smentire questa teoria, pur basata su considerazioni difficilmente confutabili. Solo due anni fa abbiamo accolto il salto di categoria di Miller, passato dalla Moto3 direttamente alla MotoGP, con un po’ di ottimistico scetticismo – e scusateci l’ossimoro. Ottimismo per le considerazioni di cui sopra, scetticismo perché, almeno nei tempi moderni, abbiamo ricordato ben pochi esempi di piloti che abbiano avuto successo in classe regina saltando la categoria cadetta.

Gli arrivi in volata sono la norma nella Moto2
Gli arrivi in volata sono la norma nella Moto2

Leon Haslam, protagonista di una carriera-lampo dalla 125 alla 500 – prima bicilindrica, poi a quattro cilindri come sostituto – non ha brillato granché. Ha fatto meglio di lui Garry McCoy, passato alla 500 dopo sei stagioni di 125 e vincitore di tre GP sulla Yamaha YZR 500 del team WCM. Da un lato però The Slide King ha avuto due stagioni di apprendistato in 500 (in cui non ha combinato granché, diciamocelo) e dall’altro, lo diciamo a costo di scontentare i fan della guida di traverso, ha vissuto la sua epoca d’oro a cavallo fra i due regni di Michael Doohan e Valentino Rossi. In un paio di stagioni in cui, per diversi motivi, il livello della competizione non era elevatissimo.

Non siete convinti? Allora osserviamo chi ne sa di più, ovvero i Team Manager che devono fare mercato cercando i prossimi protagonisti della MotoGP. I nomi che ricorrono più spesso sono quelli della Moto2: Rins, Kent, Zarco, Folger. Perché è sicuramente vero che da un punto di vista di messa a punto la Moto2 non è l’ideale per prepararsi alla classe regina, ma il dover lottare per salire sul podio su moto relativamente poco potenti, senza elettronica che corregga errori e con prestazioni livellatissime insegna a non sbagliare, ad essere precisi nella guida e a reggere la tensione e la pressione di un campionato. Insomma, una maturazione personale, importante quanto quella tecnica, del pilota. Credete che Maverick Viñales, Andrea Iannone, Bradley Smith – per non parlare di Marc Marquez – avrebbero saputo ottenere i risultati che hanno ottenuto in MotoGP senza passare dalla Moto2?

dover lottare moto poco potenti, senza elettronica e con prestazioni livellatissime insegna a non sbagliare e ad essere precisi nella guida

Il discorso su cui siamo invece tutti d’accordo è che la Moto2, così com’è, serve a poco. Perché la formula monomotore, ma anche solo la derivazione di serie del propulsore, stridono in un Mondiale riservato ai prototipi e faticano a decollare in un mondo – quello del Motociclismo – dove esiste un’identità tanto forte delle Case costruttrici e, viceversa, ben poco interesse per Team che non riescono ad imporre un carisma paragonabile a quello delle compagini della Formula 1 che si limitano (per così dire) a comprare un motore altrui e a sviluppargli attorno una monoposto.

Non abbiamo in tasca una soluzione preconfezionata, perché siamo ben consci del fatto che anche un regolamento con bicilindriche da 500cc (a metà fra la Moto3 e la MotoGP, nel tentativo di recuperare quella modularità dell’era dei due tempi) porterebbe ad un innalzamento vorticoso di costi già importanti in un momento storico piuttosto difficile. Ed è piuttosto improbabile sperare in un investimento delle Case costruttrici in una categoria che avrebbe ben poco ritorno d’immagine o interesse in ottica di sviluppo. Quello che però sappiamo è che così com’è, la formula non funziona.

Lasciamo quindi ben volentieri la patata bollente nelle mani di chi si occupa di stendere i regolamenti tecnici, a cui spetta trovare la quadratura del cerchio fra la spesa e il successo della formula, magari con qualche suggerimento da parte delle Case stesse. Perché diamo per scontato che la conclusione di cui sopra a cui siamo arrivati noi poveri giornalisti ed appassionati – ovvero che è necessario un cambio di formula – sia condivisa anche da chi gestisce il massimo campionato. Vero FIM? Scusate – vero Dorna? Vero IRTA? Vero MSMA?

Foto: MotoGP.com